Il processo sulle estrazioni petrolifere in Basilicata si è chiuso con una condanna in primo grado a Eni per traffico illecito di rifiuti. La compagnia dovrà pagare una sanzione di 700mila euro oltre a vedersi confiscare 44,2 milioni di euro.
Basilicata, un dirigente dell’Eni agli arresti domiciliari per lo sversamento di petrolio in val d’Agri
Lo sversamento di petrolio in val d’Agri, Basilicata, ha portato all’arresto di un dirigente Eni. Indagate 13 persone per “disastro ambientale”. Secondo il procuratore di Potenza si è trattato di uno “stillicidio”.
Nuovi problemi legali per la compagnia petrolifera Eni (Ente nazionale idrocarburi), indagata per ipotesi di disastro ambientale presso il Centro olio val d’Agri (Cova) di Viggiano, in provincia di Potenza, in Basilicata. Un’indagine avviata a inizio 2017 dopo lo sversamento di oltre 400 tonnellate di petrolio ha portato il 23 aprile all’arresto ai domiciliari di Enrico Trovato, un dirigente dell’impianto al tempo dei fatti.
Cosa è successo nel 2017 in val d’Agri
La procedura penale disposta dalla procura di Potenza riguarda in totale tredici persone fisiche e una persona giuridica, l’Eni per l’appunto, indagate per disastro, disastro ambientale, abuso d’ufficio e falso ideologico. Coinvolti anche i rappresentanti del Comitato tecnico regionale, organo dell’amministrazione pubblica che avrebbe dovuto vigilare sulle operazioni del Cova, in quanto impianto a rischio di incidente rilevante. Incidente verificatosi e riconosciuto nel 2017.
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Una perdita di idrocarburi aveva causato la contaminazione e compromissione di 26mila metri quadrati di suolo e sottosuolo dell’area industriale di Viggiano e del reticolo idrologico a valle di un impluvio, nonché contaminato il reticolo idrografico della Val d’Agri. Così si è andata creando una situazione di pericolo incombente per l’invaso del Pertusillo, che si trova a soli due chilomentri di distanza ed è uno dei bacini idrici più importanti del Mezzogiorno d’Italia in quanto fonte primaria di approvvigionamento d’acqua per consumo umano della Puglia e per l’irrigazione di oltre 35mila ettari di terreni. Tutto questo è avvenuto senza che le perdite fossero mai state comunicate alle autorità, se non dopo un rilevamento effettuato in un depuratore vicino all’impianto che aveva rivelato presenza di idrocarburi e destato preoccupazioni.
Eni sapeva. E ci fu una denuncia mai ascoltata
Secondo gli inquirenti ci sarebbe stata una “precisa strategia [dell’Eni, ndr] condivisa dai vertici di Milano” per “nascondere i gravi problemi e le conseguenze“. Il procuratore Francesco Curcio ha riferito durante la conferenza stampa che questo disastro è stato la “conseguenza di una politica aziendale che non ha avuto di mira la tutela dell’ambiente e del territorio come pure dovrebbe essere”. E ha aggiunto: “I dirigenti dell’Eni che sono stati indagati [erano] pienamente consapevoli di quello che si stava verificando”.
“Secondo la nostra stima la perdita di petrolio ha riguardato tutti i serbatoi ed è andata avanti per molti anni, almeno a partire dal 2010”, ha affermato. “È stato uno stillicidio”.
A far riflettere, il fatto che tutta la vicenda combacia con quanto sarebbe stato denunciato nel 2013 in una sorta di testamento lasciato da un ingegnere che lavorava al Cova prima di essere stato trovato senza vita. “Ringraziamo anche una persona che non c’è più, che è l’ingegner Griffa”, afferma a questo proposito il procuratore Curcio, “il quale aveva per tempo, senza essere ascoltato, all’interno della sua azienda individuato le criticità e i problemi che hanno poi portato al disastro ambientale, allo sversamento di greggio che si è verificato negli anni successivi”. L’ingegner Gianfranco Griffa è stato responsabile dello stabilimento lucano e nel 2013, dopo essere scomparso, è stato ritrovato morto suicida.
La dinamica dell’incidente al Cova
Nel 2017 i carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe) hanno individuato una fuoriuscita incessante di acque miste a idrocarburi in un pozzetto all’esterno del perimetro del Cova e a seguito di analisi e indagini hanno accertato che la perdita proveniva dalle cisterne del centro oli. Tali cisterne, che non erano dotate di doppio fondo, stavano ormai da anni rilasciando inquinanti nell’ambiente senza che d’altra parte il Comitato tecnico regionale intervenisse in modo risolutivo, pur essendo al corrente della necessità di mettere in sicurezza le cisterne stesse.
Le perdite, tra l’altro, hanno avuto un impatto anche su una vasta area a cavallo degli impianti Eni e dell’invaso del Pertusillo, a causa delle operazioni di bonifica che si sono rese necessarie per impedire alla contaminazione di espandersi ulteriormente: si è dovuto estrarre tutte le acque di falda e disporne come rifiuto, si legge in una nota del procuratore della Repubblica di Potenza, Francesco Curcio, operazione che ha privato la zona di importanti risorse idriche con inevitabili gravi conseguenze a livello ambientale.
Eni non è nuova ad accuse di contaminazione o devastazione dei territori dove sorgono i suoi impianti. Il riferimento è a due casi in Nigeria, paese dell’Africa che si affaccia sul golfo di Guinea: quello della comunità di Aggah, devastata da inondazioni, e quella della comunità di Ikebiri, sul delta del Niger, interessata da uno sversamento di petrolio.
Le reazioni alla decisione della procura di Potenza
Il ministro dell’Ambiento Sergio Costa commenta i risultati con un monito: “Chi inquina non può e non resterà impunito”, si legge in una nota. “Questo è solo l’inizio di un’offensiva mirata contro chi inquina la Basilicata, e più in generale il nostro territorio”. Questo avviene nelle stesse ore in cui il ministro Costa ha deciso bloccare nuove piattaforme petrolifere nel mare di Sicilia perché senza le necessarie garanzie per l’ambiente.
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Con la scadenza a ottobre della concessione decennale per la val d’Agri, il recente dibattito sull’aumento dei canoni per le compagnie petrolifere, nonché il passaggio a Roma, a seguito dello Sblocca Italia, dell’autorità decisionale sulle questioni energetiche che ha lasciato le Regioni senza voce in capitolo, sono molte le questioni aperte a proposito del futuro dell’impianto che tiene in scacco una regione intera. E gli ultimi fatti giudiziari dovrebbero essere un segnale che è necessario porre grande cautela nelle decisioni che riguardano le attività del Cova e di impianti simili.
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