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Ennio Morricone, al cinema la vita straordinaria del geniale compositore
Giuseppe Tornatore porta al cinema il film documentario Ennio, un lungo e commovente racconto a più voci dell’incredibile talento del maestro Morricone.
Prima di lui c’era la musica e c’erano i film. Due mondi separati, capaci di incontrarsi restando indipendenti. Con l’arrivo di Ennio Morricone tutto cambiò. Quel confine iniziò a sgretolarsi, inaugurando una nuova era, fatta di un cinema visceralmente legato alle sue colonne sonore. Una magia resa possibile dal talento eccezionale del maestro, che – paradossalmente – visse a lungo questo suo legame con il cinema come una colpa. È lui stesso a raccontarne le ragioni nel film documentario diretto da Giuseppe Tornatore, intitolato semplicemente Ennio e in arrivo nei cinema il 17 febbraio distribuito da Lucky Red. E così il grande compositore italiano (scomparso il 6 luglio 2020 all’età di 91 anni) farà capolino su quegli stessi schermi attraverso i quali per anni il pubblico ha goduto della magia della sua musica, diventata colonna sonora non solo di tantissimi film, ma di un’intera epoca.
Ennio, la trama e i protagonisti del documentario
Con un lungo excursus (due ore e mezza che volano) Tornatore ci accompagna nella vita e nella straordinaria carriera di un artista unico, che con le sue note ha commosso e conquistato le platee di tutto il mondo. Compositore geniale, rigoroso e instancabile, Morricone era capace di comprendere come nessun altro il cuore di un film, traducendolo sugli spartiti e superando il concetto del semplice “accompagnamento musicale”. “La sua musica dava anima al corpo del film, fino a renderli inseparabili”, dice il regista Roberto Faenza nel documentario, ripercorrendo una collaborazione durata trent’anni.
Alla sua testimonianza si susseguono quelle dei più grandi cineasti e musicisti con cui Morricone lavorò nel corso della sua lunga carriera. Collaboratori, spesso diventati amici di una vita, come Bernardo Bertolucci (per cui il compositore firmò anche la musica di Novecento), Giuliano Montaldo, i fratelli Taviani, Marco Bellocchio e Carlo Verdone. A voler condividere i propri ricordi anche altri grandi compositori, come il tedesco Hans Zimmer – che definisce quella di Morricone “La più grande musica classica della nostra era” – e star del calibro di Bruce Springsteen, abituato ad aprire i propri concerti con un tributo al maestro e che nel corso del documentario rivela: “Dopo aver visto C’era una volta in America, uscito dal cinema corsi a comprare la colonna sonora. Era la prima volta che mi capitava.”
Tornatore intercetta anche Clint Eastwood, protagonista degli spaghetti western che aprirono la strada del cinema a Morricone, e Quentin Tarantino, che nel 2015 affidò a Morricone la colonna sonora di The hateful eight, il film che portò al maestro il suo secondo premio Oscar, dopo quello alla carriera, ricevuto nel 2007. Un riconoscimento doveroso e tardivo di una Hollywood che, dopo tante candidature, si scusava per non aver mai assegnato il giusto tributo a un artista come lui.
Il film Ennio non è solo un tributo a Morricone, è una galleria di volti che da soli evocano alcuni dei punti più alti del cinema internazionale, accompagnati dalle immagini e soprattutto dalle musiche di film che hanno segnato la storia della settima arte e di tutta la nostra epoca. Più di 500 colonne sonore, tutte rigorosamente passate dall’approvazione di colei che per tutta la vita rappresentò per Morricone il primo e imprescindibile banco di prova: sua moglie Maria.
Tornatore e Morricone, un maestro racconta un altro maestro
Diretto da Tornatore sì, ma, in un certo senso, anche dallo stesso Morricone, il film si apre proprio con l’immagine evocativa del compositore che, dentro la meravigliosa confusione del suo studio, dirige un’immaginaria orchestra, completamente immerso nella musica. La bacchetta si muove e la magia ha inizio. Oggi sul grande schermo, ieri nelle centinaia di concerti tenuti dal maestro fino alla fine della sua vita.
“Ho strutturato Ennio come uno spettacolo che attraverso gli spezzoni dei film da lui musicati, le immagini di repertorio, i concerti, possa far entrare lo spettatore nella formidabile parabola esistenziale ed artistica di uno dei musicisti più amati del ‘900”, spiega il regista, che con Morricone ha condiviso tutta la sua carriera, fin dagli esordi di Nuovo cinema Paradiso. Un film che inizialmente Morricone non avrebbe voluto fare, deciso a “smettere di scrivere per il cinema” (come sempre si proponeva di fare), ma che, una volta letto il copione, non ebbe più il coraggio di rifiutare.
