La Repubblica Democratica del Congo non esporterà più legname all’estero. Una decisione forte, con cui il governo di Kinshasa prova a tutelare una foresta pluviale che ha un valore inestimabile per l’ecosistema locale e per la lotta contro i cambiamenti climatici. A dare l’annuncio è stata la ministra dell’Ambiente Ève Bazaiba nella giornata di giovedì 28 ottobre. Come precisa l’agenzia Reuters, non c’è ancora chiarezza sulla data in cui il provvedimento entrerà in vigore.
Perché la foresta pluviale del Congo è in pericolo
Con la sua estensione di circa 200 milioni di ettari, la foresta pluviale del bacino del fiume Congo è la seconda più grande del mondo dopo l’Amazzonia. Il 60 per cento della sua superficie ricade nei confini della Repubblica Democratica del Congo; la parte restante si sviluppa tra Repubblica del Congo, Gabon, Guinea equatoriale, Camerun e Repubblica Centroafricana. È uno dei pochi posti sulla Terra ad assorbire più CO2 di quanta ne emette: fino a 1,5 miliardi di tonnellate all’anno, cioè il 4 per cento delle emissioni globali.
“Historically, Africa is responsible for only 3 percent of global emissions. And yet, some Africans are already suffering some of the worst and brutal impacts of climate change.”
Per decenni questo polmone verde è riuscito a tenere duro, ma la situazione sta precipitando in fretta. La Repubblica Democratica del Congo al secondo posto, dopo il Brasile, nella classifica della deforestazione stilata dal Global forest watch. Più di 490mila gli ettari di foresta primaria umida tropicale andata distrutta nel corso di un solo anno, il 2020. Tra le cause prevalenti, soprattutto l’espansione delle aree agricole e il fabbisogno di legname per l’energia. “Il governo della Repubblica Democratica del Congo, alla pari degli altri attori locali, nazionali e internazionali, deve fare di più per comprendere i fattori alla base di questa perdita e sviluppare le competenze utili per trovare soluzioni”, si legge nello studio di Global forest watch.
Il governo di Kinshasa risponde all’appello con lo stop alle esportazioni di legname. Finora i principali mercati di destinazione sono stati Vietnam, Unione europea e Cina. “Questo ci consentirà non solo di agevolare il ripristino dell’ecosistema naturale, ma anche di mettere in atto un programma di riforestazione avviato con tutti i nostri partner tecnici, finanziari e di sviluppo”, ha dichiarato la ministra Bazaiba. Già a metà ottobre il presidente Felix Tshisekedi aveva annunciato una revisione di tutte le concessioni per il disboscamento, con l’intento di sospendere tutte quelle “dubbie”.
Democratic Republic of Congo's environment minister said on Thursday the country intends to ban all log exports and implement other measures to lessen threats to its carbon-absorbing tropical rainforest, a major bulwark against climate change. https://t.co/30ZS2eknwY
Per mettere un freno a un fenomeno vasto e complesso come la deforestazione, serve un governo che dia un indirizzo chiaro. Ne è una prova la storia dell’Indonesia, dilaniata dagli incendi per anni con conseguenze tragiche per le foreste, per la salute delle persone e per la vita degli animali che le abitavano. Dopo i roghi di proporzioni drammatiche nel 2016, è arrivato il cambiamento di rotta sotto forma di due moratorie. La prima, temporanea, sulle licenze per le nuove piantagioni di palma da olio; la seconda, permanente, sulla conversione di foreste primarie e terreni torbosi.
Arrivata alla sua naturale scadenza nel mese di settembre 2021, però, la moratoria sulle nuove licenze non è stata rinnovata. Le conseguenze sono tutte da vedere. Intervistato da Reuters, il presidente Joko Widodo ha gettato acqua sul fuoco. “Ho ordinato che questa misura venga inserita nella legge (omnibus, ndr), così non dobbiamo rinnovarla a ogni scadenza. Così, quando cambierà il governo, non cambierà la normativa”, ha dichiarato. Da parte sua, il ministero dell’Ambiente ha assicurato di non voler rilasciare nessuna licenza, pur essendo formalmente autorizzato a farlo. Tra gli ambientalisti, però, serpeggia una certa preoccupazione. E anche i legali interpellati da Reuters temono che, d’ora in poi, l’amministrazione si trovi sommersa dai ricorsi di chi ha visto respingere la propria richiesta.
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