Da questo autunno 7.000 nuovi studenti di San Diego sosterranno corsi che includono una quota di tematiche riservate al clima.
Edo Ronchi. Serve un patto di sviluppo basato sulla decarbonizzazione
Supportare la transizione verso un’economia carbon neutral e promuovere un dibattito diffuso sui temi del clima e dell’energia nel nostro Paese. Con questo obiettivo è nato il progetto Italy for Climate, lanciato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in partnership con una serie di imprese particolarmente sensibili al tema dei cambiamenti climatici. Ne parliamo con
Supportare la transizione verso un’economia carbon neutral e promuovere un dibattito diffuso sui temi del clima e dell’energia nel nostro Paese. Con questo obiettivo è nato il progetto Italy for Climate, lanciato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in partnership con una serie di imprese particolarmente sensibili al tema dei cambiamenti climatici. Ne parliamo con Edo Ronchi, presidente della Fondazione e firmatario del protocollo di Kyoto quando era alla guida del ministero dell’Ambiente. Che ci spiega anche i motivi del fallimento della COP25, cosa possiamo aspettarci per la COP26 e come il mondo delle imprese possa trainare il passaggio verso un’economia decarbonizzata.
La Cop 25 di Madrid si è chiusa con un sostanziale fallimento. Per quali motivi?
La Cop 25 doveva svolgersi in Cile, ma per le difficoltà del governo di Santiago all’ultimo si è tenuta a Madrid senza adeguata preparazione. È stata inoltre caricata di eccessive aspettative: il nodo all’ordine del giorno, la regolazione dei crediti di carbonio, era tecnico e circoscritto.
Cosa serve per far sì che la Cop 26 di Glasgow del prossimo anno non si traduca in una nuova delusione?
La COP26 di Glasgow può essere gestita meglio, può essere un momento utile di confronto internazionale, può fare qualche passo avanti sui dossier ancora aperti, ma difficilmente sarà risolutiva: mi pare improbabile che si raggiunga un accordo internazionale con ampio consenso che stabilisca impegni avanzati di decarbonizzazione. L’importante è che, anche in questa occasione, si consolidi l’alleanza e l’iniziativa dei Paesi ambiziosi in campo climatico impegnati, come l’Unione europea, a lanciare la sfida del Green deal: il tutto verso un nuovo patto di sviluppo basato sulla decarbonizzazione dell’economia. Il successo di questa iniziativa, da una parte, e la crisi climatica stessa, dall’altra, metteranno in difficoltà nei rispettivi Paesi i governi filo-fossili e li costringeranno o ad andarsene o a cambiare rotta. Speriamo che ciò accada rapidamente, evitando che il riscaldamento globale abbia impatti ancora più gravi.
Il disimpegno di Trump e la sfrenata crescita economica della Cina non rischiano di vanificare gli sforzi del resto del mondo, a partire proprio dall’Europa?
Il riscaldamento globale colpisce pesantemente anche gli Stati Uniti e la Cina e le rispettive popolazioni. Quanto reggeranno i governi disimpegnati nelle politiche climatiche col peggioramento del riscaldamento globale e l’aumento dei disastri che colpiscono i cittadini? È vero che l’economia dei fossili è ancora molto forte, ma in questi anni l’economia decarbonizzata ha fatto grandi passi avanti nella produzione di energia, con una forte crescita e un abbattimento dei costi delle rinnovabili, con numerose iniziative per l’efficienza e il risparmio energetico degli edifici e degli impianti. Attraverso l’economia circolare, molte imprese stanno facendo della decarbonizzazione una strategia per la propria competitività, la mobilità nelle città sta cambiando e l’elettrificazione dei trasporti si sta imponendo come scelta strategica.
