Yemen, un’epidemia di colera avrebbe causato 209 morti secondo l’Unicef

La guerra non cessa e le condizioni sanitarie nello Yemen precipitano. Un’epidemia di colera ha ucciso 209 persone. 17mila i casi sospetti.

Nel contesto di una guerra che dura ormai da oltre due anni, nello Yemen le  condizioni sanitarie stanno ormai precipitando. Secondo quanto riferito dal Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc), un importante focolaio di colera ha causato infatti 115 morti nelle sole ultime due settimane. Ancor più pesanti le cifre indicate dall’Unicef locale, che parla di 209 morti.

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Dominik Stillhart, direttore delle operazioni del Icrc nella nazione mediorientale, ha spiegato nel corso di una conferenza tenuta nella capitale Sana’a che “si tratta di una crisi molto grave”. Citando un bilancio del ministero della Salute yemenita, il dirigente ha spiegato che le vittime dell’epidemia sono state conteggiate tra il 27 aprile e il 13 maggio, e che sono più di 8.500 i casi sospetti individuati in quattordici province (17mila secondo l’Unicef).

Cumuli di spazzatura e ospedali intasati nello Yemen

La situazione igienica in numerosi centri urbani appare vicina al collasso: la stampa internazionale riferisce di montagne di immondizia accumulate nelle strade e di ospedali in tutto lo Yemen incapaci di gestire l’afflusso di pazienti che presentano i sintomi del colera. “Ormai siamo costretti a far sedere quattro sospetti malati di colera sullo stesso letto – ha aggiunto Stillhart -. Alcuni pazienti sono costretti a rimanere all’esterno delle strutture: facciamo passare le flebo dalla finestra”.

Un responsabile locale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Jameel Nashir, ha lanciato un appello agli abitanti affinché prestino particolare attenzione all’igiene personale, “prendano coscienza della pericolosità della malattia” e abbiano cura di “utilizzare unicamente acqua proveniente da fonti sicure”. La stessa Oms ha classificato inoltre lo Yemen nell’elenco delle più gravi emergenze umanitarie del mondo, assieme alla Siria, al Sudan del Sud, alla Nigeria e all’Iraq.

Immagine di copertina tratta da Twitter.

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