Presidenzialismo, aliquote, atlantismo, ponte sullo Stretto, risparmio di gas. Sono alcune delle parole chiave su cui si sta giocando una delle campagne elettorali più frenetiche e anomale degli ultimi decenni. Ma un tema tra tutti, tra polemiche e crisi energetica, sembra uscito dai radar dei partiti politici, tutti o quasi: quello dei diritti umani.
A tenere accesso un faro di presidio ci prova allora Amnesty International, che ha lanciato unmanifesto di dieci punti chiedendo a tutti i partiti – nessuno escluso – di aderire. Dall’aborto al razzismo, dall’immigrazione all’omofobia, passando per guerra e libertà di opinione: nel manifesto di Amnesty trovano posto impegni che il Parlamento uscente ha in molti casi disatteso, e su cui in altri addirittura ha rischiato di fare pericolosi passi indietro.
“In un contesto di forte incertezza, tra crisi pandemica, conflitti e instabilità economica, la politica italiana non può perdere di vista i diritti umani”, spiega la sezione italiana dell’associazione impegnata dal 1961 nel rispetto di tali diritti in tutto il mondo. “Vogliamo un governo e un parlamento formati da persone impegnate a sostenere le libertà fondamentali, per istituzioni libere da odio e discriminazione. Per questo, abbiamo creato un manifesto con le nostre richieste per i candidati e le candidate alle elezioni politiche”.
Il manifesto di Amnesty International
1. Libere di scegliere
Il primo impegno riguarda i diritti sessuali e riproduttivi delle donne, e include il tema della violenza di genere così come quello dell’interruzione di gravidanza. Amnesty Italia chiede di “affrontare il tema della violenza maschile contro le donne in maniera strutturata, investendo in formazione ed educazione, sostenendo la diffusione della cultura del consenso e finanziando in maniera adeguata i centri antiviolenza e le associazioni che supportano le donne in fuga dalla violenza”. Inoltre, si chiede alla politica di “adeguare il codice penale italiano al diritto internazionale, modificando l’articolo 609bis e inserendo un chiaro rifermento all’esplicito consenso, così da garantire il pieno accesso alla giustizia alle sopravvissute alla violenza sessuale”.
Nel 2021 sono state accolte nei centri antiviolenza 20.711 donne, il 3,5 per cento in più rispetto al 2020. E in questo 2022 i femminicidi sono stati, secondo i dati del Viminale, già 57 fino a metà giugno, uno ogni tre giorni.
Per quanto riguarda l’aborto, Amnesty chiede di “garantire i diritti sessuali e riproduttivi, investendo nelle strutture sanitarie del territorio nazionale affinché possano offrire servizi sanitari appropriati, svolti da personale non obiettore adeguatamente formato e fornire una formazione di base sulla sessualità a tutta la società civile”. Secondo il rapporto Mai Dati! dello scorso maggio, sono ben 31 le strutture sanitarie in Italia con il 100 per cento di medici obiettori di coscienza, con regioni come Sicilia e Sardegna con punte dell’80 per cento di strutture dove di fatto non è possibile abortire.
2. Prima le persone, poi le frontiere
Il secondo impegno è relativo all’immigrazione, uno dei temi sempre presente nelle campagne elettorali ma, secondo Amnesty Italia, quasi mai affrontato nei giusti termini, che dovrebbero essere ispirati al rispetto dei diritti e della dignità dei migranti.
Nello specifico si chiede ai partiti di:
Offrire canali sicuri e regolari verso l’Italia, mettendo a disposizione un numero adeguato di posti per il reinsediamento e favorendo altri percorsi di accesso, a tutela delle persone bisognose di protezione.
Riformare le politiche migratorie, con l’obiettivo di agevolare percorsi regolari per i migranti e sistemi di accoglienza adeguati.
Impiegare un numero sufficiente di dispositivi aerei e navali – compresi alcuni che abbiano il salvataggio di vite come obiettivo primario – lungo le rotte intraprese dalle imbarcazioni che portano rifugiati e migranti, al fine di assicurare che le navi civili – comprese le imbarcazioni gestite dalle Ong – siano pienamente in grado di condurre attività di ricerca e soccorso senza ostacolo alcuno, anche nella zona di competenza libica.
