La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Enrico Giovannini. Facciamo emergere un’Italia nuova e sostenibile
Samir de Chadarevian dialoga con il professor Enrico Giovannini, fondatore e portavoce di Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile).
Grazie al suo protagonista principale, il professor Enrico Giovannini, presentiamo un quadro delle attività realizzate da Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, con particolare attenzione al punto di vista dei singoli cittadini e delle organizzazioni del terzo settore. Così si scopre che Asvis lavora per lo sviluppo sostenibile e l’economia circolare, che ha ricevuto una spinta fondamentale dall’approvazione dell’Agenda 2030 e dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (Sdgs).
Chi è Enrico Giovannini
Giovannini è un economista, uno statistico che nella sua carriera è stato all’Istat (Istituto nazionale di statistica, dapprima come ricercatore poi come direttore del dipartimento per le statistiche economiche) e poi ha assunto l’incarico di chief statistician all’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) dal 2001 al 2009, dove tra l’altro ha lanciato il movimento per superare il pil come misura del benessere delle società. Nel 2009 è tornato in Italia a fare il presidente dell’Istat, nel 2013 è stato chiamato a fare il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali del governo Letta fino a febbraio del 2014, quando è tornato all’università (ora è professore all’università di Tor Vergata dal 2002). Dopo aver guidato un panel di esperti sulla cosiddetta “data revolution” per lo sviluppo sostenibile su richiesta del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, dal settembre del 2015 ha cominciato a riflettere sulla possibilità di dare avvio all’Asvis di cui è portavoce, nata ufficialmente a febbraio 2016.
Iniziamo proprio dall’Asvis. Cos’è e che obiettivi si prefigge?
Fondamentalmente, gli obiettivi sono quattro. Primo: mobilitare l’opinione pubblica italiana a prendere seriamente in considerazione l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile come quadro di riferimento complessivo per il futuro. Quindi è un’iniziativa di advocacy. La seconda finalità è quella di lavorare sull’educazione allo sviluppo sostenibile, perché solo con una nuova generazione (di persone, manager, politici, giornalisti) riusciremo a capire la complessità dell’Agenda e a realizzarla secondo i principi delle Nazioni Unite. Il terzo obiettivo è quello di rendere concreto tutto questo. E come si fa? Con attività di studio, analisi, identificazione di possibili soluzioni e politiche che portino l’Italia, e non solo l’Italia, sul sentiero della sostenibilità. Poiché ci sono tante buone pratiche, la quarta finalità dell’Asvis è quella di condividerle, nella speranza che altri le facciano proprie e le migliorino. Per riassumere, advocacy, educazione, policy e best practice sono le quattro finalità dell’Alleanza.
Mettiamoci nei panni del lettore. Cosa può fare e cosa si può aspettare? Perché si dovrebbe mobilitare in sostegno dello sviluppo sostenibile?
Intanto diciamo che l’Asvis è un’esperienza unica. Non abbiamo trovato altre realtà del genere né in Italia, né all’estero. La sua forza è l’essere riuscita in un anno e mezzo ad attirare su questo tema 175 organizzazioni di diversa natura, tutte unite con l’obiettivo di contribuire all’Agenda 2030. L’Agenda 2030 ha un carattere universale, ciò significa che si applica a tutti i paesi e che l’impegno riguarda tutti: dal settore pubblico a produttori, consumatori, cittadini, politici. Ed è per questo che siamo riusciti a catturare nella nostra rete soggetti molto diversi, che finora non hanno lavorato in modo sinergico ma talvolta – e questo vorrei sottolinearlo – anche un po’ competitivo. All’interno di Asvis ci sono Wwf, Legambiente e Italia Nostra, ci sono i sindacati e Confindustria, ci sono le associazioni delle imprese finanziarie, assicurative e bancarie. La rappresentanza è completa. Questo è un fatto unico, non facile ma estremamente significativo.
Operiamo attraverso gruppi di lavoro, formati e guidati dagli aderenti su base volontaria, che sono organizzati sia intorno ai 17 Sdgs sia su attività trasversali come l’educazione allo sviluppo sostenibile, gli indicatori, la modellistica per valutare gli impatti delle policy, l’advocacy. Oltre al contributo annuale dovuto da ogni partecipante, c’è la possibilità di finanziare progetti particolari. Poi c’è un segretariato da me coordinato, fatto da persone retribuite insieme a tanti volontari che aiutano i gruppi di lavoro a funzionare, gestiscono sito e newsletter. Sono stati loro il “motore” del Festival per lo sviluppo sostenibile, in cui soggetti molto disparati hanno organizzato ben 221 eventi in tutt’Italia. Siamo una rete, quindi abbiamo un’assemblea in cui ognuno vale uno; tante iniziative nascono dal basso.
Un piccolo miracolo, diciamo…
Un piccolo miracolo certamente – soprattutto considerate le tempistiche con cui abbiamo avviato quest’iniziativa – che però testimonia come sul territorio ci sia fermento e desiderio di lavorare su questi temi. Da un certo punto di vista, forse abbiamo fatto emergere un’Italia nuova.
