La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
Si è conclusa il 2 novembre la Cop16 sulla biodiversità, in Colombia. Nonostante le speranze, non arrivano grandi risultati. Ancora una volta.
Secondo uno studio danese, in seguito all’estinzione da massa provocata dall’uomo, occorreranno tra i 3 e i 5 milioni di anni affinché si ritorni agli attuali livelli di biodiversità.
Nel corso del suo lento ma inesorabile incedere la natura ha sviluppato una serie di meccanismi evolutivi per regolare la densità di specie animali e vegetali. La comparsa di un bizzarro primate spelacchiato, l’Homo sapiens, capace ad un tempo di sterminare migliaia di specie e di cercare di riportare in vita creature ormai estinte, ha però fatto saltare il banco. Abbiamo infatti condotto sul baratro dell’estinzione animali e piante ad un ritmo insostenibile, mai visto prima, rendendo di fatto inutile il meccanismo selettivo dell’evoluzione.
Nella storia del pianeta si sono verificate cinque gravi catastrofi, soprannominate “Big five”, che hanno provocato il tracollo della biodiversità. Attualmente, secondo molti scienziati, è in corso uno di questi eventi epocali: la sesta estinzione di massa della Terra. Fino a poche decine di migliaia di anni fa il pianeta era popolato da creature colossali, come rinoceronti lanosi, uri, mammut, orsi delle caverne e bradipi giganti. In un arco di tempo relativamente breve, coinciso con l’avvento della nostra specie, questi animali si sono estinti. Da quando ha fatto la sua comparsa sul pianeta l’Homo sapiens, secondo un recente studio, ha causato l’estinzione dell’83 per cento delle specie di mammiferi selvatici e della metà delle piante. Il tasso di estinzione è aumentato esponenzialmente con la rivoluzione industriale, dal 1500 ad oggi oltre trecento specie di vertebrati terrestri si sono estinte e molte altre sono in via di estinzione. Secondo il biologo statunitense Edward Osborne Wilson ogni anno perdiamo dalle 11mila alle 58mila specie, all’incirca una specie ogni venti minuti.
Un gruppo di ricercatori delle università danesi di Aarhus e Göteborg ha calcolato che, considerato l’attuale tasso di estinzione dei mammiferi, serviranno tra i tre e i cinque milioni di anni affinché la natura si riprenda. Cinque milioni di anni, un lasso temporale talmente vasto che la nostra mente non è in grado di percepirlo davvero. Per provare ad aiutarci possiamo però ricordare che la nostra specie ha fatto la sua comparsa da appena 300mila anni circa. In seguito alle precedenti estinzioni di massa, avvenute negli ultimi 450 milioni di anni in seguito a grandi sconvolgimenti ambientali, l’evoluzione ha lentamente e meticolosamente colmato le lacune lasciate dalle specie estinte con nuove specie.
Questa volta però le estinzioni si stanno susseguendo ad un ritmo troppo rapido, non consentendo all’evoluzione di reggere il passo. I ricercatori hanno stimato che, se i mammiferi si diversificassero ad un ritmo normale, ci vorranno ancora tra i cinque e i sette milioni di anni affinché la biodiversità ritorni ai livelli toccati prima dell’evoluzione dell’uomo moderno (in termini di diversità di specie ed entità delle popolazioni, non è naturalmente possibile che si ricrei la stessa biodiversità). Servirà “un po’ meno tempo”, tra i tre e i cinque milioni di anni, perché ritorni invece allo stato attuale.
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Lo studio, pubblicato sulla rivista Pnas, è stato realizzato analizzando un ampio database di mammiferi, che include non solo le specie esistenti, ma anche le centinaia di specie che vivevano nel recente passato ed estinte a causa dell’impatto antropico. Grazie ad avanzate simulazioni e ai dati relativi alle relazioni evolutive e alle dimensioni corporee dei mammiferi esistenti ed estinti, i ricercatori hanno provato a capire se e quando i mammiferi superstiti saranno in grado di “rigenerare” la biodiversità perduta. Gli studiosi hanno ipotizzato uno scenario ottimistico, nel quale l’uomo ha smesso di distruggere gli habitat riducendo sensibilmente i tassi di estinzione, ma anche in questo roseo futuro occorreranno i sopracitati 3-5 milioni di anni per rigenerare i rami dell’albero evolutivo che potrebbero essere recisi nei prossimi cinquanta anni.
Non tutte le specie, hanno evidenziato i ricercatori, hanno la stessa importanza dal punto di vista evolutivo. “Alcuni grandi mammiferi scomparsi, come i bradipi giganti e le tigri dai denti a sciabola, che si estinsero circa 10mila anni fa, erano altamente distinti dal punto di vista evolutivo e, poiché avevano pochi parenti stretti, le loro estinzioni comportarono il taglio di interi rami dell’albero evolutivo della Terra – ha spiegato il paleontologo Matt Davis dell’università di Aarhus, che ha diretto lo studio. – Esistono centinaia di specie di toporagno, quindi alcune estinzioni potrebbero essere superate, c’erano invece solo quattro specie di tigri dai denti a sciabola, che si estinsero tutte”.
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La scomparsa definitiva di queste creature uniche ha anche privato il pianeta delle peculiari funzioni ecologiche, modellate nel corso di milioni di anni di storia evolutiva, che questi svolgevano. Pensiamo ai mammut e ad altri pachidermi preistorici, questi animali, un tempo diffusi in molte aree del pianeta, avevano un grande impatto sull’ambiente alterandone la vegetazione e costringendo gli ecosistemi ad adattarsi. Oggi i grandi mammiferi sono gravemente minacciati e le loro popolazioni, nel migliore dei casi, sono dimezzate. Entro i prossimi cinquanta anni potremmo perdere il rinoceronte nero, mentre gli elefanti asiatici, riflesso della grandiosità dell’antica fauna, hanno meno del 33 per cento di possibilità di sopravvivere oltre questo secolo.
Un tempo le dimensioni colossali rappresentavano una strategia evolutiva vincente, l’avvento dell’uomo ha però ribaltato questo paradigma e portato all’estinzione questi antichi giganti dai ritmi riproduttivi troppo lenti. “Vivevamo in un mondo di giganti, mentre ora viviamo in un mondo sempre più impoverito di grandi specie di mammiferi selvatici – ha affermato il professor Jens-Christian Svenning dell’università di Aarhus, a capo di un programma di ricerca sulla megafauna. – I pochi giganti rimasti, come rinoceronti ed elefanti , rischiano di essere spazzati via molto rapidamente”. Lo studio potrebbe però contribuire ad evitare la scomparsa di specie uniche e preziose, consentendo di focalizzare gli sforzi di conservazione per evitare le estinzioni più gravi dal punto di vista evolutivo. “È molto più facile salvare la biodiversità ora, anziché aspettare che si evolva nuovamente in futuro”, ha concluso Matt Davis.
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