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La questione delle esplorazioni di gas da parte di Eni al largo delle coste di Gaza non è nuova
Uno studio legale intima a Eni di non estrarre gas al largo delle coste di Gaza. Israele vuole isolare la Palestina dal punto di vista energetico.
- A ottobre 2023, Eni si è aggiudicata diverse licenze per esplorare il mar Mediterraneo orientale al largo di Gaza, dove c’è una Zona economica esclusiva ricca di gas.
- Uno studio di avvocati ha invitato Eni a fermarsi poiché Israele avrebbe indetto la gara di concessione su un’area marina che appartiene alla Palestina.
Il 6 febbraio 2024, lo studio legale Foley Hoag Llp, con sede a Boston, negli Stati Uniti, ha inviato un avviso per conto di quattro associazioni arabe – Al Mezan center for human rights, Al Haq, Palestinian centre for human rights (Pchr) e Adalah – invitando la compagnia energetica Eni a non intraprendere attività nelle aree marittime della Striscia di Gaza che appartengono alla Palestina.
Insieme alla britannica Dana Petroleum Limited – una filiale della South Korean national petroleum company –, all’israeliana Ratio Petroleum e altre tre compagnie, Eni ha infatti ottenuto la licenza di operare all’interno della cosiddetta “zona G”, un’area marittima che sta nelle acque territoriali palestinesi adiacente alle rive di Gaza, dove imperversa la carneficina contro i civili palestinesi per opera del governo israeliano.
Più precisamente, il 62 per cento della zona G rientrerebbe nei confini marittimi dichiarati dallo stato della Palestina nel 2019, in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Unclos), la cosiddetta Montego Bay, di cui la Palestina è firmataria. Ma la querelle sulle licenze per esplorare il gas al largo della Palestina è iniziata diversi anni fa. Vediamo come siamo arrivati a questo punto.
Le esplorazioni di gas al largo delle coste della Palestina
Nel Mediterraneo orientale, e precisamente a sud di Cipro, a nord dell’Egitto e a ovest di Israele, Palestina e Libano, c’è una grande area di esplorazione che ricade in una Zona economica esclusiva (Zee). Le tensioni geopolitiche sono iniziate proprio dalla spartizione delle Zee tra Israele, Egitto e Cipro avvenuta nel 2018 durante il primo East Mediterranean gas forum (Emgf) e dal quale la Palestina è stata esclusa, su pressione di Israele, insieme alla Turchia. A nulla è servito il ricorso da parte dell’Autorità nazionale palestinese (Anp): i territori palestinesi non hanno mai potuto partecipare alla ricerca di gas, nonostante quell’area appartenga alla Palestina e quindi sia un suo diritto stabilito dalla Convenzione Onu per il diritto del mare del 1982 (Uclos).
Come racconta Filippo Taglieri, campaigner di ReCommon “è risaputo da anni che lì sotto c’è gas: nel 2011, è stato scoperto il giacimento Aphrodite a sud di Cipro e nel 2015 Eni ha scoperto quello di Zohr, in Egitto. Siccome si tratta di acque profonde che richiedono tecnologie avanzate e comportano rischi enormi, per molto tempo le esplorazioni non sono state avviate. Ma nel 2017, Eni ha dato prova di poterlo fare”. Da allora, Eni estrae nel giacimento egiziano, Chevron per conto di Israele e TotalEnergies per Cipro.
Eni ha vinto la gara nell’ottobre 2023
Nel dicembre 2022, il ministero dell’Energia israeliano pubblica una gara d’appalto per la concessione di licenze di esplorazione di gas nell’est Mediterraneo. L’area oggetto di gara comprende ulteriori 20 blocchi esplorativi della Zee, fino a 400 chilometri quadrati ciascuno, per una superficie totale di 5.888 chilometri quadrati, e diviso in quattro zone: Zona E, B,G e I (vedi immagine sopra).
A marzo 2023, durante una conferenza stampa tra il governo italiano presieduto da Giorgia Meloni, e quello israeliano rappresentato da Benjamin Netanyahu, avviene un fatto rilevante, spiega Taglieri: “Netanyahu si fa scappare (qui, al minuto 6:50, ndr) che Israele starebbe siglando un accordo commerciale con Eni, quando la gara indetta per assegnare l’esplorazione in acque internazionali era ancora in corso”
L’anticipazione di Netanyahu viene confermata il 29 ottobre 2023, in piena guerra: le assegnazioni sono state concesse a due gruppi di società. Nel primo c’è Eni, insieme a Dana Petroleum e Ratio Petroleuma; nel secondo gruppo ci sono Bp (British petroleum), la compagnia statale azera Socar (che sta per State oil company of Azerbaigian republic e con cui Eni ha una lunga tradizione di rapporti) e l’israeliana NewMed energy.