Non siamo più costretti ad aspettare i governi più legati ai fossili: la decarbonizzazione è impegnativa, ma si può fare senza costi eccessivi. Avviarla in Europa e in un altro gruppo di Paesi, intanto fa bene al clima; non risolve, ma ritarda la crisi climatica globale e il suo aggravamento. E soprattutto dimostra che si può fare con investimenti che generano, insieme a vantaggi ambientali, anche vantaggi economici e occupazionali. Ovviamente anche questa scelta è impegnativa e non priva di rischi, ma non c’è un’alternativa migliore. Subire il freno dei governi più legati ai fossili, significa patire un aggravamento rapido e drammatico del riscaldamento globale.
Per la sua collocazione geografica, l’Italia è particolarmente esposta agli effetti dei fenomeni climatici estremi. Gli ultimi dati sul clima nel nostro Paese sono decisamente allarmanti…
L’Italia è uno dei Paesi più esposti al rischio climatico dell’area europea. Nel 2018 il nostro paese ha registrato un’anomalia della temperatura di +1,7 gradi, quasi il doppio di quella media mondiale; e secondo i dati dell’Agenzia europea per l’ambiente, tra il 1980 e il 2017 ha già subito 65 miliardi di euro di danni. Uno studio di Italy for Climate, svolto in collaborazione con lo European institute on economics and the environment e presentato a fine dello scorso anno, ha stimato che proseguendo con il trend di riscaldamento globale attuale, nella seconda metà del secolo l’Italia potrebbe registrare perdite pari a 130 miliardi di euro, ovvero l’otto per cento del Pil.
Proprio nel corso della COP25, la Fondazione per lo sviluppo sostenibile ha lanciato Italy for Climate: qual è l’obiettivo di questo progetto?
Italy for Climate è l’iniziativa della Fondazione promossa da un gruppo di imprese particolarmente sensibili al tema che vuole spingere questo Paese, attraverso l’interlocuzione continua con il governo, le parti sociali, l’opinione pubblica e il mondo imprenditoriale, a dotarsi di un’Agenda avanzata per il clima. Si punta a fissare obiettivi sfidanti in linea con l’accordo di Parigi, a far propria la strumentazione adeguata per conseguirli e a fare dell’Italia un paese leader sul clima.
Quali sono i cardini di questa Agenda italiana per il clima?
L’Agenda individua innanzitutto target climatici e di green economy in linea con gli obiettivi di Parigi e con la portata della crisi climatica che abbiamo davanti: si tratta di raggiungere la neutralità carbonica entro la metà del secolo, arrivando al 2030 con un taglio delle emissioni almeno del 50 per cento rispetto ai valori del 1990, dei consumi di energia di almeno il 10 per cento e di un 35 per cento del fabbisogno coperto da rinnovabili.
Per fare questo è necessario agire su più fronti: transizione energetica, economia circolare, decarbonizzazione dei trasporti; agricoltura, gestione forestale e dei suoli per ridurre emissioni e aumentare assorbimenti e cattura del carbonio, e ancora ricerca, innovazione e digitalizzazione. Una svolta del genere non è compatibile con emissioni di gratuite di carbonio e richiede sistemi, come sta avvenendo in numerosi paesi europei, socialmente equi di carbon tax.
Come valuta le misure contenute nel Green new deal annunciato dall’esecutivo?
L’attuale esecutivo è ben disposto verso il tema del green deal e la decarbonizzazione dell’economia, anche se le misure messe in campo fino ad ora sono insufficienti. Il Piano energia e clima presentato a Bruxelles, definito dal precedente governo, è carente e non aggiornato sui nuovi target europei.
Al di là delle politiche governative, il percorso verso la transizione energetica richiede l’adozione di impegni concreti anche da parte delle imprese. Da questo punto di vista, come sta rispondendo il tessuto imprenditoriale italiano?
Si stanno moltiplicando le iniziative di imprese che sono passate all’azione cogliendo la portata della sfida in atto ed anche le opportunità delle iniziative di decarbonizzazione. In alcuni settori, dove le decisioni aziendali hanno orizzonti pluriennali, si è compreso che la decarbonizzazione è ormai strategica.
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