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La Corte di giustizia europea ha deciso: Uber è un servizio di taxi a tutti gli effetti e non una piattaforma digitale di intermediazioni. Ciò significa che la società dovrà essere regolamentata come tale e non come una semplice app che fornisce un servizio ai suoi utenti. La sentenza arriva dopo che un’associazione di tassisti
La Corte di giustizia europea ha deciso: Uber è un servizio di taxi a tutti gli effetti e non una piattaforma digitale di intermediazioni. Ciò significa che la società dovrà essere regolamentata come tale e non come una semplice app che fornisce un servizio ai suoi utenti.
La sentenza arriva dopo che un’associazione di tassisti di Barcellona, l’Asociación Profesional Elite Taxi, nel 2014 aveva fatto causa alla società con sede a San Francisco per concorrenza sleale. A quel punto il tribunale spagnolo si era rivolto alla Corte di giustizia europea, la quale ha stabilito a sua volta che Uber debba “essere considerato indissolubilmente legato a un servizio di trasporto e rientrante, pertanto, nella qualificazione di ‘servizio nel settore dei trasporti’, ai sensi del diritto dell’unione”.
Con la sentenza del massimo tribunale europeo ora ogni Stato membro sarà libero di regolamentare il servizio come meglio crede, e comunque nel rispetto della legge nazionale sul trasporto di persone e sul noleggio conducenti. Infatti la Corte sottolinea che Uber deve “essere escluso dall’ambito di applicazione della libera prestazione dei servizi in generale nonché della direttiva relativa ai servizi nel mercato interno e della direttiva sul commercio elettronico”.
EU court says #Uber should be classified as transport service and regulated like other taxi operators https://t.co/eVKpOGOxnI pic.twitter.com/WVbIW0mCET
— Reuters Top News (@Reuters) 20 dicembre 2017
L’azienda risponde in una nota che la sentenza “non cambierà le cose nella maggior parte dei Paesi dell’Ue”. Secondo Uber “operiamo già in base alla legge sui trasporti, tuttavia a milioni di europei è impedito ancora l’utilizzo di app come la nostra”. La società ha sospeso quest’estate i propri servizi in Finlandia e Norvegia, in modo da essere rilanciata in base a nuovi regolamenti sui trasporti. In Francia e Germania opera come un servizio di trasporto mente opera senza licenza solo in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania.
Ad oggi Uber Pop, ovvero il servizio che permetteva a chiunque di diventare un autista e poter dare passaggi ad altri utenti dietro un compenso, a prezzi più competitivi dei corrispettivi taxi, è illegale dopo la sentenza del tribunale di Milano del 2015. Mentre una sentenza del tribunale di Roma dello scorso febbraio permette a Uber Black (una delle tante diversificazioni del servizio di trasporto), UberLux e UberTour di operare in Italia come servizio di noleggio con conducente in sole due città: Roma e Milano.
La società comunque si dice disposta ad operare seguendo le regole: “È arrivato il momento di regolamentare servizi come Uber – continua in una nota la società – ed è per questo che continueremo il dialogo con le città di tutta Europa, con l’obiettivo di garantire a tutti un servizio affidabile a portata di clic”. Rimane il fatto che nel nostro Paese esiste un vuoto normativo, anacronistico, visto che la legge a cui si fa riferimento è del 1992, anno in cui non esistava Uber (arrivata in Italia solo nel 2014), non esistevano gli smartphone e nemmeno le app, e la cosiddetta sharing economy non era nemmeno nella mente di chi, decenni più tardi, l’ha partorita.
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