Per il 2023 i meteorologi prevedono il ritorno di El Niño, cioè il riscaldamento della superficie dell’oceano Pacifico, con varie conseguenze nel mondo.
L’Organizzazione meteorologica mondiale prevede che nel 2023 ritorni El Niño.
Ci si può dunque attendere un nuovo aumento delle temperature.
El Niño è un fenomeno naturale per cui la superficie dell’oceano Pacifico centro meridionale e orientale si riscalda.
Se invece la superficie del Pacifico si raffredda si è in presenza del suo opposto, La Niña.
Preparatevi a El Niño. Titola così un comunicato diffuso dall’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm o Wmo, dalla denominazione inglese) il 3 maggio. Una notizia che – comprensibilmente – ha fatto molto rumore perché preannuncia un aumento delle temperature, dopo otto anni che sono già stati i più caldi mai registrati a livello globale. Ma di preciso in cosa consiste El Niño e quali sono le differenze rispetto a La Niña?
WMO Update: Prepare for #ElNiño We just had the 8 warmest years on record despite cooling La Niña for 3 straight years. An El Niño event will most likely lead to a new spike in global heating and increase the chance of breaking temperature records. 🔗https://t.co/XfRP2Ca9k4pic.twitter.com/o5tetawmDG
— World Meteorological Organization (@WMO) May 3, 2023
Cos’è El Niño e quali conseguenze provoca
El Niño in spagnolo significa “il bambino” ed è in realtà un’abbreviazione: il nome completo è El Niño oscillazione meridionale (El Niño Southern oscillation, da cui la sigla Enso). Si tratta di un fenomeno meteorologico che avviene naturalmente e consiste nel riscaldamento della temperatura superficiale dell’oceano Pacifico centro meridionale e orientale: la variazione è di almeno mezzo grado ma può arrivare a 3-4. La zona coinvolta, dunque, è quella della costa occidentale dell’America latina. Di solito questo fenomeno si ripresenta a intervalli di due-sette anni e dura fra i nove e i dodici mesi.
A livello globale, gli anni di El Niño di solito sono più caldi: la differenza può essere anche di 0,2 gradi rispetto alla media. C’era El Niño anche nel 2016, l’anno più torrido mai registrato. Detto questo, le conseguenze del fenomeno variano a seconda delle zone coinvolte. Tipicamente porta forti piogge nella parte meridionale di Stati Uniti e Sudamerica, nell’Asia centrale e nel Corno d’Africa. Al contrario, porta siccità in Australia, Indonesia e in alcune parti dell’Asia meridionale, indebolendo anche i monsoni indiani. Durante l’estate boreale (quella europea, per intenderci), le correnti calde favoriscono la formazione di uragani nel Pacifico centrale e orientale e, viceversa, la ostacolano nell’Atlantico.
Se El Niño è particolarmente forte, infatti, finisce per incidere sulla circolazione atmosferica, cioè quell’insieme di movimenti di aria che distribuiscono il calore sulla superficie terrestre. Visto che il calore si sposta verso est, in stati come California e Washington gli inverni possono essere più lunghi e freddi.
Se invece la superficie dell’oceano Pacifico centrale ha una temperatura inferiore alla media stagionale di almeno mezzo grado per cinque mesi o più, ciò significa che siamo di fronte al fenomeno opposto, chiamato La Niña. Questo avviene perché gli alisei, gli stessi venti che agevolarono Cristoforo Colombo nel suo viaggio verso l’America, si rafforzano e spingono l’acqua calda verso l’Asia. Le acque profonde più fredde, così, risalgono in superficie (si parla di upwelling) nell’area del Pacifico che sta fra il tropico del Cancro e quello del Capricorno.
Essendo più fredde, queste ultime fanno spostare più a nord la corrente a getto (jet stream), cioè la corrente aerea che soffia da ovest a est sull’oceano Atlantico. Di conseguenza, la zona meridionale degli Stati Uniti è più secca, così come la costa ovest di Colombia, Ecuador e Perù. Al contrario, piove di più nell’Africa sudorientale e nel nord del Brasile e si intensificano i monsoni estivi che si abbattono su India e Bangladesh. In Australia durante La Niña si assiste a forti piogge e inondazioni che possono rivelarsi catastrofiche; come nel 2010, quando 10mila persone furono costrette ad abbandonare le proprie case. Di solito La Niña dura più di El Niño: da uno a tre anni.
Cosa dobbiamo aspettarci nel 2023
Tornando quindi al comunicato dell’Organizzazione meteorologica mondiale, ne emerge come La Niña sia terminata dopo tre anni. Ora il Pacifico tropicale si trova in uno stato che viene definito Enso-neutral: non c’è nessuno di questi due fenomeni meteorologici. C’è il 60 per cento di probabilità che si sviluppi El Niño tra maggio e luglio, una percentuale che sale al 70 per cento tra giugno e agosto e all’80 per cento tra luglio e settembre. Non ci sono ancora gli elementi per stimare la sua entità né la sua durata. Nel concreto, dunque, ci sono buone ragioni per aspettarsi temperature più alte.
“Abbiamo appena avuto gli otto anni più caldi mai registrati, anche se negli ultimi tre anni il raffreddamento de La Niña ha fermato temporaneamente l’incremento della temperatura globale. Lo sviluppo di El Niño molto probabilmente porterà una nuova crescita del riscaldamento globale e aumenterà le probabilità di battere i record di temperatura”, ha dichiarato il segretario generale dell’Omm, Petteri Taalas. Di solito l’impatto arriva l’anno successivo, come è successo nel 2016, l’anno più caldo di sempre. L’arrivo di El Niño potrebbe essere una buona notizia per il Corno d’Africa, perché potrebbe alleviare la devastante siccità che perdura da mesi. Per contro, potrebbe scatenare eventi meteo estremi in altre zone del pianeta.
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