Il 19 aprile iniziano le elezioni in India per rinnovare il Lok sabha, la camera bassa del parlamento.
I numeri sono enormi: 969 milioni di elettori registrati e quasi 700 partiti, impegnati in un processo elettorale articolato in sette fasi che durerà 44 giorni.
Il Partito del popolo indiano di Narendra Modi, alla guida di una coalizione che sostiene il nazionalismo indù, è favorito.
Fra i temi più caldi ci sono il tasso di disoccupazione e la polarizzazione socio-culturale fra la maggioranza induista e la popolazione musulmana, una minoranza da oltre 170 milioni di persone.
Le elezioni in India iniziano il prossimo 19 aprile. Saranno il più grande esercizio di democrazia della storia, nonostante quella stessa democrazia sia, a detta di molti, a rischio. Quasi unmiliardo di persone voterà alle consultazioni generali per eleggere i nuovi membri del Lok sabha, la camera bassa del parlamento. Il processo elettorale durerà diverse settimane, coinvolgendo un numero di elettori che, complessivamente, supera di gran lunga quello che nei primi mesi del 2024 si è recato alle urne in stati considerati popolosi come Bangladesh, Pakistan, Russia e Indonesia. Tra i quasi 700 partiti alle urne, c’è il Bharatiya janata party (Bjp) – il Partito del popolo indiano – guidato dall’attuale primo ministro Narendra Modi, oggi all’apice della popolarità dopo 10 anni di governo in cui ha trascinato il paese di 1,4 miliardi di persone – da poco ha superato la Cina come più popoloso al mondo – verso un nuovo nazionalismo. Non più laico, ma appartenente a un induismo politico, determinante nell’esercizio di un potere che ha finito per marginalizzare le altre religioni. Più che sull’esito delle elezioni – la vittoria di Modi appare sicura – in molti si stanno interrogando sul progressivo allontanamento dell’India dalla democrazia. Rahul Gandhi, uno dei leader dell’opposizione, ha parlato del rischio che una riconferma del Bjp, magari con numeri ancora più schiaccianti, conduca ad una riforma della Costituzione in senso autoritario e destinata a “infiammare” il paese. Un processo già iniziato, e confermato dalla repressione politica degli oppositori.
I numeri fuori scala delle elezioni in India
Che si tratti delle montagne dell’Himalaya, delle zone aride del Rajasthan o delle isole quasi disabitate dell’oceano Indiano, i membri della commissione elettorale indiana devono assicurare il regolare svolgimento delle elezioni che daranno vita al nuovo Lok sabha, la camera basa del parlamento indiano, composta da 545 membri. Quest’anno i funzionari statali hanno provveduto all’allestimento di un seggio a 4.650 metri di altitudine, in un villaggio nello stato settentrionale dell’Himachal Pradesh. È il seggio più “alto” al mondo. Nelle isole Andamane e Nicobare, al largo delle coste orientali, sono spuntati luoghi per votare in mezzo alla giungla.
Insomma, la sfida è monumentale. Anche i dati resi disponibili dalla commissione disegnano un processo elettorale senza precedenti. Gli elettori registrati sono 969 milioni, distribuiti fra 28 stati e 8 territori, fra cui quello della capitale, Nuova Delhi. In poco più di un milione di seggi elettorali sparsi per il paese verranno rese operative oltre 5 milioni di macchine per il voto elettronico.
Un voto lungo 44 giorni
Il voto per il Lok sabha è importante perché è la più potente delle due camere che compongono il parlamento indiano. Il partito o la coalizione che ottiene la maggioranza nomina uno dei suoi membri eletti come primo ministro, che non ha limiti di mandato secondo l’ordinamento costituzionale.
La legge elettorale indiana per la camera bassa del parlamento prevede un sistema maggioritario uninominale a un turno, dove ogni partito presenta un solo candidato per ogni circoscrizione. Viene eletto chi raccoglie più voti. Nella ripartizione dei seggi, la legge prevede una quota pari al 25 per cento riservata ai cosiddetti Dalit – “intoccabili” – appartenenti alle fasce di popolazione più emarginata. Un criterio simile vige per gli Adivasi, i popoli originari del subcontinente indiano. In queste circoscrizioni elettorali, solo i candidati dei gruppi protetti possono partecipare alle elezioni, anche se tutti gli adulti aventi diritto possono esprimere il proprio voto. Sebbene il parlamento indiano abbia recentemente approvato una nuova misura per riservare un terzo dei seggi legislativi alle donne, l’attuazione di questa legge è stata ritardata fino a dopo il 2024.
