La campagna Vote for animals, promossa da Lav e altre organizzazioni, mira a far assumere a candidati e partiti un impegno maggiore sul tema dei diritti animali.
Cosa si cela dietro la nuova etichettatura per i prodotti di origine animale
La nuova etichettatura per i prodotti di origine animale potrebbe essere un’operazione di greenwashing che andrebbe a rafforzare gli allevamenti intensivi.
Etichette fuorvianti e certificazioni che non rispettano gli standard europei: acquistare prodotti di provenienza animale senza sapere se gli standard di benessere animale sono stati effettivamente rispettati rischia di non essere più possibile. La nuova etichettatura per i prodotti di origine animale proposta dal Ministero dell’Agricoltura e dal Ministero della Salute potrebbe tradursi in un’operazione di greenwashing che rafforzerebbe gli allevamenti intensivi mettendo a repentaglio la transizione ecologica verso sistemi di maggiore tutela per gli animali.
L’attenzione dell’opinione pubblica alla sostenibilità cresce, ma le etichettature non funzionano
Secondo il recente Rapporto Coop 2021, il 38 per cento degli italiani preferisce acquistare prodotti alimentari salutari e sostenibili. Nei consumi legati a carne e derivati, inoltre, si registra un aumento molto elevato di persone che scelgono di acquistare bio. A questo trend, si accosta la sensibilità crescente dei consumatori circa le condizioni in cui sono allevati gli animali a scopo alimentare.
In risposta a questa attenzione, si è assistito alla nascita di etichette e claim sul benessere animale che sono tuttavia disomogenee nei significati e potenzialmente fuorvianti. Ad esempio, allo stesso claim “benessere animale” possono corrispondere diversi standard e criteri, rendendo impossibile la scelta informata da parte dei consumatori.
Un caso simile è quello che riguarda la certificazione di benessere animale legata ai prodotti suinicoli di cui si stanno occupando proprio in questo periodo i ministeri delle Politiche agricole e della Salute. La nuova certificazione potrebbe infatti attribuire l’etichetta di benessere animale anche a prodotti derivati da scrofe e maialini allevati in gabbie di un metro per uno, a cui è stata tagliata la coda e che vivono ammassati gli uni sugli altri.
La nuova certificazione potrebbe abbassare ancora gli standard di benessere animale
L’etichettatura può rappresentare uno strumento fondamentale per veicolare corrette informazioni ai consumatori e dare loro la possibilità di fare scelte alimentari consapevoli, ma il recente schema di decreto sulla certificazione di benessere animale non va in questa direzione. E a rimetterci, oltre i consumatori, sono ancora una volta gli animali, le cui esigenze rischiano di essere del tutto ignorate.
Il decreto propone la costituzione di un Comitato tecnico scientifico dedicato e, nello specifico, nuovi standard produttivi per i suini. Questi però rischiano di essere dannosi per almeno tre motivi: sarebbero innanzitutto responsabili di ridurre le tutele nei confronti degli animali allevati contravvenendo alla direttiva europea per la protezione dei suini, tradirebbero la fiducia dei consumatori e causerebbero una distorsione nell’accesso ai fondi della Politica agricola comune e del Pnrr, il piano nazionale di rilancio del paese creato in risposta alla pandemia da Covid-19 e che dovrebbe promuovere una transizione verde e sostenibile.
I nuovi standard proposti, così bassi e indifferenti nei confronti del benessere animale, finirebbero infatti per favorire ancora una volta gli allevamenti intensivi, senza fornire adeguata differenziazione e incentivo a quei produttori che invece vogliono investire realmente in pratiche più in linea con standard di benessere animale più elevati. Il motivo è che questa certificazione offre accesso prioritario ai fondi europei per la transizione ecologica ai grandi produttori intensivi. Tradire così la finalità della Pac e del Pnrr è un escamotage che però non ci possiamo permettere.
Le pratiche inaccettabili all’interno degli allevamenti condannate anche dall’Ue
La vita degli animali in gabbia è insostenibile. Ancora di più se ciò si verifica nei confronti di animali che arrivano a pesare fino a 170 chili restando chiusi in box di un metro quadrato, come nel caso dei maiali e delle scrofe. Anche per questo l’Unione europea si è impegnata a eliminare l’uso delle gabbie negli allevamenti entro il 2027. Non è chiaro, allora, il perché di un nuovo decreto che certifica con “benessere animale” anche prodotti che derivano da animali chiusi in gabbia.
La maggior parte dei suini italiani, inoltre, subisce il taglio della coda sistematico che viene praticato dagli allevatori per evitare aggressioni e ferite causate dall’elevato stress e dal sovraffollamento all’interno degli allevamenti. Questa procedura, effettuata di routine, è stata dichiarata illegale dall’Unione europea attraverso la direttiva per la protezione dei suini; ciononostante è ancora ampiamente praticata in Italia. Se i nuovi standard venissero approvati, anche allevamenti che possiedono solo una piccola percentuale di suini allevati legalmente con la coda lunga potrebbero ottenere l’etichettatura.
Le organizzazioni per la protezione degli animali, fra cui Animal Equality, e quelle per la tutela dell’ambiente chiedono che questi standard inadeguati siano completamente rivisti, tenendo conto anche delle osservazioni della società civile e delle organizzazioni non governative che lottano per animali e ambiente ogni giorno. La grafica delle etichette alimentari non può essere livellata al ribasso, resa omogenea per tutte le specie a prescindere dal sistema di allevamento ed essere quindi fumosa e ingannevole per i consumatori. Benessere animale, sostenibilità ambientale e sociale sono prerequisiti fondamentali per il futuro del Pianeta.
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