Alcuni villaggi Amhara, in Etiopia, sono stati assaltati dai ribelli della Oromo liberation army. Si contano decine di vittime tra uomini, donne e bambini.
Decine di civili appartenenti al gruppo etnico degli Amhara sono stati uccisi in Etiopia, nella regione di Oromia. Amnesty International parla di 54 vittime, mentre la Commissione etiope per i diritti umani ha dichiarato che a perdere la vita sono state 32 persone, sottolineando che il tragico bilancio è destinato a salire. A compiere la strage, i separatisti dell’Oromo liberation army, già noti nel passato per episodi di questo tipo. Una tragedia che mette in crisi il già accidentato percorso etiope verso pace e democratizzazione.
Un’esecuzione brutale
Gli assalitori erano circa sessanta. Hanno attaccato tre diversi villaggi nella provincia di Welega, prendendosela indiscriminatamente con uomini, donne e bambini. Le persone sono state trascinate fuori dalle loro case e condotte nel cortile di una scuola, dove è avvenuta la loro esecuzione. Le case e le altre strutture sono state saccheggiate, poi tutto è stato dato alle fiamme.
Il governo regionale dell’Oromia, la regione dove è avvenuta la strage, ha individuato nell’Oromo liberation army la matrice dell’attacco. Si tratta della branca militare del partito Oromo liberation front. Quello degli Oromo è il principale degli oltre 80 gruppi etnici presenti in Etiopia. Gli Amhara, di cui facevano parte le vittime dell’assalto, sono invece la seconda etnia più numerosa. Non è la prima volta che persone appartenenti a quest’ultima siano vittime di violenze e discriminazioni al di fuori della regione di Amhara, il loro territorio di appartenenza. E non è la prima volta che a rendersi protagonista di massacri di questo tipo sia l’Oromo liberation army. In estate il gruppo è stato accusato del coinvolgimento nell’omicidio di Hachalu Hundessa, un famoso cantante etiope. Quell’episodio fu un trauma collettivo nel paese e in migliaia scesero nelle piazze, dove si verificarono violenti scontri inter-etnici. Morirono in 239.
La difficile transizione etiope
“I nemici dell’Etiopia giurano di governare il Paese o di rovinarlo, e stanno facendo tutto il possibile per raggiungere questo obiettivo. Una delle loro tattiche è armare i civili e sferrare attacchi barbari basati sull’identità. Questo è straziante”, ha dichiarato il premier etiope Abiy Ahmed, di origine Oromo.
L’Etiopia, divisa regionalmente su basi etnico-linguistiche, è impegnata in un delicato processo di pace e democratizzazione dopo decenni di violenze e tensioni. Nel 2019 il premier Ahmed ha vinto il premio Nobel per la pace per i suoi sforzi diplomatici con l’Eritrea, ma anche per le riforme annunciate nel suo paese. La sensazione però è che la strada da fare sia ancora molta. La tensione inter-etnica resta forte, come mostrano la strage delle ultime ore e le violenze dell’estate. La decisione di rinviare a data da destinarsi le elezioni previste in agosto ha poi acutizzato lo scontro politico, tanto che la regione settentrionale del Tigray il mese scorso ha chiamato ugualmente alle urne i suoi cittadini, in quello che il premier ha descritto come un voto incostituzionale. A complicare ulteriormente le cose, il fatto che proprio recentemente i militari si erano ritirati dall’area oggetto del massacro degli Amhara. “Il governo ha fallito nel suo dovere di proteggere la sicurezza dei cittadini”, ha dichiarato un membro del National movement of Amhara. Il premier etiope ora è chiamato a raccogliere i cocci di una transizione che sembrava ben avviata e che invece ha mostrato tutta la sua fragilità.
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