C’è qualcosa di particolare che i cittadini possono fare da subito?
Pensiamo alle tante iniziative che coinvolgono i cittadini per offrire servizi per le comunità locali. Noi abbiamo le associazioni di volontariato e cittadinanza attiva, che svolgono attività utili per l’economia e la società da ben prima dell’adozione degli Sdgs. In questi ultimi, e nell’Asvis, hanno trovato non solo lo spazio ma anche un approccio olistico che li ha aiutati a stabilire nuove collaborazioni. È questa la grande forza della nostra rete.
Anche perché la quantità di documenti e azioni è tale per cui non è semplice orientarsi e tenersi aggiornati…
È esattamente questo il problema. L’Agenda 2030 è vasta e complessa e, a livello nazionale e internazionale, si produce una marea di materiali. Quindi la prima funzione molto concreta dell’Asvis è quella di selezionare e divulgare questi studi. Navigare in quest’oceano di informazioni, come ben sappiamo, è una grande difficoltà: chi vuole tenersi aggiornato trova nel nostro sito e nella nostra newsletter uno strumento valido.
Secondo elemento, molto concreto: educazione allo sviluppo sostenibile. A partire da settembre tutti i docenti delle scuole italiane avranno accesso al nostro corso di e-learning sugli Sdgs. Il 28 luglio abbiamo tenuto una conferenza stampa con la ministra Fedeli per illustrare il nostro piano per orientare tutte le politiche del Miur (il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli 830 milioni di euro dedicati dal ministero al cosiddetto Pon Istruzione (Piano Operativo Nazionale), con i fondi comunitari, sono tutti orientati all’obiettivo 4, che riguarda l’educazione di qualità.
Presentato da @valeriafedeli il Piano per l’Educazione alla Sostenibilità: 20 azioni coerenti con l’#Agenda2030 https://t.co/ac5qnfz4QP pic.twitter.com/cRl9RLMMa6
— Miur Social (@MiurSocial) 28 luglio 2017
Quindi già a settembre si potrà andare online e iniziare a imparare
Sì, perché il corso sarà nella piattaforma ‘Indire’, dove il ministero mette a disposizione materiali per la formazione dei docenti. Quest’anno abbiamo organizzato il primo concorso Miur-Asvis sullo sviluppo sostenibile che ha ricevuto quasi 300 prodotti. Il secondo concorso partirà da ottobre e ci aspettiamo un numero nettamente più alto di partecipanti.
Leggi anche la seconda parte dell’intervista
E per chi è un po’ più avanti negli anni e nella formazione, ad esempio studenti e dirigenti?
Abbiamo contribuito a far decollare la Rete delle università per lo sviluppo sostenibile (Rus), creata dalla Conferenza dei rettori degli atenei italiani. Quest’iniziativa spinge le università non solo ad applicare a loro stesse le migliori pratiche per la gestione dei rifiuti, l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile, ma anche a orientare allo sviluppo sostenibile la docenza, la ricerca e la cosiddetta terza missione, che è il rapporto delle università col territorio. Il primo evento pubblico della Rus, il 10 luglio a Venezia, ha messo al centro il tema della didattica per lo sviluppo sostenibile. Abbiamo scoperto ad esempio che l’università di Parma sta sviluppando una lezione-zero per tutti gli studenti e l’idea è quella di fare lo stesso in tutt’Italia. Ciò significa che tutti gli studenti sapranno cosa sono l’Agenda 2030 e gli Sdgs; questo è un elemento importante perché aiuta a collocare la propria attività in uno sforzo complessivo. Contiamo anche di aprire un dialogo con le scuole di business per capire quanto lo sviluppo sostenibile viene insegnato nei loro corsi. Se ciò non fosse, correremmo il rischio di preparare nuovi manager formati al vecchio modello, salvo poi scoprire, una volta assunti in un’impresa, che la sostenibilità è sempre di più alla base delle strategie imprenditoriali.
Al @polimi la Prima riunione del GdL sui cambiamenti climatici della RUS – Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile pic.twitter.com/xzFZ8FTmFy — Campus Sostenibile (@CampusSos) 5 giugno 2017
Ci sarà anche un nuovo linguaggio per comunicare i rapporti sistemici e la sostenibilità?
Questo è uno dei più grandi ostacoli che stiamo incontrando. Se io parlo di sviluppo sostenibile con chiunque, lo vedo a pelle, la reazione immediata è: “Okay, stiamo parlando di ambiente”. Anche nei giornali, anche quando magari si parla di povertà, si finisce sempre sotto la chiave “ambiente”. Questo è un problema drammatico che da settembre affronteremo coi corsi per giornalisti, come il primo master in Giornalismo per lo sviluppo sostenibile che prenderà il via, con il nostro contributo, all’università di Bologna. Parallelamente stiamo ragionando sulle iniziative di aggiornamento professionale.
