La campagna Vote for animals, promossa da Lav e altre organizzazioni, mira a far assumere a candidati e partiti un impegno maggiore sul tema dei diritti animali.
Perché è necessario eliminare le gabbie negli allevamenti di galline ovaiole
Due nuove campagne chiedono a Kfc e al gruppo Gros di adottare misure senza gabbie a tutela del benessere delle galline ovaiole.
Ogni anno, nell’Unione europea vengono allevate circa 400 milioni di galline ovaiole, di cui oltre la metà è costretta a vivere in gabbie sovraffollate in uno spazio pari a un foglio di carta A4. Con un totale di 15 miliardi di uova all’anno, l’Italia è fra i primi produttori europei. Questo significa che circa 20 milioni di galline nel nostro Paese vengono allevate in gabbia, ma la percentuale di sistemi alternativi negli ultimi anni è in forte crescita.
Nonostante molte aziende e realtà della grande distribuzione organizzata abbiano assunto impegni concreti contro l’uso delle gabbie, la famosa catena di fast food Kfc e la catena di supermercati romana Gruppo Gros non hanno ancora preso le distanze da questo tipo di allevamento crudele ed obsoleto, ormai rifiutato dalla maggioranza dei consumatori. Per questo motivo la richiesta che Animal Equality rivolge a queste insegne è chiara: fare la propria parte per gli animali attraverso un impegno pubblico a non rifornirsi da allevamenti di galline in gabbia.
Cosa succede alle galline ovaiole chiuse nelle gabbie
Stipate insieme alle compagne in gabbie così piccole e affollate da non poter esprimersi in nessuno dei loro comportamenti naturali, le galline dietro le sbarre sono condannate a vivere un’esistenza atroce. Di frequente, parti del loro corpo rimangono intrappolate nelle pareti della gabbia causando frattura delle ossa, deformità e perdita del piumaggio. Alcuni di questi animali, troppo esausti o incapaci di muoversi, finiscono addirittura per perdere la vita, calpestate dalle compagne.
Spesso impilate su più piani all’interno di un capannone, le gabbie costringono inoltre gli animali ad un’eccessiva vicinanza che aumenta la probabilità̀ di diffusione delle malattie e rende nocive le condizioni ambientali, peggiorando anche la qualità̀ dell’aria.
In particolare, le gabbie costringono le galline – animali sociali per natura – a vivere isolate impedendo di sviluppare normali comportamenti specie-specifici e relazioni durature tra di loro, nonché di organizzare attività collettive, come ad esempio la ricerca del cibo. Oltremodo limitate in direzione verticale e orizzontale, le galline sono stipate in grandi densità senza la possibilità di allontanarsi dagli individui più aggressivi e di scegliere i compagni del gruppo.
Vivendo ammassate, le galline non hanno la possibilità di muoversi liberamente e di fare esercizio fisico. A causa di questa condizione, riportano gravi problemi di salute come osteoporosi e problemi alle ossa, oltre che forte stress fisico e psicologico. La conseguenza forse più sconvolgente, però, è l’invasione dei parassiti sui corpi delle galline. In natura, esse potrebbero al contrario disporre di una strategia efficace per difendersi da queste invasioni, i cosiddetti “bagni di polvere”, che consistono nell’accovacciarsi nella terra e sollevare con le ali la polvere. Così facendo la polvere si deposita sulle piume e intrappola i parassiti permettendo agli animali di liberarsene scrollando il corpo e facendoli cadere a terra.
Le direttive a livello europeo e la campagna End the cage age
Il divieto di utilizzo delle gabbie di batteria imposto dall’Ue è entrato in vigore nel 2012 grazie al lavoro di sensibilizzazione portato avanti da numerose organizzazioni per il benessere animale. D’altra parte, però, persiste l’impiego delle cosiddette gabbie “arricchite” per oltre metà delle galline ovaiole, i polli da carne e le pollastre.
