L’ultimo bilancio di sostenibilità di Gruppo CAP, Sorgente di connessioni, ricorda l’importanza di fare rete per rendere concreta la transizione ecologica.
Ercan Ayboga, dal Kurdistan al Rojava, in difesa di fiumi e diritto all’acqua
Impegnato a Hasankeyf e nella regione siriana di Rojava nella lotta per il diritto all’acqua. Scopriamo la storia del water defender Ercan Ayboga.
di Christian Elia
“Sono cresciuto in una città industriale in Germania, nel nostro piccolo appartamento da working class. La natura era un mondo lontano per me, da piccolo, e l’acqua era solo qualcosa da usare. Nel mio percorso scolastico non mi era mai capitato che qualcuno ci facesse riflettere sull’importanza dell’acqua. Ogni volta che con la mia famiglia, per le vacanze estive, tornavo nella loro cittadina, a Dersim, nel Kurdistan del nord, che viene chiamato Kurdistan turco, scoprivo il rapporto che legava la città al suo fiume, il Munzur. Pulito, libero: era il luogo dei pic-nic di famiglia, delle nuotate. Profondo, limpido, che scorreva tra le montagne fino a toccare la città di Dersim. Per me, anno dopo anno, cresceva la consapevolezza di quanto fosse importante per quella comunità il fiume. E quanto fosse importante difenderlo”.
Chi è Ercan Ayboga
Ercan Ayboga, ingegnere ambientale e attivista, già cofondatore di Tatort Kurdistan in Germania, vive tra il Kurdistan settentrionale e la Germania, dove è nato da genitori curdi arrivati dalla Turchia. Impegnato politicamente nel Mesopotamian Ecology Movement e, in modo particolare, nelle lotte per il diritto all’acqua, Ercan si è impegnato in prima persona nella difesa del sito archeologico di Hasankeyf e delle famiglie curde sfollate dal mega progetto della diga Ilisu, del governo turco, e per l’equo accesso alle risorse idriche in Rojava, nel Kurdistan siriano.
“Nella cultura curda il rapporto con le risorse naturali del loro territorio è solido; le montagne come i fiumi sono parte dell’identità collettiva. L’agricoltura, in massima parte, segue ancora i cicli delle precipitazioni per non impattare sui fiumi, l’acqua è parte dell’organizzazione della vita quotidiana e viene rispettata come e utilizzata con cura. Come in molte altre antiche culture, anche i curdi hanno miti e leggende legate all’acqua e alle loro tradizioni. L’acqua ha un senso simbolico: disseta, purifica, pulisce le mani e l’anima. Da noi ci sono anche le comunità alevite, anche loro oppresse dal potere centrale turco, e come noi anche per loro l’acqua ha un valore mistico. Dopo gli studi mi sono focalizzato in particolare sulla protezione dei fiumi, suggestionato e stimolato da questo bagaglio culturale”.
Diritto all’acqua: cosa è successo a Hasankeyf
Hasankeyf di fatto non esiste più. Quella che era stata definita un “gioiello dell’umanità” dalla stessa Turchia, che nel 1981 l’aveva indicata come zona protetta e che l’Unesco avrebbe dovuto inserire nella sua lista dei luoghi da proteggere, è definitivamente e completamente scomparsa alla vista, sommersa per l’allagamento della diga Ilisu sul fiume Tigri. Si trattava di una città con circa 12mila anni di storia. Le acque hanno inghiottito anche circa 200 villaggi curdi e decine di migliaia di persone hanno dovuto lasciare la terra in cui vivevano da millenni, denominata dai curdi Bakur, sotto amministrazione turca. Le conseguenze arrivano fino a valle del corso del Tigri, investendo anche la qualità della vita delle paludi nel sud dell’Iraq: una catastrofe ambientale in un’area già duramente colpita dai cambiamenti climatici e dalla siccità. Una battaglia internazionale, che ha visto Ercan in prima fila, per impedire questo scempio è andata perduta, ma per lui e per molti altri non è solo una sconfitta.
