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Tra lobby fossili e vecchi schemi l’Italia fatica a prendere la strada carbon neutral
Il mercato elettrico italiano rischia di fossilizzarsi su vecchi scenari legati ai combustibili fossili invece di cogliere l’opportunità di un modello a basse emissioni di CO2.
Sono giorni intensi per il settore elettrico italiano che nell’ultima settimana ha ricevuto da parte della Commissione europea una serie di “via libera” e di “avvertimenti” per la creazione di un mercato elettrico nazionale che sia effettivamente integrato, competitivo, incentrato sui consumatori, flessibile, equo e trasparente. Un mercato che deve andare verso il carbon neutral, vale a dire che deve tagliare drasticamente le emissioni di CO2 legate alla produzione di energia elettrica.
Uscita dal carbone a parte, prevista per il 2025, l’Italia deve agevolare lo sviluppo delle energie rinnovabili, dei sistemi di stoccaggio e delle comunità energetiche. Non c’è altra strada, ma sembra che spesso il concetto sfugga soprattutto quando si pensa che la transizione energetica debba passare per forza ancora per il gas quando ci sono tecnologie a costi assolutamente competitivi per poter fare il salto. Da un punto di vista normativo e di indirizzo la strada da percorrere è stata tracciata da Bruxelles con il Clean energy package che dà indicazioni su energie pulite, efficienza energetica, governance, e mercati elettrici. Adesso tocca all’Italia e agli altri paesi europei percorrerla in modo determinato e trasparente.
The Clean energy for all Europeans package is strengthening your #ConsumerRights!https://t.co/qx0BEDZ5IA #CleanEnergyEU pic.twitter.com/pTu5p5kVcy
— Energy4Europe ?? (@Energy4Europe) 17 giugno 2019
Il Clean energy package
Il Clean energy package, cioè il Pacchetto europeo sull’energia, è finalmente giunto a compimento. Con la pubblicazione in Gazzetta europea, avvenuta venerdì 14 giugno, degli ultimi quattro documenti, la Commissione europea ha completato processo regolatorio che era iniziato nel novembre 2016.
Questi i quattro documenti pubblicati:
- Regolamento 2019/943 sul mercato dell’energia elettrica
- Direttiva 2019/944 norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e modifica la direttiva 2012/27/UE
- Regolamento 2019/941 sulla preparazione ai rischi nel settore dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2005/89/CE
- Regolamento 2019/942 che istituisce un’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia.
La direttiva parla chiaro: stabilisce le norme comuni per i paesi europei in tema di generazione, trasmissione, distribuzione, stoccaggio e fornitura di energia elettrica. Parallelamente riporta indicazioni per la tutela dei consumatori con l’obiettivo di creare nell’Unione europea mercati dell’energia elettrica effettivamente integrati, competitivi, incentrati sui consumatori, flessibili, equi e trasparenti. Questo significa creare le condizioni di accesso al mercato elettrico per i cittadini che ora possono essere non solo consumatori di energia, ma anche produttori, grazie alle comunità energetiche.
Bruxelles individua anche le priorità per la realizzazione di nuovi impianti che devono quindi garantire, tra le altre cose, la protezione della salute, della sicurezza pubblica e dell’ambiente, l’efficienza energetica, contribuire a ridurre le emissioni di CO2 e centrare l’obiettivo di raggiungere una quota pari al 32 per cento di produzione elettrica da fonti rinnovabili entro il 2030.
Capacity market, assicurare la capacità senza agevolare le fonti fossili
Tema che sembra andare in netta controtendenza con quanto stabilito negli ultimi provvedimenti della Commissione europea e quello del “mercato della capacità” (capacity market). Si tratta di una serie di misure in grado di garantire la sicurezza del sistema e l’approvvigionamento di energia elettrica anche in situazioni di picco della domanda. In pratica il provvedimento prevede una remunerazione accessoria per quei fornitori di capacità elettrica che si impegnano a mantenerla e a metterla, in caso di necessità, a disposizione del sistema.
