Un emendamento rende più difficile fare ricorso e a stabilire i calendari, oltre a Ispra, sarà un organo politico. Le associazioni scrivono al Quirinale.
I fast food globali condannano i polli allo sfruttamento estremo
Sono milioni i polli che ogni anno vengono allevati in condizioni crudeli e di sofferenza, soprattutto dalle grandi multinazionali.
Ogni anno in Italia vengono macellati più di 550 milioni di polli. Oltre il novanta per cento di questi animali appartiene alle cosiddette razze “ad accrescimento rapido”, quegli ibridi commerciali di avicoli selezionati geneticamente per raggiungere delle caratteristiche funzionali alla vendita per il consumo umano, al costo più basso e nel minor tempo possibile.
Fin dal 2010, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha però rilevato che i gravi problemi di salute che colpiscono questi polli sono connessi esplicitamente al rapido incremento del loro peso, voluto e incentivato dalle aziende del settore alimentare. Come denunciato dalle inchieste di Animal Equality, la selezione genetica sui polli allevati per la loro carne causa infatti a questi delicati animali attacchi cardiaci, insufficienza respiratoria, malattie congenite e condizioni croniche come la deformità nelle zampe.
Come vengono trattati i polli
A perpetuare questa tendenza scellerata, contribuiscono in larga parte anche i grandi marchi di fast food internazionali. Un nuovo report pubblicato dall’associazione World animal protection, in collaborazione con Animal Equality, denuncia come le multinazionali Burger King, McDonald’s e Starbucks in Italia abbiano di fatto soltanto aderito ufficialmente a impegni pubblici per la tutela del benessere dei polli, senza però mai compiere progressi effettivi in quella direzione.
L’impegno pubblico di riferimento a cui molti grandi marchi avrebbero formalmente aderito è lo European chicken commitment, una richiesta unificata sottoscritta da oltre trenta ong europee per migliorare gli standard di allevamento e macellazione nella filiera dei polli a livello commerciale. Tra le misure che questo documento chiede alle aziende di adottare c’è proprio quella di utilizzare nelle proprie filiere razze di polli a lento accrescimento, nonché di assicurarsi che i polli abbiano lo spazio necessario per esprimere appieno i propri comportamenti naturali negli allevamenti.
Dal 2019, World animal protection commissiona ogni anno il report The pecking order per monitorare i progressi dei principali marchi di fast food a livello globale. Le aziende vengono valutate attraverso informazioni disponibili al pubblico sulla base di due pilastri fondamentali: la voce impegni e obiettivi e la voce rendicontazione delle prestazioni. La prima riflette la portata e la completezza dell’impegno di un’azienda nei confronti del benessere dei polli in base ai criteri specifici delineati nello European chicken commitment per le aziende Ue, la seconda riflette la misura in cui un’azienda ha attuato i propri impegni in relazione ai criteri dello stesso documento.
Il report valuta le aziende e i marchi internazionali in base al loro approccio al benessere dei polli nelle loro catene di approvvigionamento. Nel rapporto 2022 nessuna azienda ha tuttavia ricevuto un punteggio complessivo di livello 1 (leader), 2 (buono) o addirittura 3 (in fase di sviluppo).
L’89 per cento delle aziende ha invece ricevuto un punteggio di livello 6, molto scarso, non avendo assunto alcun impegno in materia di benessere dei polli allevati per la loro carne. Ciò significa che la maggior parte della carne di pollo servita in questi noti fast food non tiene conto della salute degli animali. Molti di questi infatti vivono in ambienti insalubri, affollati e senza luce naturale, soffrendo di zoppie gravi e lesioni cutanee.
Le aziende hanno il potere di ridurre le sofferenze di miliardi di polli, se i consumatori chiedono sempre più conto ai produttori su come vengono trattati gli animali utilizzati nelle loro catene di approvvigionamento. Nel quasi silenzio totale attuale, a pagarne il prezzo più alto sono solo gli animali condannati a soffrire all’interno del loro stesso corpo.
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