Microsoft, Google, Cisco, Accenture, Dell Technologies, Vodafone. Sono soltanto alcuni dei grandi nomi dell’elettronica, con una capitalizzazione di mercato complessiva di 6mila miliardi di dollari, che si sono ufficialmente impegnati per l’economia circolare. Con la Circular electronics partnership (Cep), per la prima volta in assoluto le imprese private lavoreranno su questo tema fianco a fianco con una cordata di organizzazioni internazionali (tra cui il World economic forum, la Global electronic council, la Responsible business alliance). Annunciata il 18 marzo 2021, la Cep ha la missione di “far fruttare al massimo il valore di componenti, prodotti e materiali lungo il loro intero ciclo di vita, basandosi su pratiche di lavoro eque e sicure e basandosi solo su risorse circolari. Tali cambiamenti genereranno valore economico, oltre a creare un impatto sociale e ambientale positivo”. Questa dichiarazione d’intenti si traduce in un piano d’azione per il 2030.
Smaltimento dei rifiuti elettronici, un problema in ascesa
In termini di volumi, i 53,6 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici prodotti nel mondo nel 2020 sono soltanto il 2 per cento dei rifiuti solidi. Ma vanno presi seriamente in considerazione per due motivi. Innanzitutto, questa cifra è destinata a crescere fino a 74,7 milioni di tonnellate in soli dieci anni, in virtù della diffusione pervasiva di dispositivi sempre più economici e dell’introduzione di componenti elettroniche in innumerevoli oggetti, dai giocattoli ai vestiti. Poi, solo il 17,4 per cento viene differenziato e riciclato: non è un caso se dai device deriva il 70 per cento dei rifiuti pericolosi che finiscono in discarica.
Tutto questo ha conseguenze in termini di contaminazione del suolo e dell’acqua, ma anche di salute umana. Chi smaltisce manualmente questi scarti senza le dovute tutele è esposto a una serie di problemi che vanno dagli sfoghi cutanei alle alterazioni dello sviluppo neurologico, sostengono diversi studi. Il tema ha anche un peso economico. Le materie prime smaltite hanno un valore complessivo che si aggira sui 57 miliardi di dollari, trainato soprattutto da ferro, rame e oro. Riciclare correttamente i dispositivi Ict come computer e smartphone, recuperando i materiali più pregiati, rappresenta un’opportunità economica compresa tra i 2,5 e i 5 miliardi di euro. Ancora più grande – si parla di 10-20 miliardi – quella che si cela nelle pratiche circolari come il riuso e il ricondizionamento.
La roadmap per l’economia circolare nel settore dell’elettronica
Facendo leva su questi dati, la coalizione di aziende, esperti e ong ha messo a punto un piano d’azione articolato su sei direttrici: progettare per la circolarità; promuovere la domanda di prodotti e servizi circolari; far crescere i modelli di business responsabili per l’elettronica circolare; incrementare i tassi di raccolta ufficiali; allearsi per il riuso e il riciclo; far crescere i mercati per le materie prime seconde. Per ciascuno di essi hanno previsto una serie di obiettivi che hanno come orizzonte temporale il 2023, il 2027 e il 2030.
Qualche esempio? Le certificazioni e le etichette ecologiche danno indicazioni preziose al consumatore, ma oggi sono ancora troppe e confuse. Entro il 2027 i produttori si impegnano quindi a collaborare con gli enti che le rilasciano al fine di armonizzarne i criteri. Un altro limite sta nei sistemi contabili che spesso premiano, mediante agevolazioni fiscali, gli acquisti di prodotti nuovi: anche su questo fronte le associazioni di categoria promettono di muoversi insieme ai governi.
Alcune novità coinvolgono molto da vicino i consumatori. Di recente per esempio l’Unione europea ha dettato la linea introducendo il diritto alla riparazione per alcune tipologie di prodotti: ciò significa che le aziende dovranno assicurare che possano essere riparati entro 10 anni. Il nuovo piano d’azione affronta anche alcuni ostacoli pratici: chi può farsi carico degli interventi durante il periodo di garanzia? Su chi ricade la responsabilità se il lavoro non è eseguito a regola d’arte? Per questo si pensa a partnership tra i produttori e i tecnici indipendenti, con corsi di formazione, certificazioni e manuali comuni. A tendere, i produttori vogliono allargare anche all’utente finale la possibilità di aggiustare in autonomia i prodotti che ha acquistato.
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