Fin qui tutto bene, peccato che il meccanismo del capacity market formulato dal ministero dello Sviluppo economico sia prevalentemente una misura che premia le fonti fossili. Il provvedimento che il 14 giugno ha ricevuto il via libera da Bruxelles, di fatto prevede uno strumento di remunerazione di lungo termine (15 anni) a favore delle centrali termoelettriche, incentivandone addirittura la costruzione. Diverso invece se potessero partecipare al mercato della capacità anche gli impianti a fonti rinnovabili.
“La tecnologia odierna – spiega Italia Solare – ha raggiunto livelli di sviluppo e di economicità tali da permettere sempre di più agli impianti flessibili di generazione, inclusi gli accumuli, di risolvere le questioni collegate alla tipica intermittenza delle fonti rinnovabili”. È anacronistico e dannoso che si punti invece a un piano di remunerazione di lungo periodo per le grandi centrali termoelettriche. “Un sistema che sarà pagato in bolletta dai clienti finali (fino a 1,4 miliardi di euro all’anno per i prossimi 15 anni, secondo la Commissione europea) e in previsione del quale stanno aumentando le richieste di autorizzazione per nuove grandi centrali a fonti fossili”.
Secondo le associazioni ambientaliste, dei consumatori e di Italia Solare il provvedimento sul mercato della capacità dovrebbe essere “riformulato proprio rispettando le norme europee, in primis quella che ne ammette l’introduzione solo come ultima ratio” come stabilito dal nuovo Regolamento europeo, uscito in Gazzetta europea venerdì scorso e che entrerà in vigore il prossimo 4 luglio.
Diversa la posizione di Elettricità Futura, l’associazione che rappresenta i produttori di energia fossile unitamente a quelli di energia rinnovabile, che si dichiara soddisfatta dell’approvazione da parte della Commissione europea poiché, a detta loro, il sistema del mercato della capacità darà il via libera a nuovi investimenti verso la riduzione delle emissioni; quali investimenti non si capisce, se con oltre un miliardo di euro all’anno si andranno a finanziare gli impianti a fonti fossili (carbone escluso).
Dall’Ue via libera a 5,4 miliardi per le rinnovabili
La settimana scorsa la direzione generale per la Concorrenza della Commissione europea ha dato il via libera al regime di sostegno alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in Italia. Con questo passaggio il famoso decreto Fer 1 che incentiva la produzione di energia da fonti rinnovabili e che il settore sta aspettando da inizi 2018 è quasi giunto alla fine dell’iter di approvazione. “Il decreto Fer 1 – spiega il sottosegretario del ministero dello Sviluppo economico Davide Crippa – nasce per sostenere la produzione da fotovoltaico, eolico, idroelettrico e gas di depurazione. La sua attuazione consentirà infatti la realizzazione di impianti per una potenza complessiva di 8 gigawatt, con un aumento della produzione da fonti rinnovabili di circa 12 miliardi di chilowattora e con investimenti attivati stimati nell’ordine di 10 miliardi di euro”. Secondo quanto si legge in una nota del ministero, il decreto sarà firmato a breve per poi dare avvio ai meccanismi di accesso agli incentivi che sono in capo al Gestore dei servizi energetici (Gse).
Quello che realmente serve al mercato elettrico italiano per andare verso un sistema a basse emissioni di CO2, come ci chiedono la Commissione europea e l’Accordo di Parigi, è puntare su rinnovabili ed efficienza energetica. Le tecnologie ci sono, quello che manca è la volontà politica. Serve un mercato che miri alla concorrenza e sia libero dalle pressioni delle lobby. Un mercato con condizioni trasparenti ed eque che permetta alle rinnovabili di competere con le fonti fossili in condizioni paritetiche e non un sistema che remunera le centrali termoelettriche per assicurare la capacità e in più permette a quelle stesse centrali di vendere energia elettrica sul mercato a un prezzo calmierato consentendo loro di avere così una doppia remunerazione, perché in questo modo gli impianti rinnovabili sono sicuramente svantaggiati.
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