Rivedere il reato di favoreggiamento dell’ingresso irregolare, introducendo l’elemento di ingiusto beneficio economico o altro beneficio materiale quale requisito per la criminalizzazione del reato di favoreggiamento dell’ingresso, transito e soggiorno di un cittadino straniero in condizione di irregolarità.
Decriminalizzare l’ingresso irregolare di cittadini stranieri e garantire che qualsiasi pena per un illecito amministrativo di ingresso irregolare sia proporzionata e conforme alle leggi e agli standard internazionali sui diritti umani.
3. Una nuova legge sulla cittadinanza
Legata alla questione immigrazione, ma troppo spesso confusa con essa, è la discussione sulla cittadinanza, che riguarda persone – nello specifico ragazzi – che vivono da anni in Italia, o vi sono perfino nati. Amnesty chiede di modificare la legge n. 91/1992 che regola le modalità di acquisizione della cittadinanza italiana, per consentire a oltre un milione di giovani nati e/o cresciuti in Italia da genitori stranieri di ottenere subito lo status di cittadini e cittadine italiane, ponendo fine alla discriminazione cui sono sottoposti e facendo sì che nessun bambino e nessuna bambina nati e/o cresciuti in Italia da genitori stranieri debba più subirla in futuro.
Diritti senza cittadinanza. Ecco che succede se vincono Meloni & Company. Dall'eutanasia allo Ius scholae. Con le destre si ferma tutto https://t.co/PD1Hwyvf0U
Oggi chi è nato e cresciuto in Italia, e chi ha studiato nel nostro Paese, deve aspettare i 18 anni per poter chiedere la cittadinanza italiana. Tentativi di cambiare questa legge discriminatoria sono stati fatti nel corso della legislatura in scadenza, prima con lo Ius soli (acquisizione della cittadinanza in base al luogo di nascita) poi – ma troppo tardi – con lo Ius scholae (acquisizione della cittadinanza al completamente di un ciclo di studi in Italia)
4. No al razzismo nelle istituzioni
I due punti precedenti sono evidente corollario del fatto che il razzismo, purtroppo, è un fenomeno ancora molto diffuso, non solo tra gli italiani ma anche tra le stesse istituzioni, alimentato da stereotipi di difficile eradicazione. Per questo, un passo in avanti da compiere da qui ai prossimi 5 anni può essere adottare misure positive per prevenire e combattere la profilazione razziale ed etnica e le forme di discriminazione correlate.
Bakayoko: "Arma a un metro da me, la polizia ci ha messo in pericolo". Il calciatore del Milan su Instagram commenta il fermo avvenuto a Milano ripreso in un video #ANSAhttps://t.co/hf4qMOEX8npic.twitter.com/OFY3lVIvOo
Bisogna, ad esempio, porre fine alle pratiche discriminatorie dei controlli d’identità da parte delle forze di polizia, basate sulla profilazione razziale ed etnica (si ricordi il recente caso occorso al calciatore francese del Milan, Tiemouè Bakayoko), oltre a promuovere meccanismi di accountability. Necessario poi identificare e prevenire tutte le forme di razzismo istituzionale e le relative forme di discriminazione, e avviare meccanismi di raccolta dati aggiornati, disaggregati e resi pubblici, sulle violazioni su base razziale ed etnica compiuti dalle forze di polizia.
5. Giustizia climatica, ora!
Il Parlamento uscente ha sì approvato, con una decisione storica, l’inserimento del principio della tutela dell’ambiente (e degli animali), in Costituzione, ma non ha portato a termine una legge quadro sul clima.
🔴 L’Italia, da oggi, avrà nella sua Costituzione la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi e i diritti degli animali.
Lo prevede il disegno di legge costituzionale che la Camera dei deputati ha approvato a larghissima maggioranza. EVVIVA🎉https://t.co/pgRff7tocV
Il prossimo Parlamento dovrà allora seriamente porre le persone e i diritti umani al centro del dibattito sul cambiamento climatico, tramite un impegno concreto per la riduzione dei gas serra, azioni per il contenimento dell’aumento della temperatura globale entro 1,5°C e l’imposizione di misure di tutela conformi al rispetto dei diritti umani. Bisognerà infatti garantire che le future azioni per il clima siano condotte in modo da non violare i diritti umani di nessuno e da ridurre, piuttosto che aumentare, le disuguaglianze, adottare tutte le misure necessarie per aiutare la popolazione ad adattarsi agli effetti prevedibili e inevitabili del cambiamento climatico, riducendo al minimo il suo impatto sui diritti umani, collaborare con altri stati per condividere equamente la responsabilità e i doveri connessi al cambiamento climatico.
