La giovane sarà incriminata per avere interrotto la gravidanza oltre il termine previsto dalla legge del Nebraska. Decisivi i suoi messaggi su Facebook.
Una giovane del Nebraska sarà incriminata per aver interrotto la sua gravidanza dopo il termine previsto dalla legge.
Decisivi nell’indagine i messaggi privati che si è scambiata con la madre su Facebook.
La vicenda ha fatto molto discutere anche perché, nel frattempo, la sentenza Roe v Wade ha cancellato il diritto federale all’aborto.
Gli esperti invitano a essere più consapevoli della tutela dei dati personali online.
La polizia del Nebraska ha chiesto – e ottenuto – da Facebook alcuni messaggi in cui una giovane discuteva con la madre sui modi per ottenere una pillola abortiva oltre il termine previsto dalla legge dello stato. Anche sulla base di queste prove, entrambe le donne saranno incriminate.
L’aborto illegale nello stato del Nebraska
La ragazza, diciassettenne all’epoca dei fatti, con la collaborazione della madre ha acquistato online una pillola abortiva e ha poi occultato il corpo del feto. È quanto emerge dai documenti processuali ottenuti dalla testata Motherboard. Non era possibile interrompere legalmente la gravidanza perché era stata superata la ventesima settimana, cioè il termine previsto dalla legislazione dello Stato del Nebraska. Essendo nel frattempo diventata maggiorenne, la giovane sarà processata alla pari di un’adulta. Anche la madre è accusata di un crimine e due infrazioni.
I messaggi privati su Facebook usati come prove
Al di là della specifica vicenda, a far discutere è stato il coinvolgimento di Meta, il gruppo a cui fa capo Facebook, così come Instagram, Whatsapp e Messenger. A giugno infatti lo stato del Nebraska le ha presentato un mandato di perquisizione con il quale chiedeva tutti i dati personali di entrambe le donne, compresi i messaggi privati che si erano scambiati. Una richiesta che la corte ha validato e l’azienda ha soddisfatto. Le informazioni così ottenute hanno giustificato un secondo mandato di perquisizione, in virtù del quale alle due donne sono stati requisiti anche computer e smartphone.
NEW: We've obtained court documents that show Facebook gave police a Nebraska teenager’s private chats about her abortion, then used those chats to seize her phone and computer. https://t.co/7pQT5ag4DH
I timori della società civile e le rassicurazioni di Facebook
L’episodio risale a prima che la Corte suprema statunitense ribaltasse l’esito della sentenza Roe v Wadeche, a partire dagli anni Settanta, aveva garantito il diritto all’aborto a livello federale. C’è dunque chi teme che sia un’anticipazione di ciò che potrebbe succedere nel momento in cui alcuni stati federali inizieranno a limitarlo fortemente o, addirittura, a cancellarlo. Tramite una nota trasmessa a Motherboard, un portavoce di Facebook ci tiene a precisare che i mandati, ricevuti dalle forze dell’ordine prima della decisione della Corte suprema, erano validi. E non menzionavano l’aborto.
Il tema della privacy nell’era digitale
Tutto questo non sarebbe stato possibile se fosse stata attivata la crittografia end-to-end, cioè una modalità di codifica dei messaggi che permette di leggerli solo ed esclusivamente a chi li legge e li riceve. Lo sottolineano alcuni esperti interpellati dal quotidiano britannico Guardian. Attualmente questa funzione è impostata di default su Whatsapp, ma non su Messenger (l’app di messaggistica di Facebook) e Instagram: da qualche mese le piattaforme permettono di attivarla, ma manualmente per ogni singolo contatto. Cosa che la stragrande maggioranza degli utenti non conosce e, quindi, non fa. Meta ha già espresso la volontà di attivarla di default, ma se ne parlerà almeno nel 2023.
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