Instabilità geopolitica, crisi energetica, difficoltà di approvvigionamento, inflazione e speculazioni, come era facile attendersi, stanno mietendo delle vittime. E come sempre a pagare sono i più deboli. Se all’inizio del 2022 erano “soltanto” 13 milioni di persone in condizioni di insicurezza alimentare nel Corno d’Africa, nel gennaio di quest’anno il dato è cresciuto a 22 milioni di persone.
La più grave crisi alimentare della storia moderna
A spiegarlo il Programma alimentare mondiale (Pam) in un rapporto pubblicato lo scorso 23 gennaio. L’agenzia delle Nazioni Unite precisa che il 2022 è stato, dal punto di vista della fame nel mondo, “un anno catastrofico” : “Il mondo è di fronte ad una crisi alimentare senza precedenti per dimensioni, la più grave della storia moderna. Milioni di persone sono a rischio se non verranno adottate misure per rispondere su larga scala ai motori di questa crisi”.
We need to act fast in the face of the global food crisis.
The number of people facing the worst forms of hunger continues to rise, while the resourcing gap grows.
Sono infatti ben 828 milioni le persone che ogni sera vanno a dormire senza essersi nutrite a sufficienza. E coloro che sono considerati in condizioni di “insicurezza alimentare acuta” sono quasi raddoppiati dal 2019, passando da 135 a 345 milioni. Soltanto in Etiopia il dato è pari a 12 milioni; 5,6 in Somalia e 4,3 in Kenya.
Quasi raddoppiati dal 2019 gli affamati nel Corno d’Africa
Per sostenerli, inoltre, le risorse scarseggiano. Il Pam avrebbe bisogno di 22,2 miliardi di dollari per riuscire a portare assistenza ai più bisognosi, ma, spiega la stessa agenzia Onu, “con l’economia mondiale ancora sotto shock dopo la pandemia, la distanza tra ciò che è necessario e i finanziamenti reali non è mai stata così grande. Siamo ad un bivio cruciale: tutti devono mobilitarsi, non soltanto i governi. Le imprese del settore privato possono sostenere il nostro lavoro, non solo contributi finanziari ma anche attraverso l’assistenza tecnica e il trasferimento di conoscenze”.
“Togliamo cibo a chi ha fame per darlo a chi ne sta morendo”
Proprio l’Africa e il Medio Oriente, in questo senso, rappresentano una cartina di tornasole: “In paesi come la Nigeria, il Sud Sudan e lo Yemen dobbiamo già affrontare decisioni difficili, come il taglio delle razioni per riuscire a raggiungere più persone. Questo significa togliere il cibo a chi ha fame per darlo a chi di fame sta morendo. Le conseguenze del mancato investimento in attività di resilienza si ripercuoteranno oltre i confini dei paesi. Se le comunità non sono in grado di resistere agli shock e agli stress a cui sono esposte, ciò potrebbe comportare un aumento delle migrazioni, e possibili destabilizzazioni e conflitti”.
Famine is the most disastrous form of prolonged, widespread hunger. And it is preventable.
Nel Corno d’Africa ad aggravare ulteriormente la situazione sono state le invasioni di cavallette e le ondate di siccità, che hanno devastato i raccolti. Assieme alla mancanza d’acqua che ha colpito il bestiame. Più di 9,5 milioni di animali sono morti, secondo le stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari.
Il 29 ottobre 2018, le raffiche di vento della tempesta Vaia hanno raso al suolo 40 milioni di alberi in Triveneto. Una distruzione a cui si sono aggiunti gli effetti del bostrico, che però hanno trovato una comunità resiliente.
Continua ad aumentare il numero di sfollati nel mondo: 120 milioni, di cui un terzo sono rifugiati. Siria, Venezuela, Gaza, Myanmar le crisi più gravi.