A Milano un murale intitolato “Respiro” ha l’obiettivo di dare un tocco di verde in più alla città e non solo.
Effetto domino. La perfezione di una catastrofe osservata da vicino nell’ultimo film di Rossetto
Effetto domino, l’ultimo film di Alessandro Rossetto, racconta la sequenza stringente di un fallimento economico planetario e il ritratto futuribile di una società di anziani, quella in cui, come spiega il regista, è “la morte ad avere le ore contate”.
Uscito in anteprima al 76esimo Festival del cinema di Venezia nella sezione Sconfini e ora nelle sale cinematografiche, Effetto domino è l’ultimo lavoro del regista padovano Alessandro Rossetto, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Romolo Bugaro, edito da Marsilio. Un cast già collaudato nel film precedente – Piccola patria – con Diego Ribon, Mirko Artuso, Maria Roveran, Lucia Mascino, Nicoletta Maragno e Roberta Da Soller, affiancato da Marco Paolini nel ruolo di burattinaio della finanza globale.
Ripartire dal mattone e risalire la china dopo gli anni bui della crisi
In una città termale del nord-est, due imprenditori si buttano sull’affare di una vita: acquistare all’asta venti alberghi in disuso e costruire la “New old”, una città per ricchi pensionati, fatta di appartamenti con finiture extra lusso e centri benessere in cui fluttuare su accoglienti lettini ad acqua. Un meccanismo a catena di ordini e commesse che, da un’azienda di famiglia del Veneto tenace e produttivo, atterra oltre oceano nei giochi della finanza internazionale, fino al punto di rottura. La banca interrompe il finanziamento e innesca il violento effetto domino travolgendo, accanto alle imprese, le famiglie, le mogli e i figli. Nella caduta sequenziale, ogni personaggio diventa vittima e carnefice dimenandosi come può, finché può, nell’estrema lotta per la sopravvivenza.
La terza età: la nuova frontiera del business internazionale
Girato tra Abano Terme e Montegrotto, nei corridoi fatiscenti di veri hotel fantasma, il film disegna anche la mappa di un tesoro ancora sconosciuto, sul quale l’attuale sistema finanziario sta realmente investendo risorse importanti: l’infinity life, ovvero il business della terza età, nella prospettiva distopica del progressivo aumento della durata della vita, da protrarre senza limiti. Le ricerche demografiche prevedono infatti che, nei paesi ricchi, nel 2030 la popolazione di over 65 raggiungerà il 30 per cento ed entro il 2050, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero degli anziani supererà quello dei giovani. Consumatori immortali per un giro d’affari senza fondo.
Il ruolo della donna nella catastrofe famigliare e della società
Sono fondanti e ben studiate nel film le figure femminili, come quello della moglie dell’imprenditore Franco Rampazzo, che l’attrice Nicoletta Maragno impregna di coraggio e di resilienza spiegando che il suo personaggio “è una donna che sa per certo che resterà, non abbandonerà la nave, perché quando tutto sta per affondare è lei che deve tenere. Le donne sono così”.
Riflessione ripresa da Marco Paolini che ha chiuso, con un intenso applauso del pubblico, l’incontro al cinema Conca verde di Bergamo dopo la proiezione: “La verità è che la risposta ai problemi che ci sovrastano non è certo di tipo maschile. Solo le donne sanno cosa vuol dire ricominciare, soprattutto dopo un’esperienza che è assimilabile allo stupro, come quella attraversata nel film da Nicoletta. Una violenza totale, profonda e intima”
Una storia articolata che si sviluppa su più livelli di indagine, che abbiamo approfondito nell’intervista al regista Rossetto e all’attore Marco Paolini.
Alessandro Rossetto, un film scritto a quattro mani da lei e da Caterina Serra, in cui però sceneggiatura e realtà si sono mischiate come per osmosi.
