Elezioni in Iran, chi sono i sei candidati alla presidenza

Le elezioni presidenziali in Iran si terranno venerdì 28 giugno. Solo sei candidati sono stati ammessi a partecipare alla tornata.

È probabile che le prossime elezioni in Iran non porteranno ad una svolta nel governo della nazione mediorientale. La maggior parte dei candidati autorizzati a correre per le presidenziali, previste per venerdì 28 giugno, sono infatti dei conservatori: solo uno è un riformista. E nell’elenco non figura neanche una donna.

Una novità, però c’è: la lista presenta soltanto un religioso, mentre cinque degli otto presidenti della Repubblica islamica, dopo la rivoluzione del 1979, sono stati membri del clero sciita. Chi vincerà, prenderà il posto di Ebrahim Raisi, precipitato lo scorso 19 maggio in elicottero mentre rientrava dalla cerimonia di inaugurazione di una diga al confine con l’Azerbaigian.

La scure insindacabile del Consiglio dei guardiani dell’Iran sui candidati

Sono sei in tutto i candidati autorizzati a presentarsi alle elezioni dal Consiglio dei guardiani della Costituzione, organismo non elettivo dominato dai conservatori e incaricato di supervisionare il processo elettorale. Ciò su un totale di 80 persone che si erano presentate inizialmente. Si tratta del presidente attuale del Parlamento, Mohammad Bagher Ghalibaf, del sindaco di Teheran Alireza Zakani, dell’ex capo dei negoziati sulla questione nucleare Said Jalili, del capo della Fondazione dei martiri Amir-Hossein Ghazizadeh Hachemi, dell’ex ministro degli Interni Mostafa Pourmohammadi e, unico candidato fuori dal coro e a suo modo “progressista”, Massoud Pezeshkian, deputato della città di Tabriz ed ex ministro della Salute.

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi (secondo da sinistra) all'inaugurazione della diga Qiz Qalasi
L’ex presidente iraniano Ebrahim Raisi (secondo da sinistra) all’inaugurazione della diga Qiz Qalasi © Office of the President of the Islamic Republic of Iran via Getty Images

Non si potrà presentare invece l’ex ministro ultra-conservatore e populista Mahmoud Ahmadinejad, che sperava a 67 anni di tornare al vertice dell’Iran, dopo aver guidato la nazione dal 2005 al 2013. Si tratta del terzo rifiuto per lui, dopo quelli del 2017 e del 2021. Allo stesso modo, non è stata approvata la candidatura di Ali Larijani, ex presidente del Parlamento, considerato un moderato. Non si conoscono le ragioni ufficiali dei rifiuti, dal momento che il Consiglio dei guardiani non è tenuto a giustificare pubblicamente le proprie scelte.

Non ammessa la candidatura dell’ex presidente Ahmadinejad

È piuttosto palese, in ogni caso, il fatto che l’istituzione tenda a scartare i candidati più riformisti. Nel 2021, aveva accettato solamente sette nomi sui ben 592 che si erano fatti a anti, e anche in quel caso l’orientamento era andato chiaramente a favore di personalità spiccatamente conservatrici. Uno di loro era proprio Raisi, che fu eletto al primo turno, sebbene con un’affluenza alle urne molto bassa, pari al 49 per cento: il dato peggiore dal 1979.

Eletto per quattro anni, il presidente riveste un ruolo di particolare importanza poiché guida il governo e la linea politica della nazione: si tratta infatti di un organismo sui generis, in assenza di un primo ministro. Tuttavia, il capo dello Stato in Iran non è lui ma resta la Guida suprema ovvero, attualmente, l’ayatollah Ali Khamnenei, che ricopre il ruolo da ormai 35 anni.

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

L'autenticità di questa notizia è certificata in blockchain. Scopri di più
Articoli correlati
Cosa succede in Georgia, dove la gente è tornata a protestare

Migliaia di persone sono scese in strada contro la decisione del governo di sospendere i negoziati per l’adesione all’Unione europea fino al 2028. Violenta la reazione delle forze dell’ordine. La presidente della Georgia rifiuta di lasciare il mandato finché non verranno indette nuove elezioni.