La felicità non è solo un sentimento imperscrutabile del nostro intimo ma una competenza, una soft skill che possiamo allenare e sviluppare attraverso strumenti e percorsi ad hoc. Una persona felice vive meglio, è più appagata e soddisfatta ed è anche più sana. Se questa felicità viene coltivata sul luogo di lavoro, ne guadagneranno da un lato la sfera familiare e personale, dall’altro lato la produttività, con benefici che ricadono sull’organizzazione nel suo insieme. Non è teoria, sono i numeri a parlare: è la scienza della felicità che ha fondamento nelle neuroscienze. Uno studio realizzato qualche anno fa da Harvard business review dimostra che un team felice e coinvolto permette di aumentare in media del 37 per cento le vendite, del 31 per cento la produttività e del 40 per cento la retention del personale.
Ma che cos’è esattamente la felicità e che ruolo può avere nel mondo delle imprese? Ne abbiamo parlato con Elga Corricelli, consulente di trasformazione positiva per le organizzazioni e advisor per l’area People di LifeGate Way, la controllata del gruppo LifeGate che si occupa di startup sostenibili. Insieme a Elisabetta Dallavalle e Sandro Formica, Elga Corricelli ha fondato l’Osservatorio BenEssere Felicità in Italia, associazione che per prima ha misurato la felicità nelle organizzazioni coinvolgendo più di mille lavoratori.
Dopo molti anni nel mondo della comunicazione, Elga Corricelli si è trovata disallineata rispetto ai valori dell’organizzazione per cui lavorava, sentendo di non poter dare il suo miglior contributo. Questa consapevolezza è proprio la base del lavoro di ricerca della felicità e da qui è nato per lei un nuovo percorso prima di studi, poi professionale.
Cominciamo dalle basi: che cos’è la felicità? La felicità è un’emozione ma è anche una meta-competenza, una soft skill, un’attitudine che tutti abbiamo e dobbiamo esercitare. Grazie a studi internazionali, soprattutto americani, oggi sappiamo che per il 50 per cento la felicità ha una componente genetica, che costituisce l’attitudine di ognuno, per il 10 per cento dipende da fattori ed eventi esterni e per il 40 per cento dipende da noi. Sapere che tutti noi abbiamo la predisposizione a essere felici, e che la nostra felicità è nelle nostre mani, è una notizia incredibile. Lo dicono gli studi di psicologia positiva, supportati dalle neuroscienze.
Come possiamo essere più felici? Dobbiamo partire dalla consapevolezza di noi stessi e dei nostri bisogni, poi cerchiamo di capire come soddisfarli. Allo stesso modo dobbiamo scoprire quali sono i nostri valori e allinearci a essi nelle nostre azioni. È importante poi scoprire e valorizzare i nostri talenti che non devono necessariamente essere capacità straordinarie, ma possono anche essere piccole abilità che danno valore alle nostre azioni.
Possiamo allenare la nostra attitudine al pensiero positivo, trovare uno scopo a cui dedicarci e a cui dare il nostro contributo personale, prestare attenzione a quelle emozioni positive che tutti i giorni viviamo ma che spesso ignoriamo, ad esempio la gratitudine o la gentilezza. Possiamo utilizzare la potenza dell’immaginazione in modo costruttivo per proiettarci con tutti e cinque i sensi in una realtà che ci provoca sensazioni positive, anziché per prefigurare situazioni negative o che ci creano ansia. È questa la cosiddetta immaginazione indirizzata, utilizzata anche dagli atleti per migliorare la propria performance, una tecnica che fa leva sull’incapacità del cervello di distinguere ciò che immaginiamo da ciò che viviamo realmente. Anche la mindfulness è uno strumento potentissimo per ricaricarsi, vivere nel presente, alleggerire i carichi che abbiamo addosso. Rendiamoci conto che ognuno di noi ha ottantamila pensieri al giorno e più della metà sono pensieri negativi.
Come possiamo portare la felicità in azienda? Come abbiamo detto la self awareness, la conoscenza di se stessi, è la base della felicità. Il lavoratore dovrebbe prediligere un’organizzazione in linea con i propri valori e un lavoro che gli permetta di applicare i propri talenti, perché così lavorerà meglio e sarà più felice. Infatti, quando diamo un contributo di valore al nostro obiettivo, alla nostra purpose, facciamo di più e meglio fino a perdere la cognizione del tempo.
Why #wellbeing matters and how to improve it? #WorldMentalHealthDay In a 2019 research piece, Professor @jedeneve finds employee happiness directly relates to their productivity. 'Workers were about 20% more productive in weeks when they were happy' https://t.co/IL6PTXLYTU
Sapere quello che ci fa stare bene ci permettere di scegliere bene e sentirci più appagati e felici. Non solo: fa in modo che anche gli altri possano esprimersi in modo autentico e avvicinarsi al proprio benessere. Il lavoratore dovrà portare nel team la propria unicità e parlare il linguaggio dei bisogni, cioè essere chiaro su ciò di cui ha bisogno per lavorare al meglio e senza conflitti. I bisogni e i valori sono personali ma, quando si entra in un team, è possibile allinearsi a quelli degli altri. Noi esseri umani siamo fatti per collaborare, includere, scambiarci pareri e opinioni, costruire insieme. Per questo la solitudine è un parametro che viene misurato dal nostro Osservatorio, perché la solitudine è un sentimento di abbandono, in cui ci si trova senza risorse esterne. Il contrario rispetto alla felicità.