6. Basta discriminazione
Amnesty Italia chiede di istituire strumenti efficaci per contrastare l’abilismo, la misoginia e gli atti discriminatori nei confronti della comunità lgbtqia+, estendendo i dispositivi di legge a contrasto della discriminazione e della violenza già esistenti agli atti discriminatori nei confronti della comunità lgbtqia+, alla misoginia e all’abilismo. Includere in ogni futuro atto legislativo per il contrasto alla discriminazione tutti gli ambiti di stigmatizzazione, inclusi quelli relativi all’odio contro la comunità lgbtqia+ e incrementare e sistematizzare i meccanismi di raccolta dei dati relativi a discorsi e crimini d’odio.
Il pensiero, in questo caso, va immediatamente alla vicenda del ddl Zan sul contrasto all’omotransfobia, inizialmente approvato alla Camera e poi diventato miseramente terreno di scontro parlamentare nella passata legislatura, fino al suo definitivo accantonamento.
7. Proteggere la popolazione civile nei conflitti
Uno degli impegni che la politica deve assumersi, secondo Amnesty, è assicurare giustizia e rispetto dei diritti umani nell’ambito delle crisi internazionali, come quella in corso in Ucraina, ponendo al centro dell’agenda di politica estera la salvaguardia delle popolazioni civili nelle zone di conflitto.
Da associazione basata sul soft power, Amnesty chiede di considerare la diplomazia come strumento dirimente delle dispute internazionali, di garantire la corretta applicazione della legge n. 185/1990 sulla vendita delle armi a paesi terzi. E soprattutto di tenere fede all’articolo 11 della Costituzione che sancisce il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti.
8. Un’autorità nazionale per i diritti umani
L’Italia dovrebbe poi, in generale, rispettare l’impegno internazionale assunto presso le Nazioni Unite nel lontano 1993, per la creazione di un’autorità indipendente per i diritti umani. Nel rispetto dei cosiddetti Principi di Parigi, l’autorità dovrebbe essere indipendente, dotata di poteri e risorse adeguati, pluralista nella composizione, accessibile e con un mandato ampio, ovvero relativo a tutti i diritti umani internazionalmente riconosciuti. L’autorità dovrebbe essere una figura che ricalchi un po’ quella esercitata, proprio in sede Onu, da Mary Lawlor.
— Mary Lawlor UN Special Rapporteur HRDs (@MaryLawlorhrds) September 5, 2022
9. Dignità per chiunque
Spesso commettiamo l’errore di credere a reclamare diritti siano solamente gruppi specifici di persone, sulla base di fragilità, inclinazioni, status particolari. Ma i diritti umani sono universali per definizione. È necessario perciò garantire il diritto al godimento del più alto livello di salute fisica e mentale raggiungibile, favorevole a vivere una vita dignitosa per tutte le persone, senza discriminazioni.
In ogni ambito: in particolare va tutelato il diritto alla salute, alla vita, alla non discriminazione e alla vita privata e familiare delle persone anziane; il diritto al lavoro, incluso il diritto di partecipare alla vita sindacale, alla sicurezza sociale e all’alloggio. In questo quadro, va perfezionato l’attuale quadro giuridico sul whistleblowing, la pratica di denunciare reati sul proprio posto di lavoro, assicurandosi che tutti i datori di lavoro si dotino di sistemi che ai lavoratori di segnalare rischi per la salute e la sicurezza e prevedere meccanismi di segnalazione, sia nel privato che nel pubblico, capaci di dare forti garanzie di riservatezza e di indipendenza.
10. Protestare è un diritto
E se qualcuno di questi diritti fondamentale non venisse rispettato? Allora sarebbe giusto, e sacrosanto, e a sua volta un diritto, poter protestare pacificamente.
