La giustizia, nella testimonianza di Musonio Rufo, non è altro che il raggiungimento del bene tramite la fatica.
Epitteto e la giustizia come fratellanza
Epitteto, il grande filosofo-schiavo dell’antichità, sosteneva che l’uomo cela nel proprio animo un frammento divino che ci rende fratelli nella identica tangenza con gli Dei.
Ecco, senza frapporre indugi, il bellissimo passo del
Nostro: “Un tale gli domandò come si possa
mangiare in modo da piacere agli Dei; ed Epitteto rispose: “Se si
può mangiare in modo corretto e ragionevole e, ancora, con
moderazione ed eleganza, non si agisce anche in modo da piacere
agli Dei? Quando chiedi dell’acqua calda e il servo non ti
dà retta, o ti dà retta ma te la porta tiepida, o non
si trova neppure in casa, se non ti irriti per questo e non monti
in collera, non ti comporti in modo da piacere agli Dei”.
“Ma come si fa a tollerare gente di tal genere?”
“Schiavo, non tollererai tuo fratello, che ha Zeus per padre, che,
come figlio, è nato dagli stessi semi generatori dai quali
provieni tu ed appartiene alla stessa discendenza celeste? Se sei
assegnato ad un posto elevato, subito ti farai tiranno? Non vuoi
ricordare chi sei e chi governi? Non sono parenti, fratelli per
natura, discendenti di Zeus?”.
“Ma io ho un diritto di acquisto su di loro; ed essi non l’hanno su
di me”.
“Vedi dove fissi lo sguardo? Non è sulla terra, sulla
voragine dei condannati, su queste nostre miserabili leggi di
morti? Alle leggi degli Dei non fissi lo sguardo?” “.
Epitteto ritiene che l’anima altro non sia che un frammento
divino, di conseguenza l’uomo è portatore, custode di un
Dio. In questo modo, l’uomo – ogni uomo, senza distinzione naturale
o sociale – reca in sé le vestigia, le tracce degli Dei che
ci rendono fraterni gli uni agli altri.
La
giustizia, quindi, nella sua forma più alta
consiste proprio in questo: riconoscere nell’altro quello stesso
frammento divino che è in noi e che ci rende fratelli nella
identica tangenza con gli Dei.
In conclusione, leggiamo un’altra inequivocabile testimonianza di
Epitteto sulla nostra comune
parentela con il divino: “Tu… sei un fine, sei un
frammento di Dio; hai in te una parte di Lui. Per
quale motivo, allora, misconosci la parentela? Perché non
sai da dove provieni? Non vuoi rammentare, quando mangi, chi sei tu
che mangi, e chi nutri? Quando hai rapporti sessuali, chi sei tu
che hai questi rapporti? Quando hai rapporti sociali? Quando fai
gli esercizi fisici, quando conversi, non sai che è un dio
che nutri, un dio che eserciti? Porti un dio con te, infelice e lo
ignori. Credi che parli di un dio d’oro o d’argento fuori di te?
È in te che lo porti, e non t’accorgi che lo insudici con
pensieri sconci e con azioni sordide. In presenza di un simulacro
di Dio non oseresti fare alcuna delle cose che fai. E alla presenza
di Dio stesso, che è dentro di te e guarda e ascolta ogni
cosa, non hai vergogna di pensare e di fare tutto ciò, uomo
incosciente della tua propria natura …?”
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