“La comunità locale, i curdi in generale, la stessa opinione pubblica turca, fino all’Iraq e al mondo intero: tutti, grazie alla lotta di Hasenkeyf, hanno rafforzato la loro consapevolezza rispetto alla difesa delle risorse naturali, del patrimonio culturale e dell’acqua in particolare – spiega Ercan – diventando un simbolo e spingendo milioni di persone a porsi una domanda chiave: possiamo chiamare “sviluppo” una logica del profitto che devasta storia, territori e comunità? Hasenkeyf è un monito: tutti devono difendere le risorse naturali, prima che sia troppo tardi. Un nuovo movimento ecologico è nato e si è rafforzato, in Turchia e in Iraq, per tutto questo il lavoro nato attorno a quella campagna ha dato vita al Mesopotamian Ecology Movement. E così, invece di essere un punto di arrivo, quella battaglia è diventata un punto di partenza, anche se non siamo riusciti a fermarlo. Fin dall’inizio non sapevamo come fermarlo, ma sapevamo che era necessario opporsi al progetto, concentrandoci sul produrre documenti per dare strumenti alle comunità locali, più che far pressione sulle aziende coinvolte. In futuro, magari, grazie a tutto questo, arriveremo a ripristinare il sito”.
Il diritto all’acqua
Ercan, che ha dedicato molti dei post del suo blog molto seguito al Rojava e al conflitto in Siria, ha scritto anche un libro sul modello di gestione comunitaria del diritto all’acqua che si sperimenta tra le comunità curde in Siria. Dove, come in molti altri casi nel mondo, il controllo dell’acqua è diventato uno strumento di guerra.
“Sono almeno trent’anni che l’acqua è un’arma di guerra. Per il controllo dei territori e per gli interessi privati. La politica aggressiva della Turchia con i suoi vicini, compresi Siria e Iraq, passa dal controllo delle risorse idriche. Non è un caso che il governo turco ha collegato il flusso d’acqua che lascia passare in Iraq alla possibilità di poter bombardare impunemente in Kurdistan iracheno. In Rojava, dopo la scacciata dell’Isis, le comunità locali si sono organizzate, dal basso, perché tutti abbiano l’acqua. Dei consigli comunali, per un prezzo simbolico, distribuiscono le risorse in base alle necessità e nessuno si sogna di tagliare l’acqua a coloro che hanno difficoltà a pagare. Si lavora a sviluppare un modello agricolo sostenibile, senza grandi progetti d’irrigazione artificiale. Si sta riforestando con equilibrio, sensibilizzano i nuclei familiari all’utilizzo ragionevole dell’energia elettrica: meglio avere poco per tutti che essere ricattabili.
La Turchia ha messo pressione, per anni, colpendo i pozzi e chiudendo l’acqua. Questa estate è drammatica: da aprile non piove nella regione. Una siccità tra le peggiori di sempre dal 2008. Senza un approccio comunitario, non ci sarà nessuno felice. Quello che si sperimenta in Rojava è un modello che deve interessare tutti noi, ovunque, perché solo cambiando certi equilibri sociali e culturali si potrà affrontare il dramma che il cambiamento climatico pone di fronte a noi.
E infine, proprio perché l’acqua è un’arma di guerra, il lavoro transfrontaliero che abbiamo iniziato nella regione – culminato nelle due edizioni del Mesopotamian Water Forum – parte dall’idea che l’acqua e i fiumi insegnano che non esistono politiche nazionali e confini che hanno senso di fronte alla sete e alla siccità. Oggi curdi, turchi, iracheni, libanesi, giordani e molti altri lavorano assieme, condividono pratiche di attivismo e documenti: questo è molto più importante di un governo o di un altro, perché mette assieme le persone, attorno all’acqua, per cambiare le proprie vite e proteggere le loro comunità”.
Water Defenders è un progetto di Water Grabbing Observatory per il decimo anniversario del riconoscimento del diritto umano all’acqua. Una serie di interviste da tutto il mondo racconteranno battaglie civili dal basso in difesa dell’acqua. Una lotta intesa sotto tutti i punti di vista, contro l’accaparramento delle risorse e contro le grandi e piccole opere che impattano sulle comunità e sul patrimonio naturale. Una galleria di persone comuni, uomini e donne, che in tutto il mondo difendono un diritto fondamentale. A partire dal 22 marzo, Giornata mondiale dell’acqua, ogni mese Water Grabbing Observatory racconterà su LifeGate la storia di un personaggio che si è speso per tutelare la risorsa più preziosa che abbiamo. Per ribadire il valore del diritto all’acqua.
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