I dati emersi dall’ultimo rapporto Ismea, l’ente pubblico che analizza il mercato agro-alimentare, ci obbligano a riflettere sul costo del cibo e su come buona parte del prezzo pagato non arrivi agli agricoltori.
Latte, proposta un’etichetta che indichi il metodo di allevamento delle mucche
Legambiente e Ciwf chiedono un’etichettatura del latte più trasparente per favorire la transizione verso sistemi di allevamento attenti al benessere animale.
Quando compriamo delle uova sappiamo come sono state allevate le galline che le hanno deposte. Perché allora non fare la stessa cosa con il latte? Legambiente e Ciwf (Compassion in world farming) hanno lanciato una proposta di etichettatura del latte che, attraverso una tabella, permetta di identificare con facilità i diversi metodi di allevamento delle mucche al di là di immagini e claim che possono essere fuorvianti.
Un’etichetta trasparente sul metodo di allevamento delle vacche da latte
Le due associazioni ritengono necessaria un’etichettatura del latte secondo il metodo di allevamento delle mucche, che sia volontaria, univoca e nazionale e che renda i consumatori protagonisti della transizione verso sistemi di allevamento più sostenibili. Legambiente e Ciwf hanno sottolineato, infatti, l’importanza della dismissione dei sistemi alla posta, dove le vacche possono trascorrere anche tutta la propria vita legate, a favore dell’accesso al pascolo, che consente alle vacche di esprimere comportamenti naturali propri dei ruminanti.
Dall’allevamento biologico a quello intensivo: l’etichettatura a sei livelli
L’etichettatura proposta definisce sei sistemi di allevamento a cui corrispondono sei livelli di benessere animale. Il numero zero verrebbe associato all’allevamento biologico, il numero 1 alla stabulazione libera con accesso al pascolo sempre disponibile, il numero 2 alla stabulazione libera con accesso al pascolo per almeno quattro mesi, il numero 3 alla stabulazione libera senza accesso al pascolo, ma con più spazio per le vacche in lattazione; il numero 4 alla stabulazione fissa con vacche legate e accesso al pascolo per almeno 120 giorni l’anno; il numero 5 all’allevamento intensivo.
Un marchio Ue per il benessere animale
In tema di transizione verso allevamenti sostenibili, il Consiglio dell’Unione europea ha approvato lo scorso dicembre alcuni pilastri per il miglioramento del benessere degli animali da produzione alimentare e ha invitato la Commissione europea a presentare una proposta per un marchio Ue relativo al benessere animale con standard più rigorosi di quelli previsti attualmente dalla legislazione dell’Ue e che includa progressivamente tutte le specie di bestiame per il loro intero ciclo di vita (compresi il trasporto e la macellazione).
In Italia un logo volontario sul benessere animale (che non convince)
In Italia è stata presentata il 15 febbraio la bozza delle certificazioni relative al “Sistema di qualità nazionale benessere animale”, introdotto con il Decreto Legge 34 del 19 maggio 2020, convertito con modificazioni dalla Legge 77 del luglio scorso, che ha come obiettivo quello di definire uno schema base di produzione di carattere nazionale per rafforzare la sostenibilità ambientale, economica e sociale delle produzioni di origine animale, favorire un recupero di competitività della fase allevatoriale, migliorare la sostenibilità dei processi produttivi, garantire la trasparenza nei confronti dei consumatori.
La presentazione, promossa dai ministeri della Salute e delle Politiche agricole, alimentari e forestali in collaborazione con Accredia, ente italiano di accreditamento, non ha convinto per ora le associazioni che si occupano di benessere animale: Ciwf, Essere Animali, Lav e Legambiente hanno espresso preoccupazione per una mancata trasparenza nella condivisione delle bozze dei documenti che descrivono le condizioni richieste agli allevamenti per essere certificati in tema di benessere animale attraverso un logo volontario.
“Ad esempio – scrivono le associazioni in una nota – per la certificazione dei suini al coperto, l’unica presentata, non sono state considerate le scrofe e i suinetti e questo implica che la carne di suino etichettata con il claim ‘benessere animale’ potrà derivare da scrofe allevate in gabbia, e da suinetti che hanno subito la limatura dei denti, un’operazione molto dolorosa”. E ancora: “La certificazione nazionale volontaria per il benessere animale dovrà impedire operazioni di greenwashing e ancor più che siano finanziate mere operazioni di maquillage di allevamenti intensivi; con i soldi dei cittadini derivanti dalla Politica agricola comune e dal Next Generation Eu la certificazione dovrà invece efficacemente aiutare le scelte consapevoli dei cittadini e degli allevatori che vogliono impegnarsi per accrescere il benessere degli animali.”
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