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Fabio Consoli. Il mio taccuino è un giornale musicale fatto di illustrazioni, ambiente e poesia
Dopo aver pedalato attraverso Asia, Africa e le due Americhe, ha creato un format artistico itinerante, attento all’ambiente e molto poetico. L’intervista a uno degli illustratori italiani più affermati al mondo: Fabio Consoli.
Partito da Aci Trezza, un minuscolo paesino di pescatori alle pendici dell’Etna, si è affermato come uno dei disegnatori più interessanti dello scenario mondiale. Si è fatto le ossa studiando a Londra e New York e ora i suoi lavori sono richiesti da prestigiose aziende internazionali. Fabio Consoli vive disegnando, ma le sue opere si nutrono spesso delle sue altre grandi passioni: la musica e il viaggio, rigorosamente in bicicletta. Dopo anni di tanto pedalare in giro per il mondo, Consoli ha raccolto splendide illustrazioni e piccoli frammenti musicali che hanno preso forma nel Music visual journal. Un diario di viaggio affascinante e poetico, sospeso tra il documentario illustrato, il fumetto e il cinema muto musicato.
Che tipo di illustratore sei?
Il mondo del disegno è diviso in due: descrittivo da una parte e concettuale dall’altra. Io appartengo sicuramente alla seconda schiera, perché cerco di comunicare sempre un messaggio in ogni mio lavoro, anche quando è completamente al servizio del committente.
Parlaci del processo creativo alla base dei tuoi disegni e cosa ti ispira maggiormente?
Uso lo stesso procedimento per i progetti personali e per quelli commissionati. Ho un messaggio da comunicare, comincio con le parole chiave e poi sottopongo a me stesso delle idee: alcune le boccio e così vado avanti fino a trovare la migliore. Per gli incarichi funziona allo stesso modo anche se il messaggio finale non è mio, ma del committente. Le fonti di ispirazione visiva sono diverse: la primaria sono i grandi artisti del Novecento come Escher, Hopper, Matisse, Gauguin, Salvador Dalí e tutto il Surrealismo. Prendo ispirazione anche dal cinema e dai video musicali: Michel Gondry, Wes Anderson e Tim Burton sono quelli che trovo più vicini al mio mondo dell’illustrazione.
È raro che un designer di successo lavori in Sicilia e non a Londra, Milano o New York. Cosa ti tiene incollato alla tua terra?
Ho aperto uno studio a Catania e vivo ad Aci Trezza, un piccolissimo villaggio con una storia letteraria ingombrante: è famoso, infatti, per aver ispirato i Malavoglia e per il mito di Ulisse legato al nome delle isole Ciclopi. Questo luogo emana energie particolari e subisco da sempre il suo fascino. Amo partire per lunghi viaggi, ma poi torno sempre qui.
Per quale motivo reputi questo posto sempre così seducente?
Penso ci sia una luce particolare, che non trovo altrove. La passione per il disegno mi porta a cercare sempre la luce. Onestamente non torno qui per il legame alle radici, ma perché l’isola ha un fascino tutto suo.
Ora i tuoi lavori sono molto richiesti. Quali peculiarità caratterizzano il tuo lavoro e cosa ti differenzia dai tuoi colleghi?
Il nostro è un mondo davvero competitivo, popolato da tanti bravissimi illustratori. Credo di aver colpito i miei clienti per quel tocco ironico, per quell’approccio surreale e poetico che contraddistingue ogni mio disegno.
Il tuo secondo amore è il viaggio, in particolare quello in bicicletta. Prediligi quindi viaggi lenti e avventurosi?
Amo spostarmi in bicicletta e mi definisco un turista con l’occhio del viaggiatore. Mi piace immergermi totalmente nel mondo, senza pensare sempre al ritorno. Molti, quando partono, mantengono sull’orologio l’ora di casa: questo significa che non sono mai partiti.
A me piace pedalare, lo trovo il miglior esercizio di meditazione dinamica, perché ti porta in una dimensione unica. La bicicletta ti pone in una condizione diversa da chi va con i mezzi: sei più lento e parti svantaggiato, hai spesso bisogno di aiuto e cerchi più facilmente contatti con le persone. In molti luoghi sei quindi nella stessa condizione della gente locale, come succede spesso in Africa o Asia. La bicicletta ha il potere di abbattere davvero tante barriere.
Immagino che i tuoi viaggi siano molto lunghi: quanto durano in media?
In genere durano un mese. Ultimamente ho dovuto limitarne la lunghezza perché ho un figlio, ma mi impongo di prendermi sempre un po’ di tempo. Mio figlio vorrebbe seguirmi, ma ancora è troppo piccolo. Presto però so che potrà venire con me.
I viaggi cui ti senti più legato?
I primi viaggi in bicicletta sono quelli che mi sono entrati dentro con maggior profondità: forse quello in Alaska mi ha segnato più degli altri perché è veramente un posto magico. Appena dopo direi quello in Patagonia e poi in Uganda.
