Gli elettori delle Filippine hanno scelto come presidente Ferdinand Marcos Jr, figlio del dittatore che tenne in scacco il paese tra gli anni Sessanta e Ottanta.
Ferdinand Marcos Jr è figlio del dittatore che tra il 1965 e il 1986 tra leggi marziali e persecuzioni fece uccidere migliaia di oppositori.
Nella sua campagna elettorale ha speso gran parte del tempo a esaltare la figura del padre e l’epoca d’oro che avrebbe regalato al paese.
Dopo sei anni difficili tra repressioni e violenze per mano del presidente Duterte, la nuova era Marcos “potrebbe rovinare il paese per sempre”.
Ferdinand Marcos Jr è il nuovo presidente delle Filippine. Il 9 maggio si è votato nello stato insulare per eleggere il successore di Rodrigo Duterte, che non poteva ricandidarsi visto che la legge locale vieta il doppio mandato. Dopo sei anni di omicidi extragiudiziali, repressione del dissenso e altre violazioni dei diritti umani che hanno portato perfino all’intervento della Corte penale internazionale, il voto poteva essere l’occasione per un passo verso la democrazia. E invece a vincere è stato il figlio dell’ex dittatore Ferdinand Marcos, che durante la campagna elettorale ha dedicato la gran parte dei suoi sforzi a riabilitare la figura del padre.
Il fatto che la carica di vicepresidente sia andata a Sara Duterte, figlia del presidente uscente, offre un quadro che si preannuncia ancora più drammatico rispetto a quello vissuto fino a ora dalle Filippine.
La fine dell’era di Rodrigo Duterte
La legge delle Filippine vieta a un presidente di candidarsi per un secondo mandato. Per questo motivo con il voto del 9 maggio è terminata l’epoca di Rodrigo Duterte, un periodo lungo sei anni che ha dato al paese grande risonanza internazionale ma non in termini positivi.
Duterte, detto “il Castigatore”, è stato per 22 anni sindaco di Davao City, dove tra squadroni della morte e repressione extragiudiziale ha messo in piedi un sanguinario sistema di lotta alla criminalità e al narcotraffico. Secondo i dati raccolti dall’organizzazione non governativa Human rights watch almeno 1.000 persone in città sono state uccise senza processo dalle forze di sicurezza e lo stesso Duterte in un’intervista ha dichiarato di aver sparato e ammazzato tre persone. Nel 2016 tutto questo è passato dall’essere una politica locale a una nazionale, con la vittoria da parte di Duterte delle elezioni presidenziali.
La lotta alla droga del presidente si è presa le copertine dei giornali di tutto il mondo, con le foto struggenti dei cadaveri di spacciatori e tossicodipendenti a riempire le strade di Manila e degli altri centri del paese, mentre il presidente ammiccava a un olocausto per i tossicodipendenti. Duterte ha dato ordine alle forze di polizia di sparare in caso di ogni tipo di resistenza, una licenza a uccidere che ha poi allargato anche ai cittadini offrendo l’alibi della legittima difesa.
A pochi mesi dal suo insediamento alla presidenza, c’è stata una notte in cui a Manila le forze di sicurezza hanno ucciso32 persone e se il governo ha parlato di 6mila criminali o presunti tali eliminati nel corso del mandato, fonti indipendenti sono arrivate a contarne 27mila solo tra il 2016 e il 2018. La situazione è apparsa talmente critica che nel 2018 la Corte penale internazionale ha avviato un esame preliminare sui metodi della guerra alla droga di Duterte e l’anno scorso la procuratrice della Corte, Fatou Bensouda, ha chiesto l’autorizzazione a processare l’ormai ex presidente.
Ma l’era Duterte è stata un problema anche per molte altre persone. 166 attivisti ambientali sono stati uccisi nelle Filippine tra il 2016 e il 2020, mentre giornalisti e politici di opposizione hanno subito un accanimento della magistratura. Anche la condizione femminile nel paese è andata deteriorandosi, con il presidente che non si è fatto problemi a palpeggiare donne in pubblico o ad apostrofare come “puttane” alcune partecipanti a un evento sull’empowerment femminile. Per il resto, da segnalare che poche settimane fa Duterte ha confermato la sua vicinanza al presidente russo Vladimir Putin, parte di un processo di distanziamento diplomatico da Stati Uniti e Unione Europea andato avanti per tutto il suo mandato, per quanto negli ultimi tempi si siano anche riaccesi gli scontri con la Cina sui territori marittimi.
Chi è il nuovo presidente delle Filippine
Le Filippine si sono presentate alle elezioni del 9 maggio con il 54esimo posto mondiale nell’indice di democrazia dell’Economist Intelligence Unit, con problemi nel campo dei diritti e delle libertà emersi proprio durante l’era Duterte. Ora però la situazione potrebbe peggiorare, visto che il cognome Duterte continuerà a presenziare nelle cariche alte istituzionali, al fianco di un altro cognome, Marcos, che rievoca tempi lontani e bui.
Sara Duterte, figlia del presidente uscente, è stata infatti nominata vicepresidente delle Filippine. Sopra di lei ci sarà Ferdinand Marcos Jr, che ha vinto le elezioni presidenziali (caratterizzate anche da violenze e sei morti), sconfiggendo gli altri nove candidati tra cui la più popolare tra i sondaggi era Leni Robredo, vicepresidente uscente, oppositrice di Rodrigo Duterte e avvocata per i diritti umani.
Il nuovo presidente è figlio di Ferdinand Marcos, al potere per 21 anni tra il 1965 e il 1986 in quella che venne trasformata in una vera e propria dittatura. Nel corso di quel ventennio decine di migliaia di persone vennero arrestate, torturate o uccise, con l’imposizione di una legge marziale che rimase in vigore per 14 anni. Nel frattempo lo spreco di denaro per la realizzazione di opere pubbliche inutili o fallimentari e lo stile di vita sfarzoso dei Marcos fece piombare il paese nella peggior crisi economica della sua storia. Dopo la caduta del regime la Philippines’ presidential commission on good governance (PCGG) ha risarcito migliaia di cittadini, dal momento che secondo le stime i Marcos avrebbero rubato al popolo circa 10 miliardi di dollari.
Supporters of presidential candidate Ferdinand Marcos Jr. are celebrating early outside his headquarters along EDSA, a historic avenue that was once the venue of the 1986 people power revolution that toppled his father. pic.twitter.com/EHyp6vgcVU
Quasi 40 anni dopo la fine della dittatura e come se la memoria collettiva fosse stata cancellata da una passata di gomma, oggi tocca al figlio Ferdinand Marcos Jr governare. Che tra buoni propositi di lotta alla corruzione e una certa linea di continuità con il suo predecessore Duterte nella guerra alla criminalità, ha costruito il suo consenso sul sostegno dei giovani grazie anche a una campagna elettorale massiccia sui social network. Ma soprattutto, si è fatto promotore di una sorta di revisionismo storico a suon di mistificazioni e fake news, con il terribile ventennio del regime del padre raccontato come un’epoca d’oro per le Filippine e l’ex dittatore dipinto come un vero e proprio genio politico.
Non un buon auspicio per un paese che arriva dai sei anni di Rodrigo Duterte, durante i quali si era già tornati a parlare di dittatura. Alla luce dei risultati elettorali sembra però che il peggio debba ancora arrivare e non è un caso che sul New York Times lo scrittore filippino Miguel Syjuco abbia scritto che Marcos Jr. “potrebbe rovinare il paese per sempre”.
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