L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha fatto un appello per la liberazione di Alaa Abd el-Fattah e degli altri prigionieri di coscienza.
Alaa Abd el-Fattah è un attivista incarcerato arbitrariamente dall’Egitto e da aprile in sciopero della fame.
L’Onu ha chiesto la sua liberazione, sottolineando che si trova in pericolo di vita.
Alla Cop 27 di Sharm El Sheik è arrivata anche la sorella di Alaa Abd el-Fattah, per accendere i riflettori sulla sua condizione.
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha detto che l’Egitto deve liberare al più presto Alaa Abdel Fattah. L’attivista è uno dei più importanti prigionieri di coscienza nel paese, dalla primavera è in sciopero della fame e con l’inizio della Cop 27 a Sharm El Sheik del 6 novembre ha anche smesso di bere. Le organizzazioni per i diritti umani definiscono la sua detenzione arbitraria.
L’appello dell’Onu per Alaa Abd el-Fattah
“Esorto il governo a rilasciare immediatamente Abdel Fattah dal carcere e a fornirgli le cure mediche necessarie”, ha dichiaratoVolker Türk. L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha sottolineato che l’attivista è in pericolo di vita e ha poi denunciato come altre persone in Egitto si trovino nella sua condizione, detenute arbitrariamente e private del diritto alla salute.
Alaa Abd el-Fattah, 41 anni, è un informatico che ha assunto un ruolo chiave nella primavera araba del 2011. Il suo attivismo politico lo ha portato in carcere diverse volte e l’ultima condanna risale al 2021, quando è stato incriminato per “diffusione di notizie false” per aver denunciato le violenze subite nel carcere di massima sicurezza di Tora. Da aprile Alaa Abd el-Fattah è in sciopero della fame per accendere i riflettori sulla propria detenzione, definita ingiustificata dalle organizzazioni per i diritti umani. Dopo alcune concessioni ottenute a maggio era tornato ad assumere 100 calorie al giorno, ma con l’inizio della Cop27 a Sharm El Sheik ha nuovamente intensificato la sua protesta, togliendo le calorie e smettendo di bere.
Eight years ago, I drew Egyptian revolutionary Alaa Abd El-Fattah and his sister @sana2. At the time, both were imprisoned. Now, Sanaa is free. Alaa is still in a cage. On hunger strike for 200 days, has just drank his last glass of water. He will be free or die. #freealaapic.twitter.com/CZyvfqPEo6
Ravina Shamdasani, portavoce dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, durante il briefing giornaliero a Ginevra ha detto che Volker Türk ha parlato direttamente con le autorità egiziane per fare pressioni per il rilascio di Alaa Abd el-Fattah e degli altri prigionieri di coscienza. Inoltre ha sottolineato che la famiglia non ha sue notizie da giorni.
Il silenzio di Giorgia Meloni sui diritti umani
Nelle scorse ore è arrivata a Sharm El-Sheik, dove è cominciata la Cop 27, la sorella dell’attivista egiziano, Sanaa Seif. La donna ha detto di essersi recata al vertice internazionale dalla Gran Bretagna, dove vive, “per essere una sorta di promemoria fisico e imbarazzante di mio fratello, che sta morendo in questo momento, sia per le autorità britanniche che per le autorità egiziane”. Alaa Abd el-Fattah in primavera ha ottenuto la cittadinanza britannica e la pressione della società civile negli ultimi mesi, oltre che sul Cairo, si è rivolta anche a Londra perché faccia più sforzi per la libertà dell’attivista. E proprio davanti all’ambasciata britannica di Roma si terrà oggi 8 novembre, alle 17.30, un presidio di Amnesty International.
Here’s what happened when we tried to ask UK Prime Minister Rishi Sunak about jailed UK-Egyptian activist Alaa Abd el-Fattah at COP27. pic.twitter.com/2bakXpPMQ4
Chi non si è occupata della questione durante la visita a Sharm el Sheik è stata la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni. Nel suo incontro con il presidente egiziano Al Sisisi è parlato di relazioni commerciali e politiche ma non è stato affrontato il tema dei diritti umani, né per quanto riguarda i prigionieri di coscienza tuttora incarcerati, né per quanto riguarda dossier delicati come quelli di Giulio Regeni e Patrick Zaki.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.