È necessario, secondo Amnesty (che ha istituito una task force apposita) rispettare il diritto alla libertà di riunione pacifica, porre fine alla criminalizzazione di chi manifesta, all’uso illegale della forza e delle armi meno letali da parte delle forze di polizia e all’uso della sorveglianza di massa illegale e mirata.
Il #21luglio ricorre l'anniversario delle brutali violenze alla scuola Diaz durante il G8 di Genova. Dopo 21 anni da quelle gravissime violazioni dei diritti umani, l’Italia è rimasta uno dei pochi stati dell'Ue senza una legge sui codici identificativi per le forze di polizia pic.twitter.com/YGAvblflbk
Allo stesso scopo, le forze di polizia in servizio di ordine pubblico devono essere adeguatamente equipaggiate con dispositivi di protezione, per ridurre al minimo la necessità di utilizzare armi e dotate di codici identificativi per individuare e assicurare alla giustizia coloro che si macchino di reati. Quella sui codici identificativi, non a caso, è una della battaglie più longeve portate avanti da Amnesty International: anche in questo caso, esistono delle proposte di legge depositate da tempo in Parlamento, ma mai calendarizzate. Piuttosto, nella legislatura ormai conclusa si è approdati all’utilizzo delle bodycam sulle divise delle forze dell’ordine.
Ma davvero i diritti sono controversi?
All’appello, fino ad ora, tra i leader politici impegnati in campagna elettorale hanno aderito Angelo Bonelli ed Eleonora Evi di Europa Verde, Luigi Di Magistris di Unione Popolare, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, Massimiliano Iervolino dei Radicali Italiani ed Emma Bonino di +Europa.
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, conviene che “usciamo da una legislatura molto timida, in cui l’aggettivo più spesso associato alle questioni relative ai diritti umani è stato “controverso”. Da qui l’esigenza di richiedere ai politici, senza alcun pregiudizio né preoccupazione legata ai sondaggi, di aderire al nostro manifesto. Lo facciamo a ogni elezione, l’abbiamo fatto questa volta sperando di superare la recente staticità”.
La speranza di Amnesty, rispetto alla situazione diritti umani in Italia, è che “nella prossima legislatura non si facciano passi indietro. E che anzi se ne facciano in avanti: è quello che auspichiamo dal governo, qualunque sarà, che si insedierà dopo il 25 settembre. Chiediamo a tutti di aderire, a prescindere dagli orientamenti, perché crediamo fortemente che il tema dei diritti umani non solo non sia controverso, ma neanche divisivo: saremo anche ingenui ma sarebbe un errore pensare che i diritti siano confinati in una sola parte politica”.
"Secondo una nuova analisi, infatti, negli ultimi cinquant’anni l’industria del gas e del petrolio ha incassato 2,8 miliardi di dollari di profitti. Ogni singolo giorno." @lifegatehttps://t.co/8VA26sXVYc
L’occasione, naturalmente, è quella delle elezioni del 25 settembre, ma quello dei diritti umani è un discorso che non si esaurisce ovviamente alla politica interna, ricorda infine Noury: “Uno dei punti, non di quelli meno importanti, riguarda la dimensione dei diritti all’interno della politica estera. La situazione di enorme crisi internazionale che stiamo vivendo, che ha a che fare con il tema del clima e con il controllo delle armi”. A dimostrazione che ogni diritto è strettamente collegato all’altro, e che non si può che procedere tutelandoli tutti insieme. A partire proprio dal diritto a un ambiente sano: “La direzione sul clima non è univoca e oltretutto la guerra ha scombinato tutto – conclude Noury – La questione energetica è figlia di tantissime decisioni non prese”. E di tantissimi diritti umani calpestati.
Numerose ong hanno sottolineato la situazione drammatica della popolazione palestinese a Gaza, chiedendo a Israele di rispettare il diritto umanitario.
Vida Diba, mente di Radical voice, ci parla della genesi della mostra che, grazie all’arte, racconta cosa significhi davvero la libertà. Ed esserne prive.
L’agenzia delle Nazioni Unite per la salute sessuale e riproduttiva (Unfpa) e il gruppo Prada hanno lanciato un programma di formazione per le donne africane.
Il Comune di Milano lo faceva già ma smise, attendendo una legge nazionale che ancora non c’è. Non si può più rimandare: si riparte per garantire diritti.