Il dramma che vive la città di Valencia è soltanto un assaggio di ciò che rischiamo senza un’azione immediata e drastica sul clima.
500mila morti in 20 anni nel mondo per colpa di eventi estremi e del riscaldamento globale
Il rapporto Climate risk index ha calcolato vittime e danni provocati dagli eventi meteorologici estremi. L’Italia è sesta per numero di morti nel 2018.
Più di novemila morti e 238 miliardi di dollari di perdite economiche in un solo anno. Le conseguenze degli eventi climatici estremi, in tutto il mondo, sono sempre più pesanti. A confermarlo è la nuova edizione del rapporto Climate risk index, relativa al 2018, curata dall’organizzazione non governativa tedesca Germanwatch.
Secondo i dati del #Climate Risk Index di @Germanwatch e.V., l’#Italia, negli ultimi vent’anni, è al sesto posto nel mondo per vittime causate da eventi #meteorologici estremi. Nel complesso, dal 1999, risulta il 26/esimo Paese più colpito.#ANSAAmbiente https://t.co/hGXzGcVWSQ
— ANSA Ambiente & Energia (@ansa_ambiente) December 4, 2019
Italia sesta negli ultimi 20 anni per numero di vittime
Secondo il quale anche l’Italia risulta tra le nazioni più colpite, con 51 decessi e 4,18 miliardi di dollari di perdite. Ma prendendo in considerazione gli ultimi due decenni, il nostro paese risulta sesto in termini di numero di vittime. E diciottesimo per quanto riguarda le perdite economiche.
Guardando al 2018, il rapporto di Germanwatch indica invece il Giappone come la nazione più vulnerabile di fronte agli eventi climatici estremi. Con 1.282 morti e quasi 36 miliardi di dollari di perdite, pari allo 0,64 per cento del prodotto interno lordo. A trascinare la nazione asiatica al primo posto è stata la successione quasi ininterrotta di tre eventi estremi nel corso dei mesi estivi.
Dapprima le piogge torrenziali che si sono abbattute sull’isola tra il 6 e l’8 luglio, con più di 200 millimetri caduti ogni giorno. Quindi un’intensa ondata di caldo durata dalla metà di luglio fino alla fine di agosto, che ha comportato il ricovero di più di 70mila persone. Infine, a settembre, il passaggio del tifone Jebi, il più potente degli ultimi 25 anni.
Nel 2018 gli eventi meteorologici estremi hanno colpito soprattutto il Giappone
Al secondo posto, sempre nel 2018, figurano le Filippine. Mentre tra le nazioni europee Germania risulta terza, con 1.256 morti e danni per 5 miliardi di dollari. La prima economia del Vecchio Continente ha vissuto il secondo semestre più caldo della storia, da quando le temperature vengono registrate con regolarità. Il termometro è arrivato nelle regioni occidentali a superare i 40 gradi.
La classifica stilata da Germanwatch indica poi al quarto posto il Madagascar, quindi India, Sri Lanka, Kenya, Ruanda, Canada e Isole Fiji. Il Climate risk index prende in considerazione ondate di caldo, inondazioni, uragani, tifoni, episodi di siccità. Nel documento si sottolinea come non sempre sia semplice stabilire un legame tra un dato evento e i cambiamenti climatici provocati dall’uomo. Tuttavia, gli esperti che hanno redatto il testo si sono basati su numerosi studi scientifici che mostrano come il clima rappresenti un fattore in grado di aggravare gli episodi estremi presi in considerazione.
“La Cop 25 renda certi gli aiuti per le nazioni più vulnerabili”
Questi ultimi sono stati, tra il 1999 e il 2018, circa 12mila. E hanno provocato la morte di 495mila persone, nonché perdite economiche pari a 3.540 miliardi di dollari. In particolare a Puerto Rico, nel Myanmar e ad Haiti. Tutto ciò conferma, mentre a Madrid è in pieno svolgimento la Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop 25, la necessità di agire immediatamente, per salvaguardare le popolazioni più esposte ma anche per garantire prosperità alle generazioni future.
“La Cop 25 non soltanto deve permettere di determinare il sostegno necessario per aiutare i paesi più vulnerabili, ma deve anche indicare il percorso da seguire per ottenere finanziamenti continui a loro vantaggio”, ha precisato l’associazione. Quello dei trasferimenti di risorse dal nord al sud del mondo rappresenta infatti, una volta ancora, uno dei nodi principali dei negoziati sul clima.
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