Per la prima volta, le emissioni di gas ad effetto serra provocate dai sistemi produttivi dei paesi del G20 (le principali economie del mondo) hanno subito una contrazione, benché leggera. E lo hanno fatto nel 2019, prima dunque della crisi economica provocata dalla pandemia. Il segnale – incoraggiante, nonostante i valori – è contenuto in un rapporto pubblicato mercoledì 18 novembre da una rete di quattordici istituti di ricerca e università, riuniti nell’iniziativa Climate Transparency.
Tra il 2005 e il 2017 le emissioni erano cresciute dell’1,4 per cento all’anno
Lo studio ha preso in considerazione 100 indicatori, al fine di poter valutare fino a che punto le promesse dei governi siano state seguite da fatti concreti. In particolare, le emissioni di gas ad effetto serra legate al settore dell’energia hanno subito una flessione, ancorché soltanto dello 0,1 per cento. Un valore certamente irrisorio, ma che potrebbe costituire una prima inversione di tendenza. Soprattutto se considerato in rapporto all’anno precedente, il 2018, quando le emissioni erano al contrario cresciute ulteriormente (dell’1,9 per cento). Allo stesso modo, nel periodo compreso tra il 2005 e il 2017, i dati avevano registrato un aumento medio dell’1,4 per cento all’anno.
Nel corso del 2020, poi, a causa della recessione provocata dal coronavirus, la contrazione sarà pari al 7,5 per cento, secondo le stime. Tuttavia, la ripresa economica che seguirà il superamento della pandemia farà certamente tornare a crescere i livelli delle emissioni. Per questo, il rapporto avverte che senza una trasformazione profonda dei sistemi produttivi “non sarà comunque possibile centrare gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi”. Ovvero, in particolare, la limitazione della crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, di qui alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre industriali (e rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi).
Scende il consumo di carbone, ma salgono quelli di petrolio e gas
A contribuire al calo del 2019, secondo Climate Transparency, è stata in primo luogo la diminuzione del consumo di carbone (-2 per cento). Ma anche il fatto che ben 19 tra i paesi del G20 abbiano registrato un aumento della quota di fonti rinnovabili sul totale del mix energetico nazionale. L’unica eccezione, in questo senso, è rappresentata proprio dall’Italia.
Ma anche nel settore agricolo sono stati registrati dei cali. Al contrario, in quelli delle costruzioni le emissioni hanno continuato ad aumentare. Ma lo hanno fatto in modo meno marcato rispetto agli anni precedenti. Incrementi sono stati registrati poi nei trasporti e nell’industria. Complessivamente, secondo l’istituto Climate Analytics di Berlino, che ha contribuito alla preparazione del rapporto, “ci sono stati cambiamenti positivi, ma insufficienti”. Anche perché i combustibili fossili rappresentano ancora l’82 per cento della produzione primaria di energia. Ciò in quanto il calo del carbone è stato purtroppo compensato dall’aumento del consumo di petrolio (+1 per cento) e di gas (+ 3 per cento).
Secondo i dati preliminari il 2023 è stato un anno anomalo, in cui l’assorbimento netto della CO2 da parte degli ecosistemi terrestri si è quasi azzerato.
La comunità energetica nata all’inizio degli anni Duemila è diventata un porto sicuro nella Florida esposta alla minaccia degli uragani, grazie a una pianificazione efficiente basata su innovazione e fonti rinnovabili.