In Italia nel 2020 una donna è stata uccisa ogni tre giorni. A che punto siamo con le leggi e i risultati della lotta alla violenza di genere nel nostro paese.
Nei primi dieci mesi del 2020 in Italia è stata uccisa una donna ogni tre giorni, per un totale (purtroppo parziale) di 91 vittime. È una cifra in lieve calo rispetto alle 99 dell’anno precedente, ma c’è ben poco da festeggiare in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne che si celebra proprio oggi, 25 novembre. A leggere il VII rapporto Eures sul femminicidio, pubblicato alla vigilia, si evincono solo brutte notizie: la diminuzione infatti riguarda per la maggior parte omicidi di criminalità comune, solo 3 contro i 14 del 2019, tutti gli altri rientrano a pieno titolo nella categoria dei femminicidi, che non sono affatto in calo. E quasi tutti di questi, precisamente l’89 per cento, avvengono in contesti familiari.
In questo senso, il lockdown cui il coronavirus ha costretto gli italiani per diversi mesi non ha fatto che acuire il problema della violenza tra le mura domestiche, e in particolare quello all’interno della convivenza di coppia, che ha riguardato l’80,8 per cento dei casi nel periodo tra marzo e giugno: numeri per i quali ieri, nel corso di un evento in Senato, si è rammaricato lo stesso premier Giuseppe Conte, a capo proprio di quel governo che il lockdown è stato costretto a imporlo, parlando di una situazione “drammatica”.
Eppure in questi anni la politica non ha fatto poco per provare ad arginare, almeno dal punto di vista legislativo, il fenomeno della violenza sulle donne:
nel 2017 il Senato ha creato al suo interno la Commissione d’inchiesta parlamentare sul femminicidio e altre forme di violenza di genere, per analizzare il fenomeno in Italia e per trovare soluzioni per arginare il problema: pensata per rimanere attiva per 12 mesi, la Commissione è stata rinnovata ed è tuttora attiva, producendo rapporti, inchieste e iniziative.
nel 2018 si è fatto un passo ulteriore, con l’approvazione di una legge che ha creato forme di tutela per i minori rimasti orfani a causa di femminicidio.
nel 2019, la scorsa estate, è stato infine approvato il Codice rosso, una nuova legge che inasprisce ancora di più le pene per le violenze di genere e introduce anche il reato di revenge porn, la diffusione sul web di materiale intimo dell’ex partner a scopo ritorsivo.
Eppure, spiega Valeria Valente, presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare, “se l’impianto normativo di cui si è dotata l’Italia ha raggiunto ormai un livello di solidità e robustezza importante ma non diminuiscono i femminicidi, forse dovremmo interrogarci un po’”. E trovare i motivi di questa empasse che, secondo la senatrice, sono due. Il primo “è che le leggi che ci sono devono essere interpretate e conosciute, nello spirito e con la cultura giusta da chi è delegato a farlo: dagli ufficiali che prendono le denunce ai magistrati e i consulenti tecnici, passando per i pronto soccorso e gli assistenti sociali, nel caso in cui una violenza sulla donna riguardi anche un minore”.
In occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro donne, l'evento organizzato dalla Commissione Femminicidio "Dalla parte delle donne: il ruolo fondamentale dei centri antiviolenza".Al centro del dialogo i centri antiviolenza e il ruolo fondamentale che svolgono nella prevenzione e nel contrasto dei femminicidi e della violenza sulle donne. Con noi anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, la ministra per le pari opportunità e la famiglia Elena Bonettii.
Una questione che si scontra anche con la mancanza di dati certi, nonostante i rapporti dell’Istat, dell’Eures, della stessa Commissione: la lotta alla violenza di genere sconta infatti un grave problema con gli episodi “sommersi” perché non denunciati (per paura, vergogna, il rischio dello stigma sociale, la mancanza di protezione) o perché spesso non ricondotti ufficialmente al fenomeno in questione. È per avere dati più puliti che proprio oggi è atteso l’arrivo in Senato di un’altra proposta di legge che punta a garantire un flusso informativo adeguato per cadenza e contenuti sulla violenza contro le donne, essenziale per poter progettare adeguate politiche di prevenzione e contrasto e per poter assicurare un effettivo monitoraggio del fenomeno, impegnando polizia, magistratura, personale medico e lo stesso Istituto nazionale di statistica ad approfondire ogni possibile caso di violenza rilevata o denunciata, per non lasciarsi sfuggire alcun caso di femminicidio.
Cultura contro gli stereotipi e linguaggio adeguato sulla violenza
Il secondo motivo, secondo Valeria Valente, è che “nessuna legge da sola è sufficiente per aggredire il fenomeno, il problema non si risolve solo inasprendo pene o aumentando la protezione. Serve una formazione culturale che abbatta i pregiudizi”. La scommessa, in particolare, “è investire sulle agenzie educative comunicative per farle uscire dagli stereotipi che mostrano la donna sempre come un soggetto fragile, perché la violenza è frutto della cultura: penso alla famiglia, alla scuola e soprattutto all’università, perché è l’università che forma i formatori e gli operatori del sistema, inserendo delle ore di studio apposite, che faccia comprendere che il tema non è l’uguaglianza dei sessi ma la differenza che porta un valore”.
Restano due questioni aperte, scottanti e quanto mai di moda. Una riguarda la comunicazione e il modo in cui le violenze di genere e il rapporto uomo-donna vengono presentati dalla stampa italiana, tentata spesso dalla minimizzazione della violenza maschile da un lato, e dalla stigmatizzazione del comportamento femminile dall’altro: una questione tornata prepotentemente di moda in questi giorni con il caso dell’insegnante vittima di revenge porn, o della ragazza che ha denunciato una violenza sessuale durante un festino in un appartamento privato. Alla vigilia delle giornata contro la violenza sulle donne, le deputate del Partito democratico hanno inviato una lettera aperta all’Ordine dei giornalisti, chiedendo un nuovo linguaggio, un nuovo modo di comunicare perché “troppo spesso titoli non riflettuti, stereotipati, non raccontano le donne, raccontano un’immagine sbagliata e nociva, e in alcune occasioni una visione misogina, maschilista, sessista”.
La sfida contro la violenza riguarda Paese intero, la cultura e la comunicazione. La violenza si combatte rispettando la libertà femminile. Cambiando le parole. Il linguaggio di genere può contribuire ad aprire una pagina nuova in cui il rispetto tra i generi sia la normalità. pic.twitter.com/xBX9P6hNkz
Ieri il premier Giuseppe Conte, davanti alle rappresentanti di alcuni dei centri-antiviolenza sparsi sul territorio italiano, ha promesso nuove forme di sostegno economico a questi presìdi, giudicandoli “fondamentali”. Anche se, ha spiegato, “il governo è impegnato soprattutto nell’implementazione di politiche positive, in particolare per combattere il triste primato italiano della disoccupazione femminile: occorrono azioni sistematiche che agiscano sulle motivazioni indirette delle violenze, che agiscono sulla mancata emancipazione femminile”. La speranza è che, il prossimo 25 novembre, non ci sia più bisogno di ripeterlo.
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