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Envisioning Forum 2019, da IED parte la “rivoluzione del fare”
Il cambiamento in chiave sostenibile passa anche dal design, dall’arte e dalla creatività. Questi i temi al centro di Envisioning Forum 2019 di IED, che ha riunito a Milano i protagonisti della “rivoluzione del fare” per la sua quarta edizione.
Incoraggiare il cambiamento, dando visibilità alle buone pratiche, e voce a chi ne è promotore. Questa, in sintesi, la missione della quarta edizione di Envisioning Forum 2019, organizzato da IED, con il patrocinio del Comune di Milano e la media partnership di LifeGate, svoltosi giovedì 23 maggio presso la Stamperia di Milano. Un appuntamento con cui l’Istituto Europeo di Design ha voluto farsi portavoce e leader della Rivoluzione del fare, per accelerare il processo di cambiamento in chiave sostenibile.
Un’iniziativa coerente con i principi di un istituto che da 50 anni opera nel campo della formazione e della ricerca, nelle discipline del design, della moda, delle arti visive e della comunicazione. “Operare per il cambiamento significa essere attori anziché reattori, muoversi nella società anticipando e indirizzando e non solo rispondendo a bisogni emergenti”, afferma Emanuele Soldini, direttore IED Italia, “Si tratta di un approccio fondamentale per un progettista al servizio del benessere comune: come formatori sentiamo una particolare responsabilità nell’ispirarlo”.
La rivoluzione del fare passa dall’educazione
Ad alternarsi sul palco dell’Envisioning Forum 2019 sono stati alcuni dei protagonisti di questa “rivoluzione del fare”, attivamente impegnati a favore di uno sviluppo sostenibile in diversi ambiti. Tra loro Mónica Cantón de Celis, Ceo di Design for change global, movimento educativo internazionale, che punta a formare individui consapevoli sin da bambini, che ha illustrato alcuni dei progetti portati avanti in questi anni in scuole e comunità di tutto il mondo. Dai cestini dei parchi “progettati” dai più piccoli e riposizionati ad altezza bambino in Spagna, agli ingegnosi aeroplanini in grado di spargere semi e ridare vita ad alcune aree della Colombia, rovinate da un eccessivo sfruttamento delle risorse da parte dell’attività mineraria.
“Piccoli gesti che danno speranza”, nelle parole della speaker, che ha sottolineato come ciò che accomuna tutte le iniziative sia il principio dell’ I Can Mindset, (la mentalità dell’io posso), attraverso la quale i bambini sono incoraggiati a diventare consapevoli del mondo che li circonda, messi nelle condizioni di agire e di diventare autonomi nel progettare un futuro più bello e sostenibile. “Il momento di smettere di lamentarsi e iniziare a fare è arrivato”, afferma Mónica Cantón de Celis, “L’innovazione viene da una nuova generazione di doers, che non aspettano che siano gli adulti a intraprendere i cambiamenti, ma che rendono il cambiamento reale, essi stessi”. Solo così potremo avere cittadini proattivi, empatici, creativi e responsabili.
Per salvare il pianeta serve una metamorfosi
Il mondo come lo conosciamo oggi ha i “minuti contati”. Per questa ragione l’approccio dell’umanità verso il pianeta non può essere semplicemente modificato, ma rivoluzionato. Questo il monito portato sul palco dell’Envisioning Forum 2019 da Francesco Cara, designer e climate reality leader, creatore della piattaforma If You Want To e attivista per il clima nell’ambito di The climate reality project (organizzazione internazionale fondata da Al Gore). In modo molto efficace Cara ha mostrato lo stato in cui l’uomo ha letteralmente ridotto il pianeta, depredandolo delle sue risorse fossili e producendo enormi quantità di CO2 (36,9 milioni di tonnellate solo nel 2018, con una crescita del 7 per cento rispetto al 2017). Un dato che è solo il primo di una lunga lista, che oggi suona come un ultimatum. Dalla plastica che inquina i nostri oceani (8 milioni di tonnellate finiscono ogni anno in mare) alla piaga della deforestazione, che solo lo scorso anno ha cancellato 3,6 milioni di ettari di foresta equatoriale. Senza parlare dei trasporti, che con le loro emissioni nocive costringono il 91 per cento della popolazione mondiale a vivere in aree dove l’aria contiene percentuali di particolati ben oltre i limiti consentiti. Un dato, questo, che è strettamente connesso agli 8,8 milioni di persone che ogni anno muoiono di malattie collegate all’inquinamento. Una fotografia a dir poco disastrosa, all’origine della crisi climatica, che sempre di più mette in ginocchio le nostre terre, colpendo paradossalmente soprattutto chi di tutto questo non ha nessuna responsabilità.
