Quali strumenti possono aiutare le imprese, grandi e piccole, nella transizione ecologica? Ne parliamo con Donato Iacovone, presidente di Bip.
Le fasi di vita di una startup: come nasce un’idea e si trasforma in impresa
Tra creatività e saper fare, ricerca di finanziamenti e consolidamento del team, una breve guida alle fasi di vita di una startup.
- Le fasi di vita di una startup sono pre-seed e bootstrap, seed, early stage, early growth, growth ed exit.
- Diversi imprenditori sottolineano come sia importante l’aspetto del fare, nella fondazione e crescita di una startup.
- Arrivare alla fase di exit non è assolutamente scontato, perché molte realtà falliscono prima.
Le startup innovative sono un oggetto di studio interessante soprattutto perché hanno dimostrato un grande potenziale di crescita e l’eclatante potere di sconvolgimento del mercato. Chi arriva al successo sicuramente ha una visione chiara del futuro, una buona dose di creatività e una spiccata capacità di improvvisare, cogliere i segni del mercato, approfittare delle opportunità e delle occasioni nel momento giusto. Ma fondare e far crescere una startup non è solo istinto, talento, genio e follia. Implica molto impegno e un gran lavoro pratico. Da una citazione di Herb Kelleher, co-fondatore della Southwest Airlines: “Abbiamo un piano ‘strategico’, si chiama fare le cose”. E se le cose non vanno bene, bisogna capire i propri errori e ripartire. D’altra parte, come diversi imprenditori sostengono, avere delle idee è la parte semplice, poi però bisogna implementarle. Certo, ci sono paesi in cui innovare è più semplice. La Banca mondiale stima per esempio che negli Stati Uniti bastino quattro giorni per lanciare un nuovo business, a Singapore due, in Italia undici. Fermo restando che ogni storia imprenditoriale è unica, per descrivere il percorso di una startup sono state codificate sei fasi di vita ben precise: esaminiamole una per una.
Le fasi di vita di una startup
Per chi vuole iniziare a sviluppare un progetto imprenditoriale innovativo è utile conoscere alcune regole: i tempi e i modi, le fonti di finanziamento e le fasi di vita di una startup. Nascere, crescere e come si dice in gergo, non morire bensì uscire. Il tutto in un lasso di tempo relativamente breve: non dimentichiamo che per legge la start-up dura al massimo cinque anni.
- Pre-seed e bootstrap
- Seed
- Early stage
- Early growth
- Growth
- Exit
Pre-seed e bootstrap
Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti. Entrambe queste parole rendono bene l’idea. Bootstrap è un modo per indicare un processo che si sostiene da sé e si sviluppa in autonomia. in particolare, dal punto di vista finanziario. Basta una prima scintilla, e da lì si costruisce tutto. Pre-seed invece rimanda al concetto che ancora della startup non c’è niente, nemmeno un seme… però c’è un’idea! Ed è già molto. Un’idea ancora senza soldi e senza concretezza, ma un’idea. In questa fase lo startupper inizia a chiedere qualche soldo alla famiglia, agli amici e a quei matti che possono credere nella sua idea. Come si dice in inglese, appunto: family, friends and fools. In questa cerchia di persone spesso si trova anche un co-founder, una persona con cui dividere le spese e sostenersi a vicenda. In questo senso si prepara il terreno per la crescita della startup.
Nella fase pre-seed i finanziatori fiutano le potenzialità dell’idea, ma ancora non possono esaminare un prodotto o un servizio definitivo; in fin dei conti, non hanno nemmeno a che fare con un’impresa vera e propria. Di solito investono piccole somme, proprio perché la scommessa è alta. Esistono business angel, acceleratori o anche venture capitalist specializzati nelle fasi iniziali, ma di solito questi attori entrano in fasi successive.
Seed
Il seme (seed), intanto, è stato piantato. Qualcosa di concreto che, se curato e annaffiato, diventerà un’impresa. In questa fase la startup inizia a sviluppare i prodotti o prototipi, a studiare il mercato e preparare un business plan. Il founder inzia a capire se il suo prodotto intercetta l’interesse di un segmento di mercato, se ci saranno margini di profitto e sostegno per andare avanti in autonomia. Grazie all’investimento seed, la startup inzia a camminare sulle sue gambe e anche il team prende forma, con l’inserimento di figure strategiche, ruoli di marketing e di comunicazione.
In questa fase spesso entrano in gioco business angel, investitori privati esperti che vanno alla ricerca di idee innovative, spinti anche dalla soddisfazione di aiutare i giovani a emergere. Visto che l’attività è ancora a uno stadio iniziale, il rischio è consistente e di solito non si investono grandi somme. In caso di scommessa vincente, però, la ricompensa sarà significativa: sono le basi della finanza. Anche il crowdfunding è un’opzione adatta in questa fase, per coinvolgere molti piccoli investitori chiedendo loro un investimento contenuto. Le ricompense sono spesso proprio quei prototipi che la startup sta definendo; i piccoli finanziatori quindi diventano parte attiva del processo di ricerca e sviluppo.
