193 milioni di persone soffrono la fame nel mondo

Nel solo 2021, guerre, crisi economiche e cambiamenti climatici hanno fatto crescere di 40 milioni il numero di persone che soffrono la fame nel mondo.

  • Conflitti, crisi economiche e clima hanno fatto aumentare di 40 milioni il numero di persone affamate nel mondo.
  • Il totale è ora pari a 193 milioni, secondo l’ultimo Rapporto mondiale sulle crisi alimentari.
  • La guerra in Ucraina rischia di peggiorare ulteriormente la situazione.

Le conseguenze della pandemia e della crisi economica che ne è derivata, assieme agli impatti dei cambiamenti climatici, si sono tradotti anche in un drammatico aumento del numero di persone che, in tutto il mondo, soffrono la fame. A spiegarlo è il nuovo Rapporto mondiale sulle crisi alimentari, curato dalle Nazioni Unite assieme a sedici organizzazioni non governative, riunite nella rete Global network against food crisis. Secondo il documento, infatti, nel 2021 ben 40 milioni di persone in più, rispetto all’anno precedente, sono costrette ad affrontare una situazione di “insicurezza alimentare grave”.

570mila persone in condizioni di emergenza assoluta

Complessivamente, così, il totale di chi patisce la fame nel mondo è salito a 193 milioni di persone, presenti in 53 nazioni. Di queste, circa 570mila persone – concentrate soprattutto in Etiopia, Madagascar, Sudan e Yemen – sono considerate al livello massimo d’emergenza, nella scala da uno a cinque utilizzata dalle stesse Nazioni Unite. Per loro è necessario un sostegno immediato per poter sopravvivere. Una situazione che probabilmente si aggraverà ulteriormente nel corso del 2022, per via della guerra in Ucraina.

Crisi alimentare nel Sahel fame
Secondo il Programma alimentare mondiale oltre 10 milioni di persone rischiano la fame nel solo Sahel © Jack Taylor/Getty Images

Quest’ultima, infatti, non soltanto sta colpendo la popolazione locale, che soprattutto in alcune città si trova in condizioni disperate dal punto di vista della disponibilità di cibo. Ma già comincia a provocare un impatto diretto in numerose nazioni del mondo, a causa dell’aumento dei prezzi di una serie di beni alimentari prodotti in Ucraina.

“La guerra in Ucraina è una catastrofe nella catastrofe”

Secondo David Beasley, direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale, l’invasione russa rappresenta in questo senso “una catastrofe nella catastrofe. Abbiamo bisogno urgentemente di stanziamenti per invertire questa crisi globale, prima che sia troppo tardi”. L’inflazione nel comparto alimentare, infatti, colpisce in primo luogo i meno abbienti, e dunque le nazioni meno ricche. Le difficoltà nell’approvvigionamento, inoltre, renderanno più difficile la distribuzione, già resa complicata dalle difficoltà che incontrano ormai da parecchi mesi i settori della logistica e dei trasporti.

Ma a pesare sull’insicurezza alimentare non sono solamente il coronavirus e la guerra tra Russia e Ucraina. Da quando è stata pubblicata la prima edizione del rapporto, nel 2016, le cifre sono infatti aumentate continuamente. Nei primi cinque anni il numero di persone che soffrono la fame nel mondo è quasi raddoppiato, anche se le Nazioni Unite sottolineano come ciò sia dipeso anche dalla maggiore copertura geografica dell’analisi.

La Fao chiede di stanziare 1,5 miliardi di dollari per fronteggiare la fame

Secondo la Fao, l’aumento della fame del 2021, in particolare, è dipeso “da una tripla combinazione tossica, fatta di conflitti, di eventi meteorologici estremi e di shock economici”. Le guerre e le crisi politiche e umanitarie restano tuttavia la principale causa di insicurezza alimentare, essendo responsabili della fame patita da 139 milioni di persone in 24 tra nazioni e territori, come nei casi di Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Afghanistan e Yemen. Al secondo posto le crisi economiche, con più di 30 milioni di persone in 21 nazioni. Seuono i fenomeni meteorologici estremi, con oltre 23 milioni di persone in otto paesi.

Per aiutare queste persone, secondo le Nazioni Unite, occorre stanziare 1,5 miliardi di dollari. E farlo al più presto, al fine di approfittare della stagione della semina e aumentare la produzione di generi alimentari nelle regioni più a rischio.

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