La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Energie fossili, calano per la prima volta gli investimenti delle banche
I finanziamenti bancari alle energie fossili tradizionali sono scesi del 22% nel 2016. Salgono, però, quelli nello shale gas e nelle sabbie bituminose.
Per la prima volta, i finanziamenti concessi dalle grandi banche internazionali al settore delle energie fossili risultano in calo. A spiegarlo è un rapporto intitolato “Banking on Climate Change” – curato dalle organizzazioni non governative Rainforest Action Network, Banktrack, Sierra Club e Oil Change International – nel quale si precisa che il totale degli investimenti nel comparto, effettuati dai 37 più importanti istituti di credito del mondo, sono passati dai 111 miliardi di dollari del 2015 agli 87 miliardi del 2016. Il che equivale ad un calo anno su anno pari al 22 per cento.
Ma i fondi concessi alle energie fossili sono ancora troppo alti
“Si tratta di una buona notizia”, ha commentato al quotidiano francese Novethic Lucie Pinson, dell’associazione Les Amis de la Terre, sottolineando in particolare l’impegno delle banche transalpine, che avevano avanzato una serie di promesse nel corso della Cop 21 tenuta nel dicembre del 2015, al termine della quale è stato raggiunto l’Accordo di Parigi. Crédit Agricole e Société Générale, ad esempio, hanno diviso per tre il totale dei finanziamenti concessi nel periodo 2014-2016, mentre Bnp Paribas è scesa da 921 a 557 milioni di dollari.
Nonostante il trend positivo, tuttavia, il quotidiano inglese The Guardian sottolinea il fatto che ancora un enorme quantitativo di denaro affluisce ogni anno nelle casse dei colossi delle energie fossili. Ai primi due posti tra le banche che concedono finanziamenti figurano due istituti cinesi: Bank of China e China Construction Bank. Il terzo gradino del podio è invece occupato dall’americana JP Morgan Chase. Nella classifica stilata dalle ong ambientaliste figura anche l’italiana Unicredit, con circa 2 miliardi di dollari di investimenti, di cui quasi la metà (oltre 987 milioni) concentrati nel carbone.
A trainare il calo le banche europee. Male gli istituti asiatici
Per valutare in modo più immediato l’apporto dei gruppi bancari alle fonti fossili, il rapporto ha assegnato a ciascun istituto di credito un voto, che va dalla lettera A alla lettera F. Nessuno ha raggiunto il giudizio migliore: solo ad un pugno di banche è stata concessa una “B” per premiare lo sforzo effettuato in termini di diminuzione degli investimenti, soprattutto per quanto riguarda le miniere e le centrali a carbone. In tale settore, tra le migliori risultano Bpce/Natixis, Crédit Agricole e Ing, tutte europee. Al contrario, i voti più bassi sono stati assegnati alle banche asiatiche.
In 2016 banks put $87B into extreme fossil fuels. See who’s #BankingOnClimateChange & how their policies stack up. https://t.co/7GZWt2AYmu pic.twitter.com/2Y5XrBMzvO
— 350 dot org (@350) 21 giugno 2017
Tuttavia, Pinson sottolinea la necessità di valutare anche gli investimenti indiretti: “Alcune banche come continuano a finanziare imprese che appoggiano, ad esempio, progetti di estensione di centrali a carbone in Indonesia”. Inoltre, se i finanziamenti alle energie fossili tradizionali sono in calo, risultano in crescita gli investimenti nelle fonti non convenzionali, come lo shale gas e le sabbie bituminose. Considerate, queste ultime in particolare, disastrose per l’ambiente. Un miglioramento, dunque, c’è stato, ma il lavoro da fare è ancora molto.
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