Insieme ai tanti protagonisti interpellati dal regista, ad accompagnarci passo dopo passo nella lunga carriera del compositore è il diretto interessato, grazie a una lunga e commovente intervista realizzata dallo stesso Tornatore che ci consegna un Morricone inedito, rendendogli omaggio come solo un vero amico avrebbe saputo fare.
“Ho lavorato venticinque anni con Ennio Morricone”, racconta Tornatore. “Ho fatto con lui quasi tutti i miei film, per non contare i documentari, gli spot pubblicitari e i progetti che abbiamo cercato di mettere in piedi senza riuscirci. Durante tutto questo tempo il nostro rapporto di amicizia si è consolidato sempre di più. Così, film dopo film, man mano che la mia conoscenza del suo carattere di uomo e di artista si faceva più profonda, mi sono sempre chiesto che tipo di documentario avrei potuto fare su di lui. E oggi si è avverato il mio sogno”.
Da Sapore di sale a Hollywood
Il documentario diventa a poco a poco un viaggio emotivo, in cui, accompagnati da quelle note indelebilmente impresse nella vita di tutti noi, ci troviamo trasportati in una dimensione quasi ultraterrena. Quella in cui lo stesso Morricone sembrava librarsi mentre scriveva e dirigeva i suoi brani.
Ripercorriamo così i suoi esordi come arrangiatore per la Rca, dove con le sue trovate geniali contribuì a rendere immortali e riconoscibili – fin dalle prime note – canzoni come Sapore di sale e Abbronzatissima di Edoardo Vianello e Se telefonando di Mina. Bastò poco e il suo nome iniziò subito a diventare una garanzia. Tutti lo volevano e anche il cinema si accorse in fretta di lui, a cominciare da Sergio Leone, suo ex compagno delle elementari, perso di vista per anni e fatalmente ritrovato per sigillare un sodalizio perfetto. È l’epoca degli spaghetti western che segneranno per sempre la carriera di Morricone, aprendogli presto anche la strada di Hollywood.
Dai memorabili fischi e suoni iconici usati nella Trilogia del dollaro (come l’iconico “ululato del coyote” ne Il buono, il brutto e il cattivo), si arriva alle melodie struggenti di C’era una volta il West e C’era una volta in America, fino a quelle de Gli intoccabili e di Mission, capaci di toccare corde profondissime dell’anima, così come la maggior parte delle musiche prodotte dalla mano creativa di Morricone.
Il senso di colpa di Ennio Morricone
Il documentario ci consegna un Morricone incredibilmente preciso nel saper tornare con la memoria alla sua infanzia e al lungo percorso che lo ha consacrato tra i più grandi musicisti e compositori del ‘900. Degno erede di mostri sacri come Verdi e Rossini, rifuggì a lungo questo titolo, vittima di una sorta di complesso di inferiorità, dovuto al contesto sociale di un’epoca che faticava a riconoscere il valore di una musica messa al servizio del cinema.
Ci vollero anni, ma alla fine quel muro di confine tra la cosiddetta musica “assoluta” (intesa come indipendente e sperimentale), e la musica per il cinema (messa al servizio della settima arte) crollò. Un confine abbattuto proprio grazie al lavoro di Morricone, di fronte al quale in molti hanno infine abbandonato ogni reticenza, come racconta il compositore e compagno di studi Boris Porena: “Dopo C’era una volta in America le cose cambiarono. La sua è una musica che crea le cose e non scorre sulla superficie”. Il più severo con lui fu il compositore Goffredo Petrassi, suo stimatissimo maestro al conservatorio Santa Cecilia, dove Morricone si diplomò in tromba e composizione, che lo rimproverò per “aver messo da parte la musica alta”.
Critiche che innescarono sensi di colpa infiniti in Morricone che, quasi di nascosto, svolgeva il suo lavoro di compositore per la Rai. Lui che fin da bambino era stato abituato a usare la sua musica per portare a casa il pane. Nel documentario, infatti, Morricone rivela commosso anche dettagli della sua infanzia e adolescenza, passate a suonare con il padre trombettista nelle orchestrine e nei locali. “Fu lui a decidere che sarei diventato un musicista. Io pensavo di fare il medico”, rivela Morricone nel documentario. Mai imposizione paterna fu più provvidenziale – diremmo oggi – e così, da quel fatale incontro di circostanze e talento, poté compiersi il destino di Ennio Morricone, permettendogli di diventare uno dei più grandi e prolifici compositori di colonne sonore della storia.
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