Si parla di processo elettorale perché le elezioni si articoleranno in sette fasi, la prima delle quali prenderà il via il 19 aprile, quando apriranno le urne. Altre date di votazione sono previste per il 26 aprile, il 7-13-20-25 maggio e il 1 giugno. Se in alcuni stati la votazione si completerà in un solo giorno, altri avranno più date a disposizione. In tutto, si parla di ben 44 giorni, poiché lo spoglio è rimandato al 4-5 giugno, dopo del quale verranno annunciati i risultati. L’India è abituata a tenere elezioni “spezzettate” su più giorni, tanto che il minimo storico è rappresentato dai 4 giorni del 1980, mentre nel 2019 ce ne sono voluti 39.
“Più lungo è il processo, maggiore è l’opportunità per il partito al governo di utilizzare le infrastrutture governative per fare campagna elettorale”, ha detto ad Al Jazeera Nadendla Bhaskara Rao, presidente del Center for Media Studies di Nuova Delhi. In effetti, il governo ha già messo a punto un immenso dispiegamento di forze in vista del voto – 15 milioni di persone tra addetti al voto e agenti di polizia – che eserciterà un controllo a tutto tondo: dalla violenza legata ai sondaggi ai tentativi di brogli. Sebbene sia molto complicato stabilire con decisione la spesa elettorale di ciascun partito, complice un sistema di controllo debole, la stima ufficiale di Rao parla di 1.200 miliardi di rupie, equivalenti a 13 miliardi di euro.
Le chiavi della vittoria di Modi
Il Bjp di Narendra Modi intende replicare la vittoria a schiacciante del 2019, con l’obiettivo di aumentare il controllo sul Lok Sabha. Il partito nazionalista indù è alla guida di una coalizione a cui partecipano decine di partiti: un’inezia se si pensa che le formazioni politiche registrate quest’anno sono oltre 2.600. Per queste elezioni, Modi ha fissato l’obiettivo a 370 seggi, 67 in più rispetto al 2019. Se l’attuale primo ministro dovesse riottenere la fiducia degli elettori assicurandosi un terzo mandato, avrebbe la possibilità di diventare il terzo premier più longevo della politica indiana al termine dei cinque anni. Il primo ministro del paese, Jawaharlal Nehru, governò per circa 16 anni e 9 mesi consecutivi, mentre sua figlia Indira Gandhi governò per un totale di circa 15 anni e 11 mesi.
La chiave di volta nel progetto di Modi per le elezioni in India risiede nella sua ad oggi incontrastata popolarità. Nel rintracciarne le origini il reporter Mujib Mashal del quotidiano statunitense New York Times ha detto che”Modi ha molti avatar: insegnante di yoga, poeta, campione di tecnologia, fotografo naturalista, persino santone vestito con abiti e copricapi colorati”. Identikit che convergono nella pervasività delle sue orazioni al popolo indiano, sia che esse siano veicolate via radio nelle dirette di trenta minuti divenute ormai il programma più ascoltato del paese, sia che si tratti di parlare al cospetto delle comunità.
La forza del leader risiede nella sua profonda conoscenza delle radici popolari dell’India, sviluppata nel corso di decenni come evangelizzatore della destra indù, soprattutto tra gli appartenenti alle caste più disastrate del paese. La prova più cristallina della capacità di Modi di attirare consensi delle Other Backward Classes, termine che ricomprende svariate sottocaste poco censite, ma che rappresentano circa il 40 per cento della popolazione. Modi, che proviene proprio da questo stesso tessuto sociale, ha sbancato soprattutto tra fasce più povere, ottenendo quasi il 50 per cento delle preferenze alle ultime elezioni: “Nel sistema-Modi la comunicazione è pensata con molta attenzione, quasi sempre positiva e sempre incorniciata per presentare l’indistinguibilità di Modi dall’India”, ha detto il ricercatore Joyojeet Pal, dell’Università del Michigan, al New York Times.