Fortunatamente a questo Mondo 1, come lo ha definito Francesco Cara, esiste ancora un’alternativa: il Mondo 2. Si tratta di un pianeta in cui “I combustibili rimangono nel suolo, si usano solo fonti rinnovabili; non esiste la plastica monouso (di cui abbiamo fatto a meno fino a poche decine di anni fa); il cibo è buono e cresce anche senza l’uso della chimica”. Un quadro tutt’altro che utopico, ma che richiede un’azione immediata e senza deleghe. “Noi pensavamo di poter passare dal mondo 1 al mondo 2 in modo graduale. Ma questo non è possibile. Non possiamo continuare a finanziare i combustibili fossili o prorogare l’agricoltura intensiva”, spiega Cara, “Si tratta di due realtà incompatibili: uno è un mondo di plastica, l’altro è un mondo di materia organica; uno è un mondo estrattivo e di sfruttamento, l’altro è rigenerativo; uno è egoistico, l’altro rispetta la natura e gli altri.” Di fronte a tutto ciò resta un’unica possibilità, “Serve una metamorfosi. Come una crisalide, il pianeta deve liberarsi dalla sua pelle attuale e trasformarsi. Siamo di fronte a una scelta collettiva globale. In palio c’è la nostra stessa estinzione”.
La sfida del digitale e il diritto alla riparabilità
Dopo aver dipinto questo scenario in modo chiaro e incisivo, Francesco Cara ha condiviso la sua personale “rivoluzione del fare”. “Quattro anni fa, insieme a un team di Londra, abbiamo fondato un osservatorio della vita digitale sostenibile, aprendo la piattaforma If You Want To, che ad oggi raccoglie settemila casi di aziende e prodotti che aiutano la sostenibilità. Il nostro lavoro è di analizzarli, catalogarli e diffonderli”.
In prima linea anche nel campo dell’eco design, Cara segue da vicino il problema dei rifiuti elettronici, “Ogni anno produciamo 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici. Di questi solo il 20 per cento viene riciclato. Il restante viene buttato via o finisce in container che vanno in Cina o in Africa, dove spesso viene maneggiato in modo non sicuro, con effetti negativi sulla salute delle persone e dell’ambiente.”
Una risposta concreta a questo tema è The Restart Project, associazione internazionale che aiuta e insegna gratuitamente alle persone a riparare oggetti elettrici ed elettronici, di cui Cara è membro attivo. “Lo scorso ottobre abbiamo promosso una petizione su Change.org, con la quale abbiamo chiesto all’Europa di garantire per legge il “diritto alla riparabilità degli oggetti. Grazie al sostegno di oltre centomila firmatari, il consiglio europeo ha stabilito che lavatrici, frigoriferi, lavastoviglie, schermi e lampade debbano essere realizzati con parti smontabili e che i pezzi di ricambio restino disponibili per un certo numero di anni sul mercato”. Un grande traguardo se si pensa che è la prima volta che in una legge europea si parla dell’accesso ai pezzi di ricambio per prodotti elettronici.