Early stage
Tra le fasi di vita di una startup, l’early stage è particolarmente delicata. Proprio qui tante startup falliscono. L’impresa si è rafforzata, si è guadagnata i primi clienti e ha incassato i primi ricavi, ma deve iniziare a farsi conoscere. Soprattutto, deve definire e misurare il product-market fit, ovvero capire quanto il suo prodotto soddisfi le esigenze di mercato. Tra i motivi del fallimento c’è infatti la possibilità che il prodotto non risolva i problemi di nessun bacino di utenti. Una situazione non particolarmente incoraggiante. Se però il product-market fit è buono e la visione sul futuro positiva, ora che l’azienda è strutturata e presenta ottime metriche di crescita e di fatturato, intervengono i venture capitalist (vc), investitori istituzionali focalizzati sulla potenzialità economica del progetto.
Una piccola nota: il venture capital è una forma di investimento di medio-lungo termine destinato espressamente alle aziende ad alto potenziale di sviluppo e crescita in fase di startup. Gli investitori puntano a capitalizzare dalla vendita della partecipazione acquisita o dalla quotazione in Borsa. Insomma, è l’equivalente di ciò che rappresenta il private equity per aziende strutturate. L’attività di venture capital non comporta unicamente l’apporto di capitale di rischio ma riguarda anche una serie di attività connesse e strumentali alla realizzazione dell’idea imprenditoriale. In questo senso la presenza, la professionalità e il profilo dell’investitore sono importanti perché sarà lui a partecipare in modo rilevante alla strategia, lasciando allo startupper la gestione operativa. Contribuirà inoltre alla visibilità e credibilità alla startup nell’ambiente finanziario, facilitando la sua strada verso il successo.
Early growth
Con l’early growth si comincia a crescere davvero. L’azienda a questo punto ha definito il prodotto o servizio e ha un mercato, un piano di marketing e di espansione commerciale. Le vendite aumentano e bisogna riuscire a star dietro alla domanda, ampliare l’offerta e entrare in nuovi mercati attraverso nuovi canali. Ci si prepara per una scale-up, studiando un business plan che sostenga la crescita sul lungo periodo. Il team espande e le risorse strategiche sono importantissime. Anche per questo c’è bisogno sempre più di risorse, che tendenzialmente provengono da venture capital. Ci sono due step successivi di investimento, chiamati stage A e B, con entità e rischio differenti: se la startup si consolida, infatti, il rischio tende a scendere. Ma la richiesta di fondi cresce, le dimensioni e l’orizzonte si allargano.
Growth
A questo punto siamo alla maturità. La crescita è costante, si parla anche di sustained growth. Qui i clienti e il mercato devono aumentano, bisogna consolidare l’attività e portare il valore della startup al punto più alto, in vista di un’uscita in grande stile. Qui cominciano ad arrivare hedge fund o banche di investimento.
Exit
Siamo arrivati al dunque. Per i più fortunati e bravi, è il momento dell’exit, l’uscita: dallo status incerto di startup in crescita si è diventati impresa, e a suggellarlo c’è uno sconvolgimento della proprietà. L’exit più eclatante è una ipo, offerta pubblica iniziale: l’azienda offre al pubblico quote societarie per andare in Borsa. La crescita della valutazione in fase growth diventa fondamentale proprio per affacciarsi al mercato regolamentato con un assetto solido. A questo punto gli investitori vengono remunerati del proprio investimento e ottengono un guadagno concreto.
Ma la quotazione è soltanto una delle opzioni. La startup può essere anche acquisita da altre aziende più grandi o fusa con altre realtà. Spesso tali operazioni sono funzionali allo sviluppo in un determinato settore, filiera o mercato: ad esempio, un’azienda già affermata acquisisce una startup con una forte componente di ricerca e sviluppo capace di innovare il suo segmento di mercato.
Un’ulteriore alternativa è il buyback, quando il founder (o comunque il gruppo imprenditoriale originario) riacquista dai finanziatori le quote societarie cedute a suo tempo e torna in controllo dell’impresa. In fondo, il fondatore aveva messo una parte di sé nella sua creatura: l’idea, tanto sudore, i primi finanziamenti in proprio, la convinzione che prima o poi il successo sarebbe arrivato: appurata la bontà delle proprie scelte, se ne riappropria a pieno titolo e le porta avanti.
Qualunque sia la forma di uscita, arrivare a questo punto è davvero un successo per una startup, perché l’incertezza in cui si trova ad operare è grande e il tasso di fallimento molto alto. Per sopravvivere e crescere quindi serve un mix equilibrato di creatività, operatività, strategia, visione e dedizione, oltre alla capacità di capire il mercato e proporre un prodotto o servizio capace di attivare un bacino di utenti sufficiente a sostenere la crescita della startup. Nulla di semplice o immediato!
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