Il racconto della vittoria del Bjp alle elezioni del 2019 come l’esito di una tensione di carattere prevalentemente identitario, che vedeva il progetto nazionalista induista di Modi contrapposto al tradizionale laicismo dell’Inc, è un racconto parziale. Difficilmente il primo ministro sarebbe riuscito a penetrare così tanto nel tessuto sociale indiano senza ricorrere a misure pragmatiche largamente estese alla popolazione. Nemmeno la gestione della crisi di sicurezza nazionale con il Pakistan, allargatasi proprio in quegli anni, avrebbe avuto questo potenziale di fidelizzazione fra le masse.
Per assicurarsi nel tempo quel sostegno plasmato sull’emotività del racconto nazionalista è stato necessario aumentare esponenzialmente i sussidi statali, forgiando un “nuovo welfare”, come l’ha definito l’ex consigliere economico capo di Modi Arvind Subramanian, che è stato fondamentale nel delineare il programma economico del primo ministro.
Nel tempo il governo ha incrementato gli investimenti nella distribuzione pubblica di beni privati come le bombole di gas, servizi igienici, conti bancari e collegamenti elettrici, a cui si sono uniti trasferimenti diretti di denaro nei conti bancari delle famiglie. Il dato sconcertante, illustrato dal ricercatore Suyash Rai dell’Istituto Carnegie, è che se tra il 2013-2014 il governo centrale ha trasferito 73,7 miliardi di rupie in contanti (800 milioni di euro) a circa 108 milioni di beneficiari, fra il 2019 e il 2020, ha incanalato 2.000 miliardi di rupie (31 miliardi di euro) in contanti a più di 700 milioni di beneficiari. A questo si sono aggiunti 1.400 miliardi di rupie (18 miliardi di euro) di benefici in natura, ulteriormente aumentati a seguito della pandemia.
I volti dell’opposizione, indebolita dai processi
Come anticipato, lo scontro politico che inizierà il 19 aprile vedrà contrapposte due nutrite coalizioni. Da una parte c’è la National democratic alliance (Nda) il raggruppamento di governo guidato dal Bjp che include i partiti della destra conservatrice. Dall’altra parte c’è Indian National Developmental Inclusive Alliance, raccolto nell’acronimo India e guidato dal Partito del congresso nazionale indiano (Inc). Il fronte è eterogeneo e spazia dal centrismo laico dell’Inc ai partiti di sinistra, fino ai populisti del Partito dell’uomo qualunque, l’Aam aadmi party (Aap).
Il fondatore di quest’ultimo ed ex ministro capo di Nuova Delhi, Arvind Kejriwal, è stato arrestato a fine marzo e rinchiuso nel carcere Tihar della capitale indiana. Kejriwal è il fondatore dell’Aap, ed è attualmente in prigione con l’accusa di corruzione relativa ad un caso di assegnazione di licenze private per la vendita di alcolici. Nel 2021, il Territorio di Nuova Delhi aveva abbassato a 21 anni il limite di età per il consumo di alcol, invitando i privati ad aprire negozi fine di liberalizzare la vendita. Tale politica era stata sospesa nel 2022 e una successiva inchiesta aveva portato all’arresto di due membri della formazione di Kejriwal. Il suo arresto ha portato ad accese proteste nelle scorse settimane, partecipate anche dai vertici dell’Aap che accusano la magistratura di condurre un processo politico nei confronti di uno dei più “rumorosi” oppositori di Modi e del suo partito proprio alla vigilia delle elezioni.
#ArvindKejriwal's petition before the Supreme Court states that if the Delhi CM is not released forthwith to participate in the upcoming elections, it will establish a precedence for ruling parties to arrest opposition leaders on flimsy charges before elections.