Sì, il rapporto con il territorio è stato continuo e sorprendente. Molto spesso ritrovavamo sui giornali locali fatti di cronaca che noi, ancora prima di conoscere, avevamo pensato di mettere nella sceneggiatura o che addirittura già c’erano. Immaginavamo nella storia, ad esempio, il possibile ingresso di investitori asiatici e ci siamo trovati veramente vicino al set la delegazione cinese interessata ad acquistare quegli alberghi. Ragionavamo sull’immagine da restituire nel film del primo complesso residenziale ultimato e abbiamo scoperto che esiste realmente una grossa società dei Paesi Bassi che da anni sta facendo un lavoro sull’infinity life e che, oltre ad essere interessata a queste strutture dismesse, stava cercando di avere accesso ad una banca dati che potesse aiutarli nella ricerca demografica sull’invecchiamento della popolazione. È stato incredibile, molto motivante, perché questa osmosi ci faceva sentire che, nello scrivere la sceneggiatura, non stavamo inventando del tutto.
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Quali sono state le parti del film più difficili da sviluppare?
Difficile è stato riassumere proprio il tema dell’allungamento della vita e del business che lo sottende. Sono questioni ancora sconosciute ai più e noi dovevamo restituire in un film qualcosa che ha realmente a che fare con grandi ricerche e grossi investimenti. È stato un lavoro di analisi e di studio molto lungo e articolato. L’altro aspetto riguarda il personaggio di Luisa, interpretato da Maria Roveran. Un personaggio complesso, senza risoluzione, che ha richiesto un’indagine profonda, a tratti anche dolorosa, perché sembrava non si riuscisse a raggiungere un risultato, che invece io ora trovo molto interessante.
Avete indossato sul red carpet del festival la maglietta contro il passaggio delle grandi navi a Venezia. Che contributo dà il film al tema dell’ambiente?
La scelta di dichiararci, come gruppo e in una situazione pubblica, contro il passaggio delle grandi navi riguarda una sensibilità condivisa e l’amore per la città di Venezia. Più in generale, senza dubbio, i grandi alberghi abbandonati che sono al centro del desiderio del film mi hanno fatto pensare all’uso del suolo e delle risorse. Era importante per me lavorare su vestigia di un passato recente, rappresentare un iperconsumo che in questi alberghi diventa quasi plastico. Una struttura enorme per la quale si sono spesi moltissimi soldi ed energia e che in breve tempo resta lì ad inquinare, sotto più punti di vista, è un elemento che sottende tutto il film. Abbandonare dopo un utilizzo frenetico e lasciarsi dietro macerie e ruderi mi sembra la peggiore delle cose possibili.
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Qual è l’effetto domino che spera di vedere nel pubblico?
Io penso a quello che succede al protagonista, che abbandona il film nel modo in cui lo abbandona. Potrebbe essere dipinto come un perdente, ma di fatto decide di reagire in un modo non scontato. Credo che, uscito da quella piccola foresta finta tropicale notturna, Franco Rampazzo possa ricominciare, come ognuno di noi può ricominciare.
Marco Paolini, la globalizzazione è un acceleratore dell’effetto domino, ma in che modo il fallimento di oggi è diverso da quello di ieri?
Nella generazione dei padri il fallimento è qualcosa di socialmente impresentabile, da evitare come la peste, perché il giudizio della gente ti schiaccia. Nella logica attuale invece si investono soldi in più progetti sapendo che ne falliranno cinque, ma che il sesto farà guadagnare più di tutti gli altri messi insieme. Questo è un altro modo di raccontarsi la vita, ma non si può chiedere ad una generazione di cambiare su due piedi la propria dignità, il proprio background, perché la filosofia imprenditoriale è diversa. Le macerie di cui parla il film non riguardano solo le architetture invecchiate in fretta; piuttosto, le macerie sono i pezzi di società che restano indietro, che restano sole. Non credo che ci si debba attaccare all’etica consolatoria della repubblica fondata sul lavoro, credo che le si debba dare un senso. Si tratta di guardarci nelle palle degli occhi e di dire: io valgo non solo per il lavoro che ho fatto, ma valgo per una serie di cose che ho intorno a me. Questa funzione del non lasciare indietro nessuno, non lasciare solo nessuno, era della politica. Ma se non lo fa la politica, il lavoro va fatto lo stesso.
Effetto domino, prodotto da Jole film e Rai cinema, è ora nelle sale, distribuito da Parthénos.
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