Come l’Europa è complice della deforestazione illegale

Anche i paesi europei, tra i meno inclini a violare il diritto e le convenzioni internazionali, alimentano la deforestazione illegale in giro per il mondo. Tra il 2000 e il 2012, l’equivalente di un campo da calcio è stato disboscato illegalmente ogni due minuti, cioè violando le leggi del paese che ha la fortuna di

Anche i paesi europei, tra i meno inclini a violare il diritto e le convenzioni internazionali, alimentano la deforestazione illegale in giro per il mondo. Tra il 2000 e il 2012, l’equivalente di un campo da calcio è stato disboscato illegalmente ogni due minuti, cioè violando le leggi del paese che ha la fortuna di avere sul proprio territorio aree forestali, per rispondere soprattutto alla domanda di prodotti agricoli in Europa.

 

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Il nuovo studio dell’organizzazione non governativa olandese Fern (felce in italiano) dal titolo Stolen goods: the EU’s complicity in illegal tropical deforestation (Beni rubati: la complicità dell’Unione europea nella deforestazione illegale delle foreste tropicali) riprende una ricerca condotta nel 2014 da Forest trend, ma cerca di valutare per la prima volta i dati sia dal punto di vista economico che da quello dell’ampiezza di foresta andata in fumo.

 

Dei vari prodotti che arrivano in Europa in seguito alla pratica di taglio di alberi non autorizzato, il 75 per cento finisce nei Paesi Bassi e in Germania dove è alta la richiesta di olio di palma, in Francia, che è la maggiore importatrice di soia per realizzare mangimi per polli e maiali, nel Regno Unito, dove finisce gran parte dei capi di bestiame allevati in seguito a deforestazione.

 

L’Italia si attesta primo paese per valore di beni importato a causa dell’alta richiesta di pellame per produrre accessori. Nel 2012 il valore di beni importati dal nostro paese ha sfiorato il miliardo di euro. I Paesi Bassi, invece, sono lo stato che importa la quantità maggiore di prodotti agricoli responsabili dell’area di foresta tagliata più grande, a causa della presenza di porti internazionali di grandi di dimensioni. I prodotti provengono per circa la metà dal Brasile, poi dall’Indonesia (25 per cento) e dalla Malesia. Coinvolti marginalmente anche Paraguay, Argentina e Uruguay.

 

“Abbiamo urgentemente bisogno di un piano d’azione per rendere omogenee le politiche dell’Ue su agricoltura, commercio e energia, per ridurre i consumi e assicurare che vengano importate solo materie prime legali e di origine sostenibile”, afferma Saskia Ozinga, coordinatrice della campagna per Fern.

 

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Il rapporto dell’ong, nata nel 1995 per tutelare le foreste e i diritti delle popolazioni che le abitano, chiede a Bruxelles di usare la propria influenza commerciale per spingere i governi dei paesi dove si trovano le foreste di attuare riforme per ridurre l’illegalità perché il solo impegno di organizzazioni e società civile rischia di non essere sufficiente. Se l’Unione europea è in prima linea nella lotta al riscaldamento globale, non può evitare di risolvere alla radice il problema del commercio e del consumo di materie prime coltivate o allevate lì dove prima c’erano alberi che assorbivano CO2.

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