Kejriwal è divenuto popolare in India nel 2012, quando da dirigente dell’azienda statale per la riscossione delle tasse era venuto a capo di un movimento di matrice laica e orientamento populista che faceva della lotta alla corruzione il suo principale obiettivo. Il simbolo dell’Aap, non a caso, è una scopa, per “spazzarla via”. Nel 2013 venne eletto alle elezioni per il Territorio di Nuova Delhi, mettendo fine a 15 anni di governo dell’Inc. Venne poi rieletto sia nel 2015 – dopo essersi dimesso anzitempo – che nel 2020. L’Aap governo lo stato del Punjab, nel nord del paese, mentre a livello nazionale fa parte della coalizione di opposizione a Modi, verso cui è tra i partiti più critici.
Rahul Gandhi ha criticato aspramente l’arresto di Kejriwal , accusando il governo di controllare la magistratura e arrivando a definire Modi un “dittatore”. Gandhi, che si è candidato ufficialmente alle elezioni lo scorso marzo, è fra i leader dell’Inc, nonché ultimo esponente di una dinastia politica di grande successo, iniziata con il nonno Indira Gandhi e proseguita con i suoi genitori Rajiv e Sonia Gandhi. L’attuale presidente del partito è Mallikarjun Kharge, che guida l’opposizione al Rajya Sabha, la camera alta del parlamento.
Il tasso di disoccupazione alla vigilia delle elezioni in India
A tenere banco in queste infinite elezioni sarà innanzitutto la questione economica in senso allargato, che riguarderà la crescita dell’economia nazionale per atterrare sulla distribuzione della ricchezza, le politiche di welfare e il tasso di occupazione. Negli ultimi anni l’economia dell’India ha superato della Gran Bretagna, diventando la quinta più grande al mondo.
A questo non è però coinciso un sistema di redistribuzione della ricchezza – come illustrato da uno studio del World inequality database – con il risultato che il numero di miliardari è quasi triplicato negli ultimi dieci anni, mentre la gran parte delle classi meno agiate, spesso stanziate nell’India rurale, è sostanzialmente rimasta al palo.
C’è poi un altro ingombrante dibattito che collega il ricorso smodato ai sussidi – il cosiddetto welfarismo – al crescente tasso di disoccupazione. La pioggia di aiuti governativi descritta in precedenza non è infatti stata accompagnata da politiche per l’occupazione, che oggi fa registrare numeri allarmanti. Secondo il quotidiano Domani, che ha citato i dati del think tank Center for Monitoring Indian Economy, “nel 2023 il tasso di disoccupazione giovanile era pari al 45,4 per cento e va in gran parte attribuito alla disoccupazione nelle campagne, rispetto alla disoccupazione urbana”.
Sulle braci ardenti dell’impoverimento delle campagne si sono infiammate le proteste degli scorsi mesi, che hanno costituito uno dei più allarmanti momenti di contestazione al governo. È dalle proteste del 2020, le più grandi della storia recente, che i contadini costituiscono una delle spine nel fianco dell’attuale governo. Per questo motivo andrà tenuto d’occhio l’esito del voto negli stati settentrionali del Punjab e dell’Uttar Pradesh, e di riflesso l’impatto di quelle proteste che più di una volta hanno costretto il governo a dispiegare l’esercito.
L’India sul palcoscenico internazionale
Da quando Modi ha preso in mano l’India nell’ormai lontano 2010, il paese è cambiato prodonfamente. Nonostante le ancora profonde disparità all’interno della società e il citatato nodo della disoccupazione, specie giovanile, l’india è riuscita a comunicare al mondo un’immagine di sè proitettata verso il futuro – che accompagna la crescita economica a investimenti infrstrutturali e nel settore teconologico. La volontà di Nuova Delhi è quella accrescere il proprio peso internazionale tanto dal punto di vista economico quanto politico. L’eccezione indiana, che segue in questo senso quanto fatto in precedenza da Pechino, seppur con numerosi distinguo, risiede però nella possibilità muoversi sul palcoscenico globale secondo la stella polare dell’interesse nazionale, che continua a venire prima di ogni altra cosa. è il caso, per esempio, della collaborazione che l’India ha garantito a Mosca all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Se i missili lanciati su Kiev hanno causato immediatamente la ritirata dell’Occidente da ogni rapporto con Mosca e il Cremlino, l’India ha approfittato della situazione per rinvigorire i legami economici con la Russia, stipulando nuovi accordi per l’approvvigionamento di gas e combutibili fossili da cui l’economia indiana ha fatto più volte capire che non intende staccarsi. Un comportamento diverso, invece, è stato quello riguardante la crisi in Medio Oriente, che nelle ultime ore ha alzato il livello si intensità dopo lo sciame di droni e missili inviati da Teheran a seguito dell’attacco israeliano all’ambasciata iraniana di Damasco. In questo caso – almeno in prima battuta – Nuova Delhi sembra essersi allineata sulle posizioni della comunità internazionale, che invoca la fine dello scambio infuocato. Dopo aver invitato i cittadini indiani a non recarsi in Iran e Israele, il ministero degli Esteri indiano ha fatto sapere si essere “fortemente preoccupato” dalla situazione, che comporta il “forte rischio di un ulteriore acuirsi di violenza e instabilità”.