Il cambiamento climatico è alla fine della tua forchetta
“Non cambiare il clima. Cambia dieta”, questo l’invito che Claudia Laricchia (head of institutional relations and global strategic partnerships di Future food institute, nonché coordinatore del programma Future food for climate change), ha rivolto a tutti nel corso del suo speech all’Envisioning Forum 2019. Cuore del suo intervento e del suo impegno quotidiano è infatti la food innovation. “La rivoluzione del fare comincia dal cibo, che è il primo agente di cambiamento”, ha sottolineato Laricchia, “Esso è come una porta spazio-temporale verso il pianeta. Spaziale perché ci lega ai terreni coltivati e temporale perché è un’esperienza che facciamo nel presente”. Un tema cruciale dunque, che riguarda tutti e che incide fortemente sull’inquinamento, se pensiamo che il settore agricolo produce da solo un terzo delle nostre emissioni di gas serra e che è strettamente connesso alla deforestazione, alla degradazione dei suoli e alla perdita dei valori nutrizionali del cibo. Tutto ciò si traduce in “Un gioco malato di causa-effetto, in cui il cibo è insieme vittima e carnefice del cambiamento climatico”.
È il momento dei climate shapers
Risposta concreta a questa emergenza è il Future Food Institute: un’associazione no profit basata in Italia ma con orizzonti globali, che mira a “costruire un mondo più equo, formando una generazione di innovatori a livello internazionale, aumentando il potenziale imprenditoriale e migliorando le competenze e le tradizioni agro-alimentari”. Al suo interno opera Chiara Laricchia, dirigendone le relazioni internazionali. “È necessario nutrire la consapevolezza circa l’impatto che le nostre scelte hanno. La nostra arma più potente è l’educazione e per questo abbiamo attivato il programma Future Food for Climate Change, attraverso il quale vogliamo dare il via a un movimento di climate shapers, e cioè di innovatori nel settore agro-alimentare, che sappiano plasmare la crisi climatica”. Un’azione prima culturale e poi tecnologica in grado di “formare una community consapevole che Papa Francesco chiamerebbe humana comunitas”. Un esempio concreto sono le Summer School che avranno luogo nei prossimi mesi, aperte a studenti, imprenditori, ricercatori e a chiunque voglia trasformarsi in un climate shaper. La prima si svolgerà dal 10 al 17 luglio a New York. Location non casuale. “New York è stata la prima città ad aver introdotto il Green new deal, facendo entrare negli indicatori economici-finanziari, anche gli indicatori ambientali. In questo senso il suo sindaco (Bill De Blasio ndr) si è dimostrato un vero protagonista di questa rivoluzione del fare”.
Il cambiamento passa dall’arte
La rivoluzione del fare passa anche per l’arte e la creatività. A dimostrarlo all’Envisioning Forum Gaella Gottwald, alumna IED e ora art director, artista e imprenditrice culturale, nonché fondatrice di SOS creative clinic, un programma inserito nell’ambito della Croatian Cultural Alliance, e volto a risolvere questioni di sostenibilità sociale attraverso progetti di tipo ambientale ed economico. Focus del suo impegno è il tentativo di usare l’arte come mezzo di empowerment, facendosi promotrice di un impatto virtuoso sulla società attraverso la creatività. A raccontarlo i tanti progetti portati avanti in tutto il mondo, per aiutare le comunità locali a salvaguardare mestieri tradizionali e avviare iniziative di design sostenibile. “Credo fortemente nell’artigianato”, ha spiegato Gottwald, “Ho deciso che volevo imparare la manualità e mi sono ritrovata a Bali in un laboratorio nel bel mezzo della giungla, dove realizzano i batik, che purtroppo è una tecnica che sta scomparendo. Per aiutarli a fare evolvere questa manualità ho creato con loro dei gioielli a base di conchiglie sostenibili.” Un altro esempio sono i monumenti immersi nella natura e realizzati a Dubrovnik con i rifiuti e la plastica raccolti sulle coste della vicina isola di Lokrum. “Il cambiamento sostenibile deve necessariamente includere anche l’aspetto sociale”, conclude Gottwald, “La Rivoluzione del Fare è creare, coinvolgere, collaborare e risolvere problemi”.
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