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Chi presume di non sbagliar mai, o si comporta praticamente come se nutrisse tale presunzione, non conosce la storia dell’uomo, o, conoscendola, non ha saputo trarne insegnamento.
Poiché codesta storia, sia civile sia scientifica,
è tutta una trama di errori di pensiero, di sentimento e di
azione, di errori inediti e voluti, di errori individuali e
collettivi.
Il vero è per sua natura quietivo; l’errore è invece
un lievito ricco di fermenti, suscita nello spirito
un’inquietudine, un bisogno di tentare e di fare che non s’acquista
se non quando è soddisfatto. Esso (l’errore) serve da
impalcatura provvisoria all?edificio della verità, da ponte
di passaggio alla terra promessa. Ottenuto lo scopo, distruggiamo
pure impalcatura e ponte, ma non ci scordiamo i servizi che ci
hanno reso.
(C. Ranzoli, “La bellezza dell’errore”?, in
Rivista d’Italia, aprile, 1913)
La ricerca si configura come un processo senza fine, teso a
rinvenire problemi, a selezionarli, a formulare ipotesi, a
costruire prove, a ricercare errori, a fornire nuove prove, in un
processo senza fine, alimentato dallo stupore, dallo sguardo
spalancato sul mondo, avido di conoscenza.
In questo senso valgono le superbe parole di Einstein: « Chi
non è più in grado di provare né stupore
né sorpresa, è per così dire morto; i suoi
occhi sono spenti».
Lo stupore, tuttavia, è autentico e alimenta davvero il
desiderio inesausto di conoscere e ricercare quando riconosce
l’energia vitale, la forza edificatrice dell’errore.
La verità, infatti, non è un possesso dato una volta
per tutte, bensì è ricerca inquieta, capace di
fermentare lo spirito, di vincerne l’inerzia, la pigrizia,
l?ottundimento, attraverso l’errore, il procedere per ipotesi e
confutazioni, rimettendo continuamente in discussione tutto
ciò che abbiamo acquisito.
Non solo, l’errore ricorda continuamene all’uomo il limite di
cui é intessuto fin dall’origine e lo esorta, per usare
un’incisiva espressione di Nietzsche, a “non voler contestare al
mondo il suo carattere enigmatico e inquietante”; insomma, a
riconoscere l’inesauribile, magmatica, disorientante ricchezza
della realtà.
L’imperativo conoscitivo ed esistenziale è, dunque, questo:
non avere paura dell’errore, perché da esso si originano la
tensione al conoscere, il rifiuto di qualunque forma di dogmatismo
e, di conseguenza, lo spirito di tolleranza, il riconoscimento
della profondità del mondo e della nostra strutturale
finitezza.
Leggiamo, in conclusione, queste puntuali riflessioni di Augusto
Murri, tratte dal suo Quattro lezioni e una perizia: «Ogni
giorno si corregge un errore, ogni giorno si impara a saper meglio
quello che possiamo far di bene o quello che siamo condannati
ancora a lasciar avvenire di male, ogni giorno erriamo meno della
vigilia e impariamo a sperare di far di meglio dimane. Errare,
sì. È una parola che fa paura al pubblico. L’uomo
che non erra non c’è».
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