I musulmani emarginati e l’induismo intollerante di Modi
A meta marzo l’India ha varato una legge che agevola la regolarizzazione nel paese soltanto dei migranti non musulmani provenienti dai paesi vicini. Il provvedimento era stato fortemente criticato per il carattere discriminatorio e apertamente anti-musulmano. Un nodo su cui la coalizione di opposizione proverà a mettere pressione al Bjp riguarda proprio il crescente conflitto etnico, dove è la questione della “minoranza” di fede musulmana ad essersi legata maggiormente a questa campagna elettorale.
L’India ospita la terza popolazione musulmana più numerosa al mondo – 172,2 milioni, secondo il censimento del 2011 – ma la politica nazionale è sempre stata contraddistinta da un problema di sottorappresentazione. Questo perché i musulmani – che contano per il 14 per cento della popolazione totale vivono concentrati in un numero relativamente limitato di stati. Il maggior numero di loro vive nell’Uttar Pradesh, lo stato più grande dell’India e il più rappresentato al Lok Sabha con 80 dei 543 seggi, ma si contano numeri importanti anche nel Bengala occidentale, Bihar e Assam. Sebbene nel paese siano presenti partiti nati come musulmani, la popolazione di fede islamica ha tradizionalmente votato per il Partito del congresso, identificandosi anche con le formazioni laiche e orientate a sinistra. Questa grande frammentazione, tanto dell’elettorato attivo quanto di quello passivo – molti partiti laici hanno presentato candidati musulmani nelle aree a maggior concentrazione – ha finito con il farli perdere di fronte agli avversari conservatori.
Alla sottorappresentazione si è aggiunta l’intenzione di Modi di promuovere una versione della storia nazionale induista, funzionale alla visione sociale e politica del governo. Un progetto portato avanti anche grazie alle sentenze di una magistratura più volte descritta come subordinata all’indirizzo politico del primo ministro. L’esempio più eclatante degli ultimi mesi è stato senza dubbio quello legato tempio di Lord Ram ad Ayodhya, attorno al quale era nata una controversia antica.
L’inaugurazione del tempio dedicato alla divinità induista si è tenuta a gennaio, ed ha rappresentato uno degli acuti di Modi in campagna elettorale. Migliaia di persone vi hanno partecipato e le foto hanno fatto il giro del mondo. Ma il territorio su cui è stato edificato è lo stesso in cui sorgeva la moschea Babri Masjid, costruita nel Sedicesimo secolo e fortemente avversata dalla popolazione indù, che ne rivendicava la sacralità. La disputa si intensificò fino a che, nel 1992, oltre 10.000 nazionalisti indù la demolirono, causando violentissime rivolte in cui morirono più di 2.000 persone.
— Jaipurbreakingnews (@Jaipurbreaking) April 7, 2024
Resta da vedere se episodi come questo riusciranno a convincere l’elettorato musulmano ad abbandonare le segmentazioni del passato che lo hanno condannato ad una scarsa rilevanza, specialmente alla luce dell’avanzata induista degli ultimi anni. Chissà se questa polarizzazione sostenuta dalle politiche di Modi potrà paradossalmente creare un fronte di opposizione più compatto contro il suo partito, intaccando il potere che il primo ministro ha lavorato per consolidare negli ultimi anni promuovendo, anche sul piano internazionale, un’idea di India moderna, ma profondamente radicata alle pratiche religiose induiste.
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