Gli abusi domestici verso donne e minori in Etiopia sono aumentati sensibilmente con il lockdown. A influire la chiusura di scuole e centri anti-violenza.
Chiuse in casa, poco esposte al pubblico, le donne hanno visto crescere gli abusi nei loro confronti da parte di familiari durante i mesi di pandemia in diverse parti del mondo. Tra i paesi dove più è emerso il tema c’è l’Etiopia, con un report pubblicato a giugno che parla di 100 bambine abusate e 50 donne violentate nella capitale dall’inizio delle misure di lockdown di marzo.
Quello della violenza domestica è uno dei tanti effetti nefasti della pandemia in corso. Come ha sottolineato l’Organizzazione mondiale della sanità, in alcuni stati europei le richieste di aiuto da parte delle donne ai numeri dedicati sono state del 60 per cento superiori rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
In India nel mese di maggio è stato lanciato l’allarme per diversi casi di abusi sui bambini, dopo che il paese ha ristretto i movimenti e la vita sociale della popolazione.
In Nigeria, l’incremento dei casi di stupri degli ultimi mesi hanno portato i governatori del paese a dichiarare lo stato di emergenza, mentre migliaia di persone sono scese in piazza contro la violenza di genere ed è nato il movimento Women against rape Nigeria (Warn).
Yesterday's protest at the Lagos House of Assembly with @WARNigeria
I translated the Chilean protest chant to pidgin which is what we used for the protest
— Blessing Ofia-Inyinya Nwodo (@BlessingONwodo) June 9, 2020
Quello della violenza sulle donne è problema decennale anche in Etiopia
Anche l’Etiopia sta facendo i conti con criticità di questo tipo, una violenza che peraltro non è affatto nuova. Secondo un sondaggio nazionale pubblicato nel 2019, il 35 per cento delle donne sposate ha subito violenza sessuale o emotiva dai mariti nel paese. Numeri che si aggiungono al tragico dato del 65 per cento delle donne del paese che hanno subito mutilazioni genitali, secondo un rapporto di Un Women. È una società dove gli abusi e le violenze nei confronti di donne e minori non solo sono all’ordine del giorno, ma dove le stesse vittime delle violenze finiscono poi per essere ulteriormente marginalizzate dalla società, in quello che è uno stigma dello stupro subito.
In Etiopia la Covid-19 si è fatta sentire, per quanto in misura nettamente meno potente che in altre parti del mondo. A metà giugno i dati parlano di circa 3.500 casi registrati di contagio e di 60 morti ufficiali. Questi numeri da una parte hanno portato il governo a prendere misure per il distanziamento sociale, dall’altro non si sono concretizzati in un lockdown totale come è stato altrove. E in questo contesto che si sono registrati i 100 abusi su minori e le 50 violenze sulle donne solo nella capitale Addis Abeba.
L’elemento cruciale, in questo senso, è stato soprattutto la chiusura delle scuole. “Il problema è che, a differenza di quando le scuole erano aperte, le violenze non sono visibili sui corpi delle vittime fino a quando le ragazze rimangono incinte”, ha sottolineatoAlmaz Abraham, capo del dipartimento governativo per le donne e i bambini, “gli uomini che praticavano violenze di questo tipo fuori dalle loro case ora fanno lo stesso sui loro parenti”.
La chiusura dei centri anti-violenza etiopi
Un altro aspetto critico, legato alla pandemia e direttamente correlato al tema degli abusi domestici, riguarda poi i centri anti-violenza etiopi. Ce ne sono diversi nel paese, ma oggi non sono attrezzati per fare gli screening per la Covid-19 e per questo motivo, oltre che per le norme di distanziamento sociale, alcuni di essi sono stati chiusi, altri hanno ridotto la loro capacità di accoglienza. Questo, unito alla paura del contagio, sta mettendo molte donne davanti a un bivio: lasciare le proprie case assumendosi tutti i rischi sanitari nel breve termine, o continuare la vita di abusi nel lungo periodo tra le proprie mura domestiche.
Il governo etiope negli scorsi anni ha modificato la sua legislazione, escludendo crimini come lo stupro da quelli passibili di amnistia e allungando le pene detentive per gli autori di reati sessuali. Ma evidentemente non è bastato per un cambiamento radicale, come dimostrano le notizie di cronaca delle ultime settimane.
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