Ex-funzionari della Fao accusano l’agenzia Onu di essere stati messi a tacere e di aver sottostimato il ruolo degli allevamenti nel riscaldamento globale.
Alcuni ex-funzionari della Fao hanno raccontato alla testata britannica Guardian di aver ricevuto pressioni da parte dei piani alti dell’agenzia per rivedere al ribasso le stime di emissioni prodotte dagli allevamenti intensivi.
La Fao subirebbe la pressione di lobby dell’industria della carne e dei diplomatici degli stati membri.
Le emissioni sono state riviste al ribasso: dal 18% al 14,5 nel 2013, e successivamente all’11,2%.
Quella rivelata dal Guardian è un’accusa che pesa: ex funzionari della Fao hanno recentemente accusato l’agenzia di aver deliberatamente sabotato i tentativi di indagare sul legame tra l’allevamento di bestiame, le emissioni di metano e il riscaldamento globale.
I membri del team dell’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), con sede a Roma, incaricati di stimare quale fosse il contributo del bestiame nell’aumento delle temperature, hanno raccontato delle pressioni esercitate internamente dai piani alti dell’agenzia, che a loro volta hanno subìto le pressioni di lobby e stati membri. La Fao, insomma, avrebbe sottostimato volontariamente la produzione di emissioni degli allevamenti intensivi per evitare che fossero adottate misure di contenimento più restrittive.
La Fao ha censurato il lavoro dei suoi funzionari
L’eco di queste accuse risale al 2006, quando fu stilato il “Livestock’s long shadow”, un rapporto pionieristico che per la prima volta ha quantificato l’impatto ambientale causato dall’industria della carne e dei latticini. Secondo il rapporto, gli allevamenti di bestiame, in particolare quelli di bovini, contribuivano al 18 per cento delle emissioni globali di gas serra. L’uscita del rapporto non ha solo scosso il dibattito ambientale ma ha anche attirato l’attenzione dei media attraverso documentari come “Meat the truth” e “Cowspiracy”. Tuttavia, ha scatenato una tempesta di critiche da parte dell’industria della carne, che aveva a lungo considerato la Fao un alleato affidabile.
Gli ex funzionari della Fao sostengono che è iniziata una vigorosa campagna di ostracismo nei loro confronti, che è proseguita fino almeno al 2019. Nel 2009, la Fao ha ritardato la pubblicazione di un secondo rapporto, “Livestock in the balance”, di diversi mesi. In seguito, alti funzionari dell’agenzia hanno “ammorbidito” passaggi chiave di un altro rapporto e addirittura “sepolto” un altro studio, “Agriculture at the crossroads”, che definiva il bestiame come “probabilmente la più grande fonte settoriale di inquinamento idrico”. Insomma, un vero e proprio insabbiamento.
Ex-officials at UN farming body say work on methane emissions was censored https://t.co/ZIYpaXYl2c
La Fao, fondata nel 1945 con l’obiettivo di porre fine alla fame e migliorare la nutrizione globale, secondo quanto riporta il Guardian, è stata accusata di aver rappresentato l’industria più che averla esaminata.
Le cifre stesse sulle emissioni attribuite all’allevamento di bestiame sono state riviste al ribasso, da 18 per cento a 14,5 per cento con un documento del 2013, e successivamente all’11,2 per cento.Come faceva la Fao a giustificare questo andamento al ribasso? Semplice, diceva che i cambiamenti nelle cifre dipendevano dalle migliori pratiche e metodologie adottate e da strumenti di analisi più sofisticati. Allo stesso tempo, però, studi scientifici esterni alla Faotendevano a confermare una percentuale di emissioni più alta, compresa tra il 16,5 per cento e il 28,1 per cento. Addirittura, un recente articolo accademico di Matthew Hayek, professore di scienze ambientali alla New York university, ha affermato che l’uso di modelli da parte della Fao, piuttosto che di dati di monitoraggio verificabili, potrebbe aver sottostimato le emissioni di metano dal bestiame fino al 90 per cento in paesi come gli Stati Uniti.
L’agenzia ha sempre reagito contro i funzionari più critici, escludendoli dalle riunioni. Hans R. Herren, principale autore di “Agriculture at the crossroads”, ha rivelato di essere stato soggetto a pressioni per non pubblicare il documento da parte di paesi come Stati Uniti e Australia. Henning Steinfeld, capo dell’unità di analisi del bestiame della Fao, ha riferito di incontri tra diplomatici e lobby dell’industria della carne da un lato e dirigenti della Fao dall’altro, con i primi che cercavano di scoraggiare la ricerca sull’impatto ambientale degli allevamenti.
Il paragone con l’industria dei combustibili fossili
Il gruppo di ricercatori non aveva idea a cosa sarebbero andati incontro, svolgendo il proprio lavoro. “I lobbisti sono riusciti a influenzare la Fao”, ha detto un ex funzionario al Guardian, in condizione di anonimato. “Avevano un forte impatto sul modo in cui venivano fatte le cose e si viveva in un clima di censura. Far passare i documenti prodotti dall’ufficio per le comunicazioni aziendali era una strada in salita e si doveva mettere in conto una buona dose di vandalismo editoriale”.
Il Guardian paragona l’attività di pressione subìta dai funzionari a quella esercitata dall’industria dei combustibili fossili sulle politiche energetiche. La Fao, come molte altre agenzie, dipende da finanziamenti esterni, il che la rende suscettibile a pressioni. La questione solleva domande cruciali sul ruolo dell’agenzia Onu nell’affrontare le sfide ambientali globali e sull’influenza delle lobby industriali nell’orientare le politiche ambientali. Al momento, Fao e l’industria della carne e dei latticini si sono rifiutati di commentare le accuse.
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