Anche in Europa, i rischi delle ondate di caldo si ripercuotono soprattutto sulle persone più povere

In Europa si stima che nel 2023 50mila persone siano morte per il caldo. I dati dimostrano come alcune categorie siano più vulnerabili rispetto ad altre.

  • Le ondate di caldo sono i fenomeni meteo estremi che provocano più morti.
  • Anche in Europa, la povertà rappresenta un fattore di rischio.
  • Il 71 per cento della forza lavoro globale è esposta al caldo estremo.

“Le ondate di caldo sono la tipologia di meteo estremo più mortale, ma non lasciano una scia di distruzione né impressionanti immagini di devastazioni. Uccidono le persone povere e sole nei paesi ricchi e le persone povere che lavorano all’aperto nei paesi in via di sviluppo”. A dirlo è Friederike Otto, fondatore del World Weather Attribution, la principale autorità che conduce gli studi di attribuzione. “Negli ultimi 13 mesi ci saranno migliaia e migliaia di storie di persone morte per il caldo, storie che nessuno racconterà mai”. Parole drammatiche che, però, non fanno che rispecchiare la realtà. Una realtà in cui la crisi climatica rende ancora più profonde le disuguaglianze sociali ed economiche.

Cosa sappiamo delle morti dovute alle ondate di caldo

Quando il record del giorno più caldo mai registrato è stato superato due volte in due giorni, il 21 e il 22 luglio 2024, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha lanciato un appello. Ricordando che le ondate di calore non sono più eccezioni limitate a specifiche zone geografiche, ma stanno aumentando in termini di scala, intensità, frequenza e durata. Sappiamo che questo fenomeno è dovuto ai cambiamenti climatici di origine antropica e sappiamo anche che continuerà a peggiorare. Si stima che nel mondo il caldo uccida quasi mezzo milione di persone all’anno, un numero trenta volte superiore rispetto a quello dei decessi dovuti ai cicloni tropicali. In Europa si parla di 50mila morti nel 2023.

Guterres invita a tutelare proprio le fasce più vulnerabili della popolazione, a partire da bambini (nel mondo, uno su quattro è esposto a frequenti ondate di caldo) e anziani (nell’arco degli ultimi vent’anni, le morti di over 65 legate al caldo sono aumentate dell’85 per cento). Entro il 2050, il numero di persone povere che vivono in città e sono esposte al caldo estremo potrebbe crescere del 700 per cento. Queste sono stime globali, confermate da altri studi condotti su scala locale. Una ricerca del 2020 per esempio esamina le conseguenze delle ondate di caldo in 17 distretti di Madrid, rilevando un incremento della mortalità solo in tre di essi: quelli con un reddito inferiore alla media. Molto simili le conclusioni di un’analoga ricerca condotta in dieci province spagnole: chi vive in campagna è più tutelato e la povertà è da considerare come un fattore di rischio. Questo tema in Europa sta emergendo solo di recente; negli Stati Uniti se ne discute da tempo, in seguito agli studi che dimostrano come nei quartieri poveri ci siano meno alberi e temperature più alte.

I rischi per studenti e lavoratori

Anche nelle economie avanzate, infatti, nei quartieri urbani a basso reddito le abitazioni sono spesso sovraffollate e poco ventilate. Anche quando sono provviste di aria condizionata, non è detto che i residenti possano permettersi di tenerla accesa. Questo si ripercuote sulla qualità della loro vita in molti modi. Uno studio dell’università di Harvard per esempio sostiene che, per ogni grado Fahrenheit di aumento della temperatura delle aule su base annua, scendano dell’1 per cento le nozioni apprese dagli studenti.

Un’altra categoria fortemente a rischio è quella dei lavoratori, soprattutto quelli obbligati a trascorrere le loro giornate all’aperto o in luoghi non climatizzati. Stando a un recente report dell’Organizzazione internazionale per il lavoro (Ilo), il 71 per cento della forza lavoro globale è esposta al caldo estremo, con punte addirittura del 92,9 per cento in Africa, dell’83,6 per cento nei paesi arabi e del 74,7 per cento nell’Asia-Pacifico. Ma è nelle Americhe e tra Europa e Asia centrale che a partire dal 2000 sono aumentati i casi di infortuni dovuti allo stress termico, rispettivamente del 33,3 e del 16,4 per cento. Lavoratori e lavoratrici, infatti, si sono trovati alle prese con temperature estreme per le quali non erano attrezzati a sufficienza.

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