
La nostra selezione periodica di marchi responsabili nei confronti dell’ambiente e dei lavoratori.
Non bisogna essere amanti della montagna per conoscere Patagonia, il marchio di abbigliamento e attrezzatura outdoor fondato dall’avventuriero diventato imprenditore Yvon Chouinard nel 1973. Oltre alla qualità dei suoi prodotti, l’azienda californiana è conosciuta per il suo impegno per la sostenibilità. Ora infatti detiene un primato importante, di essere il più grande produttore di abbigliamento negli
Non bisogna essere amanti della montagna per conoscere Patagonia, il marchio di abbigliamento e attrezzatura outdoor fondato dall’avventuriero diventato imprenditore Yvon Chouinard nel 1973. Oltre alla qualità dei suoi prodotti, l’azienda californiana è conosciuta per il suo impegno per la sostenibilità. Ora infatti detiene un primato importante, di essere il più grande produttore di abbigliamento negli Stati Uniti ad affidarsi a stabilimenti certificati Fair Trade – conosciuto in italiano come il “Commercio equo e solidale”. Non solo cioccolato e caffè, merci che abitualmente associamo a questa certificazione: ora anche i capi di abbigliamento sportivo vengono prodotti da persone a cui vengono garantite condizioni di lavoro sicure e un salario minimo adeguato.
“Il Fair Trade è il primo passo per prendere coscienza del fatto che i prodotti non nascono nei negozi … ma dietro di essi c’è il lavoro delle persone.”
(Lavoratrice di una fabbrica certificata Fair Trade dove vengono prodotti pile Patagonia)
“I lavoratori nell’industria dell’abbigliamento sono tra i più sottopagati al mondo”, spiega l’Amministratore delegato di Patagonia, Rose Marcario. Parole che dimostrano la consapevolezza dell’azienda verso le problematiche legate alla filiera di questo settore. La scelta di certificare i propri capi Fair Trade è nata innanzitutto dall’esigenza “di onorare le persone che creano i nostri prodotti e dimostrare il nostro impegno nei loro confronti”, ha spiegato Cara Chacon, vice presidente di Patagonia Usa per la responsabilità socio-ambientale durante l’evento Fair Trade: Come promuovere il cambiamento che si è tenuto il 20 ottobre all’Impact Hub di Milano. Il meccanismo del Fair Trade – per cui l’azienda versa un bonus monetario direttamente ai lavoratori negli stabilimenti di confezionamento – è infatti una soluzione efficace per garantire a queste persone un salario minimo per vivere in modo dignitoso.
Il primo anno in cui Patagonia ha cominciato a lavorare con Fair Trade Usa, l’organizzazione no profit che garantisce che gli stabilimenti rispettino i criteri per la certificazione, è stato il 2014, quando sono state prodotte 10 linee per lo yoga realizzate in un unico stabilimento in India. In soli tre anni il programma Fair Trade Certified (certified significa “certificato” in inglese) è cresciuto esponenzialmente: per la stagione autunno 2017 ci sono 480 modelli realizzati in 14 stabilimenti in sette paesi dell’Asia, del Nord, del Centro e del Sud America – il 38 per cento di tutti i prodotti Patagonia, tra cui le linee di pile Better Sweater e Synchilla Snap-T, tra le best seller del marchio.
Patagonia si affida a Fair Trade Usa per la certificazione degli stabilimenti, impegnandosi anche però a visitarli direttamente. Tutte le fabbriche devono dimostrare di aderire a criteri precisi. Ad esempio, devono rispettare standard per la salute e la sicurezza, e le normative ambientali, e dimostrare l’assenza di lavoro forzato o minorile. Poi viene valutato quanto i lavoratori ricevono in meno rispetto a un salario minimo che possa garantire una vita dignitosa. A questo punto Patagonia si impegna a versare un bonus sufficiente a colmare questa differenza. Per ogni singolo articolo cucito nella fabbrica viene versata una percentuale del costo della sua produzione direttamente in un conto controllato dai lavoratori.
A oggi l’azienda ha versato 1,5 milioni di dollari sotto forma di bonus ai lavoratori di 14 fabbriche diverse. Questi soldi vengono gestiti democraticamente dai dipendenti che si coordinano attraverso un comitato per decidere come spenderli.
Ad esempio, 1.500 lavoratori della fabbrica di Hirdaramani in Sri Lanka hanno usato i soldi per creare un asilo nido gratuito per i loro figli nel primo anno in cui hanno partecipato al programma. I dipendenti della Pratibha Syntex in India, il primo stabilimento ad aderire all’iniziativa, hanno invece votato prima per costruire una cucina, poi per comprare dei teli per proteggere le bici e i motorini dalla pioggia, ma grazie all’intervento della dirigenza che ha deciso di fare questi acquisti per loro hanno usato i soldi ricevuti da Patagonia per comprare degli impermeabili. Questi sono risultati utili soprattutto alle donne nella stagione dei monsoni per evitare che i loro sari (l’abito tradizionale) inzuppati e quindi pesanti potessero essere un rischio nell’utilizzo della macchina da cucire. In questo modo, il bonus in denaro è servito anche a “migliorare la relazione tra i dirigenti e i dipendenti, perché questi ultimi si sentono di poter esprimere le loro esigenze”, spiega Chacon.
L’obiettivo a lungo termine di Patagonia è quello di garantire a tutti i lavoratori della sua filiera un salario minimo e Chacon spiega che “il Fair Trade è uno strumento fondamentale in questo senso”. “Questi lavoratori guadagnano poco e molti brand se ne approfittano: questa cosa non ci sta bene”, aggiunge. È grazie ai reparti di Patagonia che si occupano dello sviluppo e della produzione dei capi che l’impegno verso il Fair Trade è possibile, precisa Chacon. Sono loro ad accettare margini di guadagno minori sui prodotti per permettere alle persone che li cuciono di essere meglio compensate.
In questo modo, “Patagonia vuole influenzare gli altri brand, mostrando loro che è possibile fare prodotti con una filiera sostenibile e quindi che il modello di business responsabile funziona”, dichiara Chacon. Perché anche se il versamento di un bonus alle fabbriche certificate Fair Trade comporta una rinuncia economica da parte dell’azienda nell’immediato, la sua è una visione a lungo termine. Secondo Chacon, “se un’azienda non pensa ora all’economia circolare allora nei prossimi anni smetterà di esistere”. Il successo del marchio che veste sportivi e appassionati di outdoor da oltre 40 anni dimostra che, come il suo fondatore reinventò l’attrezzatura per l’alpinismo cambiando la storia di questo sport, Patagonia sta rivoluzionando il settore dell’abbigliamento portandolo verso un futuro che risponde positivamente alle esigenze di tutti.
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