La comunicazione della complessità dell’Agenda è una sfida enorme, soprattutto in un mondo in cui la tendenza, al contrario, è quella di semplificare tutto in 140 caratteri. Come fare? Alcuni aderenti hanno specifiche competenze su questi temi e ci aiuteranno a comunicare il rapporto Asvis, in uscita a fine settembre, e la campagna che contiamo di avviare in vista delle elezioni politiche del prossimo anno. Certo, poi si va in Marocco, come mi è successo di recente, e tra gli schermi pubblicitari si trovano anche quelli che spiegano gli Sdgs; anche di questo parleremo con chi gestisce aeroporti e ferrovie. Perché, appunto, è l’Italia a essersi impegnata, non un singolo governo o un singolo soggetto.
C’è anche un documento recente della Comunità Europea che è stato sottoposto a consultazione popolare
L’Europa da un certo punto di vista è stata la campionessa di sviluppo sostenibile e dobbiamo esserne orgogliosi. Peraltro nell’articolo 3 del Trattato c’è il termine “sviluppo sostenibile” e, su questa scia, una delle prime proposte dell’Asvis è stata quella di inserirlo anche nella nostra Costituzione, come hanno fatto Francia, Svizzera, Egitto e altri paesi.
Perché?
Perché questo concetto è una tutela per le future generazioni contro politiche insostenibili. Va riconosciuto che l’Europa è molto avanti in termini di tutele ambientali ed economia sociale di mercato, tant’è vero che ha svolto un ruolo fondamentale in vari negoziati, in primis quelli per l’Accordo di Parigi (che tra l’altro, va ricordato, fa parte degli Sdgs).
A novembre 2016 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione su come inglobare gli Sdgs nelle politiche europee. È stata una comunicazione un po’ controversa perché, se da un lato, ricorda le tante cose che vengono già fatte su questa materia, dall’altro non indica chiaramente l’intenzione di passare a un paradigma diverso, sottovalutando per esempio il ruolo delle imprese. Nei mesi successivi il Consiglio europeo ci ha lavorato e nel documento approvato a giugno stimola la Commissione a essere molto più coraggiosa e precisa, fissando entro la prima metà del 2018 il termine entro il quale definire il piano per inglobare gli Sdgs nella programmazione a lungo termine dell’Europa. Questo segnale positivo è importante, ma bisogna anche riconoscere che molte politiche sono di competenza nazionale.
Però Asvis, assieme a Sdgs Watch, ha proposto un “sesto scenario” per il futuro dell’Europa
Esattamente. Questo sesto scenario è stato il frutto dell’incontro che abbiamo organizzato a Roma a marzo 2017 in occasione del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, ed è una visione che mette lo sviluppo sostenibile al centro del futuro dell’Europa. Lo stiamo completando con Sdgs Watch e contiamo di sottoporlo alla Commissione entro fine agosto, anche in vista del discorso sullo stato dell’Unione che il presidente Juncker dovrà tenere il 13 settembre.
@JunckerEU risponde al “Sesto scenario: un’Europa sostenibile per i suoi cittadini”, di ASviS e altre 250 org. https://t.co/hpd3dAM0cL
— ASviS (@ASviSItalia) 7 agosto 2017
Una delle misure proposte è quella di costruire 50 milioni di alloggi accessibili e sostenibili a livello ambientale e sociale. Cose molto concrete, non solo affermazioni di principio
Molto concrete, perché questa non è semplicemente la posizione di un gruppo di ambientalisti o di agitatori sociali. Lo stesso mondo delle imprese sta abbracciando questo approccio come un’opportunità di business e come l’unico modo per garantirsi il futuro, con dei ritorni economici. Faccio spesso una battuta: il fatto che la finanza si stia occupando di sviluppo sostenibile da un lato è un’ottima notizia e dall’altro è un campanello d’allarme molto forte, perché se anche loro sono preoccupati significa che il tema è davvero serio!
All’Unione europa chiediamo di lanciare un messaggio molto forte, perché questo è il paradigma che il mondo sta abbracciando. Trump blocca i finanziamenti alle energie rinnovabili? Bene, l’Europa dovrebbe dire: “venite da noi, siamo i migliori al mondo”. La Cina ha fatto una scelta netta almeno in teoria (poi la pratica è sempre molto complessa) a favore della transizione ecologica. Sono all’avanguardia la Francia, la Germania, i paesi scandinavi; ma in realtà le buone pratiche sono ovunque. Durante una conferenza sono stato un po’ brutale dicendo che nel documento della Commissione c’è un errore di battitura, dove scrive “the EU wants to be ‘a’ frontrunner”. L’Europa deve essere “the frontrunner”, perché questa è un’opportunità di business, è un’opportunità per attivare i migliori cervelli, le migliori imprese, per realizzare la sostenibilità della nostra Europa.
Foto in apertura: Giorgio Cosulich/Getty Images
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