Sebbene dati recenti attestino che nell’Unione europea circa 210 milioni di galline vengono tenute nelle cosiddette gabbie “arricchite”, queste non costituiscono tuttavia un’alternativa soddisfacente in grado di migliorare davvero la condizione di vita delle galline negli allevamenti. Tali gabbie erano state progettate per soddisfare meglio le loro esigenze comportamentali, che però sono ancora molto limitate a causa delle restrizioni dovute alla mancanza di spazio verticale e alle elevate quantità di animali presenti al loro interno.
In Europa, alcuni Paesi hanno già scelto di fare la differenza. In Lussemburgo, ad esempio, le gabbie “arricchite” per le galline ovaiole sono vietate così come in Austria, mentre in Germania il divieto entrerà in vigore dal 2025. Anche numerosi supermercati europei stanno passando alle uova provenienti da allevamenti che non utilizzano gabbie.
Per chiedere alla Commissione europea di eliminare le gabbie dagli allevamenti di galline e altri animali allevati a scopo alimentare, nel 2018 è stata inaugurata la campagna End the Cage Age. Nata per iniziativa dei cittadini europei, questa è stata sostenuta da oltre 170 organizzazioni – tra cui Animal Equality – un gruppo di membri trasversali del Parlamento europeo, il Comitato europeo delle regioni, un gruppo di oltre 140 scienziati, rappresentanti della comunità imprenditoriale, organizzazioni che si battono per la protezione dell’ambiente, della salute e dell’agricoltura, così come studenti di veterinaria e veterinari.
Le campagne di Animal Equality e l’opinione pubblica
Di fronte alle tremende e ingiustificate sofferenze a cui sono sottoposte le galline ovaiole, Animal Equality chiede ai grandi marchi di assumere una posizione netta per fermare le pratiche che ne sono la causa.
In assenza di una policy globale “cage-free”, Kfc e la multinazionale che la possiede, Yum! Brands, dimostrano di non aver ancora preso ufficialmente le distanze dagli allevamenti di galline in gabbia. Eppure, con la crescita della domanda di consumatori di uova provenienti da allevamenti che non costringono le galline all’interno delle gabbie, sono numerose le aziende leader del settore ad aver detto basta alle gabbie attraverso un impegno pubblico valido a livello globale. Tra queste ricordiamo Unilever, Nestlé, Aldi, InterContinental Hotels, Sodexo, Mondelez, Restaurant brand international, Compass Group, shake shack, Marche famose, Costa coffee e Barilla.
Per quanto riguarda la grande distribuzione organizzata, realtà come Carrefour, Pam Panorama, Coop ed Bennet hanno già preso posizione contro gli allevamenti in gabbia e i sistemi combinati – una modalità di allevamento del tutto paragonabile alle gabbie per il benessere animale – scoraggiando così l’uso di pratiche di cui milioni di galline sono vittime ogni anno.
Per dire basta alle gabbie, a seguito di numerose sollecitazioni rimaste inascoltate, dal 10 al 16 maggio, Animal Equality è scesa in strada a Roma insieme ai suoi volontari protestando contro il silenzio di Gros e chiedendo di impegnarsi come hanno fatto altri suoi colleghi nel prendere posizione a favore di misure “cage-free”.
È evidente quanto simili decisioni da parte di Kfc e di Gros possano fare la differenza per diverse centinaia di migliaia di galline – 145.000 all’anno solo nel caso di Gros – e dare finalmente voce alle richieste dei milioni di consumatori italiani ed europei che sono sensibili alle condizioni di vita degli animali negli allevamenti e che chiedono trasparenza da parte delle aziende.
Secondo l’Eurobarometro, l’opinione pubblica è ampiamente a favore di un miglioramento del benessere degli animali allevati. Il 94 per cento della popolazione europea considera infatti la tutela del benessere degli animali negli allevamenti una questione di fondamentale importanza e l’82 per cento invoca una migliore protezione degli animali allevati.
Rimanere a guardare non è più possibile. Le petizioni lanciate da Animal Equality nei confronti di Kfc – disponibile qui – e di Gruppo Gros – disponibile qui – mirano a fermare un sistema di allevamento che continua a rappresentare un conto salatissimo per animali, ambiente ed esseri umani.
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