Com’è nato il progetto Music visual journal, grazie al quale sei riuscito a mescolare viaggio, musica e disegno?
È nato da un esperimento, senza programmazione, è venuto fuori da sé, mescolando le tre passioni che da sempre mi accompagnano. Ho scoperto la musica intorno ai dodici anni e da quel momento ho vissuto per lei lo stesso amore incondizionato che provavo per il disegno, come fossero due figli separati alla nascita. A un certo punto ho scelto il disegno come carriera, ma quando è entrato il viaggio nella mia vita, magicamente è tornata anche la musica.
Dove hai raccolto e come hai creato le illustrazioni e le musiche che compongono il progetto?
Ho deciso di viaggiare con un’agenda e non con la macchina fotografica, così ho iniziato una raccolta di disegni di viaggio, realizzati in maggior parte con la tecnica dal vero. È stata davvero la palestra della mia formazione di illustratore, quella che ha forgiato il mio dizionario di immagini. Dopo un po’ di viaggi avevo creato parallelamente anche una colonna sonora, tutta mia, fatta di idee melodiche nate durante le pedalate e registrate sul telefono. Una volta tornato a casa, queste hanno iniziato a prendere forma. Ho deciso così di metterle insieme in questo format, una sorta di pezzo unico, una performance live che ora porto in giro per molti festival ed eventi.
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In generale sembra ci sia una tendenza al viaggio più lento e rispettoso dell’ambiente: è solo una goccia nel mare o stiamo facendo progressi?
Tante gocce fanno un mare. Dobbiamo essere fiduciosi anche se lo scenario è triste. Forse la crisi economica ha anche un risvolto positivo: mancano i soldi e si vendono meno automobili. Nel mio piccolo voglio avere sempre il minor impatto possibile nei luoghi che visito, cercando di lasciare tutto come l’ho trovato al mio arrivo. Se tutti cercassimo di fare così, la Terra avrebbe meno ferite. Noto con piacere che sempre più gente si avvicina a questa filosofia di viaggiare. Vent’anni fa eri uno sfigato, forse considerato un pazzo, ora è molto più normale muoversi per lunghi viaggi in bici. Credo ora sia nata una vera moda, ma non è un male per nulla.
Nei tuoi viaggi hai visto episodi di particolare attenzione alla cura dell’ambiente? Ricordi invece situazioni pericolose o di incuria?
Durante i miei viaggi in piccoli villaggi un po’ fuori mano, come nella giungla del Madagascar o nel cuore dell’Uganda, sono entrato in contatto con un concetto diverso di ecologia. La mia sensazione è che in questi posti non c’è una sensibilizzazione culturale al rispetto dell’ambiente, ma una convivenza istintivamente rispettosa, dove l’ambiente e chi lo abita sono la stessa cosa. Il concetto di casa è esteso a tutto quello che li circonda, il villaggio stesso, il mare attraverso il quale si nutrono. Per contro, ho un ricordo pessimo dei 1.287 chilometri di oledotto in Alaska, una cicatrice che deturpa un paesaggio immenso e selvaggio.
Parlando della musica, le tue composizioni sono molto minimali, eteree e scarne. Quali sono i tuoi riferimenti musicali e quanto sono collegate ai disegni?
Ascolto molta musica jazz, quello classico ma anche il più contemporaneo, sperimentale, contaminato e con diverse sfumature astratte. Mi piacciono Bill Frisell, Nels Cline, Marc Ribot, Julian Lage, Jeff Parker e poi i Tortoise.
Hai citato una delle più importanti band del post rock. Non a caso, penso che le tue composizioni abbiano subito molto fascino da quel genere musicale.
Il post rock mi piace, soprattutto quello in grado di creare una vera texture astratta. La mia ricerca musicale in quel campo è iniziata quando mio figlio era piccolo: l’unico modo per calmarlo era suonare queste lunghe pièce strumentali rilassanti.
C’è un disegno musicale più complesso aldilà delle improvvisazioni e dei bozzetti sonori che componi e pensi Music Visual Journal diventerà magari un disco?
Ultimamente scrivo musica per progetti più strutturati, come colonne sonore per spot e video. Sarebbe molto bello, ma mi rendo conto sia anche davvero impegnativo. In questo momento devo dedicarmi ai vari lavori di illustrazione e design”.
Hai mai disegnato illustrazioni per la musica? Nel caso, con chi ti piacerebbe collaborare in ambito musicale?
Ho illustrato un album per la Clouberry Record di New York e sto iniziando una collaborazione con la Buzz Session per illustrare locandine di concerti. Quando lavoro con la musica è sempre un grande piacere. Mi piacerebbe illustrare un album per Bill Frisell o per Nels Cline. E poi, se posso puntare più in alto, anche per Radiohead e Bjork: per le loro cover usano immagini molto diverse dalle mie illustrazioni, ma sarebbe fantastico poter lavorare con loro.
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