Le società guadagnano dal gas estratto e gli stati ottengono delle royalties (oltre a prezzi agevolati sull’acquisto del combustibile estratto). Royalties che potrebbero far molto comodo anche alla Palestina, esclusa invece dai giochi e per questo nuovamente penalizzata. Isolare la Palestina anche dal punto di vista energetico è sempre stata una strategia perseguita da Israele, come dimostrano i due piccoli bacini in acque territoriali palestinesi, Marine 1 e Marine 2, che insieme potrebbero garantire una quantità di gas pari a 3 miliardi di metri cubi di gas: una quantità sufficiente appena al consumo interno della Striscia, ma sulla quale Israele non hai mai dato la sua approvazione.
Come detto, il 62 per cento del giacimento in esplorazione da parte di Eni farebbe parte, secondo l’Onu e secondo il diritto del mare, alla Palestina. Oltre alle licenze già assegnate nella Zona G, anche il 73 per cento della Zona H rientra nei confini marittimi dichiarati della Palestina, insieme al 5 per cento della Zona E.
Se l’esplorazione rispetterà le stime di estrazione, Eni pagherà le royalties a Israele. Quando tutto ciò avverrà non è facile stabilirlo: “Da quando iniziano le esplorazioni a quando si passa alla fase estrattiva possono volerci 4-5 anni, dipende dalle condizioni del fondale”, aggiunge Taglieri. ”Il fatto che ci siano molti pozzi vicini tra di loro in quell’area potrebbe facilitare le esplorazioni e quindi velocizzare le operazioni iniziali”.
Più in generale, le licenze di esplorazione sono state concesse per un periodo di tre anni. Durante questo periodo i concessionari effettueranno lavori esplorativi sulle aree, nell’ambito degli impegni contenuti nelle rispettive offerte. Dopo la perforazione di almeno un pozzo e l’esecuzione del piano di lavoro, i titolari della licenza potranno estendere il periodo di licenza di altri due anni, fino a un massimo di sette anni.
Sec, la quotazione in Borsa preoccupa Eni
Ora, la domanda è: la denuncia diffusa dalle quattro organizzazioni arabe potrebbe concretizzarsi in un’inchiesta a carico di Eni? Difficile dirlo, al momento. Ma se, come successo in casi precedenti (vedi il caso Olp245 in Nigeria o scandalo Saipem in Algeria), l’indagine fosse avviata dalla Sec (la Securities and exchange commission, l’organo che controlla la Borsa statunitense, dove Eni è quotata) ciò potrebbe arrecare un danno economico alla multinazionale italiana.
Non dimentichiamoci anche che, una volta estratto, il gas andrà trasportato attraverso i gasdotti. E qui entra in partita un’altra società italiana, la Snam, che ha già sostenuto Israele nella realizzazione del cosiddetto “gasdotto della pace”, nella tratta Al Arish-Ashkelon, che collega Israele con l’Egitto e che è stato adattato da Israele per l’esportazione di gas e di cui Snam è diventato socio nel 2021. L’ingresso di Snam ha permesso da una parte a Israele di risolvere alcuni problemi infrastrutturali legati all’esportazione di gas nazionale (Israele ha molto gas da esportare: solo l’anno scorso è riuscito a estrarne 10 miliardi di metri cubi) e dall’altra a Eni di potenziare l’impianto di export egiziano Damietta, fino ad allora poco utilizzato.
Antonio Tajani: “Il contratto con Eni non è finalizzato”
“Eni fa sapere che il contratto per l’esplorazione della zona G non è finalizzato, non vi è dunque al momento alcuna operazione esplorativa, né sfruttamento di risorse”, ha detto il ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani, in risposta all’interrogazione parlamentare sulle iniziative volte ad evitare attività di esplorazione dell’Eni nelle aree marittime della Striscia di Gaza, presentata dal deputato Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra (Avs). “Il quadro è particolarmente complesso sia sul piano giuridico che politico. Gli interessi economici devono infatti essere conciliati con le legittime aspirazioni dei popoli, e la determinazione dei confini delle aree marittime segue le determinazioni del diritto internazionale e consuetudinario, che occorre poi applicare alle specifiche realtà”, conclude il ministero. Da Eni, invece, non è arrivato nessun commento.
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