Il gas potrebbe mantenerci legati ancora per decenni, a filo doppio, alle fonti fossili. La compagnia italiana Eni lo sa bene, e per questo non lesina investimenti nel settore. Ultimo annuncio: la scoperta di una gigantesca riserva a circa a circa 85 chilometri di distanza dalla costa orientale del Kalimantan, in Indonesia.
Dal nuovo giacimento Eni punta ad estrarre 5-6mila barili al giorno di condensati
Secondo il colosso fossile, “le stime preliminari dal pozzo Geng North-1 perforato nella licenza North Ganal, indicano volumi complessivi pari a 5mila miliardi di piedi cubi di gas (circa 140 miliardi di metri cubi) con un contenuto di condensati fino a circa 400 milioni di barili”.
The new #gas discovery in #Indonesia’s Geng North-1 well confirms the effectiveness of our deep geological understanding and advanced geophysical technologies, and aligns with our strategy to shift towards a 60% mix of gas and #LNG by 2030. https://t.co/FqpT7f45EFpic.twitter.com/02lZx2ipIo
Dal punto di vista tecnico, sul pozzo in questione “è stato è stata eseguita con successo una prova di produzione che, sebbene limitata dalle capacità delle attrezzature di test, ha permesso di stimare una portata del pozzo pari a 80-100 milioni di piedi cubi/giorno (circa 2,2-2,7 milioni di metri cubi al giorno) e 5-6mila barili al giorno di condensati associati”.
Nel comunicato ignorata la questione dei cambiamenti climatici
L’annuncio è stato effettuato, ovviamente, con toni entusiastici. E ovviamente nel comunicato non compaiono le parole clima, crisi climatica, cambiamenti climatici, riscaldamento globale, CO2, effetto serra o emissioni. Come se tutto questo non avesse alcun impatto in termini di dispersione nell’atmosfera di gas climalteranti. E come se la crescita della temperatura media globale non avesse già raggiunto livelli estremamente preoccupanti.
C’è da scommettere che la risposta da parte di Eni sarebbe duplice: da una parte, che questo comunicato riguardava unicamente informazioni tecniche relative al nuovo giacimento in Indonesia, a vantaggio soprattutto di azionisti e investitori (come se loro non fossero esseri umani che patiranno, come gli altri, gli effetti della crisi climatica). Dall’altra, che il gas è perfetto come energia di transizione.
Il gas non può essere un’energia di transizione, se non in pochi casi e per breve tempo
La realtà, molto poco discutibile poiché basata sulla matematica e confermata da numerosi rapporti di istituzioni internazionali o organizzazioni non governative, è che l’effetto serra prodotto dall’uso di gas è comunque enorme. Minore rispetto a carbone e petrolio, certamente, ma in ogni caso in grado di allontanarci ancor di più dagli obiettivi climatici fissati dalla comunità internazionale. La stragrande maggioranza delle riserve note, dovrebbe essere lasciata sottoterra.
Pertanto, anche immaginandolo come energia di transizione, il gas dovrebbe essere utilizzato solo per pochissimo tempo (il minore possibile in ogni caso), per puntare decisamente sulle sole fonti in gradi di garantire un futuro sereno alle prossime generazioni: le rinnovabili. Sul pozzo di Eni in questione, invece, i dati citati indicano una produzione massima di 6mila barili. Che per esaurire la riserva presente nel giacimento significano probabilmente decenni (di qui un’altra domanda: si tratta di un progetto compatibile con i piani di decarbonizzazione annunciati dall’azienda?).
Infine, esattamente come per quanto riguarda le emissioni di gas climalteranti associate, nel comunicato Eni non cita gli investimenti che si stima possano essere necessari per la creazione delle infrastrutture, lo sfruttamento del pozzo e, un giorno, la dismissione. Tutto denaro che, di fatto, avrebbe potuto essere investito nelle energie pulite. Come chiedono, ancora una volta, i più autorevoli organismi scientifici del mondo. Ma anche, tra gli altri, papa Francesco, secondo il quale “la necessaria transizione verso energie pulite abbandonando i combustibili fossili non sta procedendo abbastanza velocemente. Di conseguenza, ciò che si sta facendo rischia di essere interpretato solo come un gioco per distrarre”.
La comunità energetica nata all’inizio degli anni Duemila è diventata un porto sicuro nella Florida esposta alla minaccia degli uragani, grazie a una pianificazione efficiente basata su innovazione e fonti rinnovabili.
Attorno alle 2:30 di notte ora italiana l’uragano Milton ha raggiunto il territorio della Florida, negli Stati Uniti, preceduto da una raffica di tornado.