Cosa può fare l’organizzazione per facilitare la felicità del team? L’organizzazione dovrebbe puntare a essere positiva; così vengono chiamate quelle realtà che lavorano in allineamento con i propri valori e promuovono la felicità, rendendo possibile tutto ciò che abbiamo appena nominato tramite l’ascolto attivo, l’accettazione delle persone per come sono e la coerenza della mission e dei valori aziendali con il comportamento della leadership. Le figure al vertice dell’organigramma devono essere le prime a dare l’esempio.
Anche promuovere un sistema basato su fiducia e trasparenza piuttosto che su controllo e competitività, un sistema che favorisca dinamiche generative e collaborative che puntino al beneficio comune, sono azioni che vanno nella direzione giusta. Nel lavoro di team è fondamentale condividere, mettersi a disposizione, liberare la creatività e il pensiero laterale e quindi l’innovazione. Al contrario, quando abbiamo paura di fallire e temiamo il giudizio degli altri ci limitiamo e facciamo le cose come le abbiamo sempre fatte. Per spingerci oltre l’abitudine abbiamo bisogno di un ambiente che ci dia fiducia.
Che consigli possiamo dare alle startup? Un’organizzazione felice è più produttiva, ha maggiori probabilità di successo e di essere sostenibile nel tempo. Lavorare sulla felicità in azienda quindi è un’attività win-win, vincente da ogni punto di vista, e ogni momento è buono per intraprenderla. Non c’è dubbio però sul fatto che, se già in fase di startup vengono messe le basi per costruire un’organizzazione positiva, c’è solo da guadagnarci. Quindi, allenando sin dall’inizio la nostra impresa sulle competenze soft, possiamo costruire un’organizzazione più allineata e produttiva.
Qual è la relazione tra felicità e salute e la ricaduta economica di questo legame? Le neuroscienze, a cui la scienza della felicità è strettamente legata, analizzano come si comporta una persona sulla base degli stimoli ricevuti, qual è la sua risposta fisiologica. I risultati dicono che la felicità sviluppa ormoni positivi come la dopamina o la serotonina. Questi ultimi fanno sì che la persona si ammali meno, al contrario degli ormoni negativi che appesantiscono il sistema immunitario.
Uno dei motivi per cui si sta accendendo l’attenzione sul tema della felicità al lavoro è anche dovuto all’allarme lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sull’enorme numero delle persone in burn-out, ovvero quelle che attraversano un esaurimento al lavoro. Secondo una ricerca di Gallup, è una condizione che ben il 28 per cento della popolazione ha sperimentato spesso. Il malessere delle persone si traduce anche in una perdita di redditività alle aziende. Sempre Gallup ne ha analizzato le conseguenze economiche: si tratta di un totale di 322 miliardi di dollari di fatturato persi a livello globale, 20 milioni di dollari che vanno in fumo per business mancati ogni 10mila lavoratori in difficoltà.
A che punto siamo con la felicità al lavoro in Italia? Proprio per misurarla è nato il primo Osservatorio BenEssere e felicità dell’associazione Ricerca felicità. Nell’edizione 2021 sono stati coinvolti 1.300 partecipanti, dipendenti o liberi professionisti, divisi tra baby boomer (nati tra il 1946 e il 1964), generazione X (1965-1980), millennial (1981-1996) e generazione Z (dal 1997 in poi).
Dai risultati emerge che gli italiani sono mediamente soddisfatti del lavoro, con qualche inevitabile differenza a seconda di sesso, età e regione di residenza. Per esempio le donne sono più insoddisfatte degli uomini sulle opportunità di carriera (44 per cento contro 35 per cento) e il nord est è meno felice del sud. I baby boomer sono più felici della generazione Z, mentre la generazione X è molto preoccupata per il futuro. L’insoddisfazione dei più giovani è legata anche alla filosofia che è stata ribattezzata yolo (you only live once): non si accontentano di ricevere uno stipendio a fine mese, ma ci tengono a dare un contributo di valore all’organizzazione. In modo trasversale a tutta la popolazione coinvolta, emerge una mancanza di allineamento valoriale tra lavoratori e imprese, accompagnata da una percezione di scarso orientamento al futuro.
L’edizione 2022 dell’Osservatorio sarà disponibile tra qualche settimana e indagherà anche altre dimensioni, come il tasso di felicità degli imprenditori, le motivazioni che spingono a cambiare lavoro e la relazione tra felicità e sostenibilità.
“Il nostro obiettivo è sempre stato quello di trasformare un rifiuto in qualcosa di meraviglioso”. L’intervista a Matteo Longo, direttore generale di Bioforcetech.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite competizione e corsa alle performance colpiscono la salute mentale dei lavoratori, moltiplicano i casi di burn-out.
L’agrivoltaico permette la coesistenza di agricoltura ed energia solare. Un segmento che potrebbe rappresentare la frontiera della produzione energetica, come dimostra l’esempio di Caviro.
Acemoglu, Johnson e Robinson hanno dimostrato che le istituzioni democratiche creano prosperità e sviluppo. E sottolineato il ruolo delle colonizzazioni.