Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Ferruccio de Bortoli. La guerra dal cielo non è mai risolutiva
La regione geografica che comprende l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria e parte della Turchia, quella dove i curdi rivendicano maggiore autonomia, se non addirittura l’indipendenza nel nome di un Grande Kurdistan, è al centro dell’attenzione da decenni. Il giornalista Ferruccio de Bortoli cerca di fare ordine in vista dell’appuntamento fondamentale con le elezioni parlamentari turche del
La regione geografica che comprende l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria e parte della Turchia, quella dove i curdi rivendicano maggiore autonomia, se non addirittura l’indipendenza nel nome di un Grande Kurdistan, è al centro dell’attenzione da decenni. Il giornalista Ferruccio de Bortoli cerca di fare ordine in vista dell’appuntamento fondamentale con le elezioni parlamentari turche del primo novembre.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha posticipato il ritorno dei marines dall’Afghanistan. Stessa cosa stanno pensando di fare anche altri paesi della Nato. È d’accordo con questa decisione e quali sono le motivazioni che stanno alla base?
Il conflitto in Afghanistan sta durando ormai più di tre volte la seconda guerra mondiale. Arretrare significherebbe arrendersi ai talebani. Dire al terrorismo islamico: state vincendo. Riemergerebbe il fantasma della fuga da Saigon nel 1975 e della perdita rovinosa in Vietnam. Anche un guerriero riluttante come Obama, che aveva programmato il ritiro delle truppe americane, deve ricredersi. Ma la guerra dal cielo, anche con i moderni droni, non è mai risolutiva. Ci vorrebbe un impegno più massiccio, in molti teatri di guerra, a cominciare dall’Iraq, ma non vi sono più le condizioni politiche per deciderlo. Obama lascerà fra poco più di un anno. Gli altri paesi non andranno oltre un dispiegamento limitato di forze. Italiani compresi, che pure sono presenti in diversi luoghi e assicurano anche un lodevole supporto umanitario.
Cosa non è stato ancora fatto in quella regione, che include anche Iraq e Siria, affinché la situazione torni sotto controllo dopo decenni di guerre convenzionali e di guerre civili?
L’errore di fondo fu la guerra a Saddam Hussein nel 2003 con il pretesto, risultato falso, di neutralizzare le sue armi chimiche. Si diede troppo potere agli sciiti, non si compresero le differenze tribali e le tradizioni locali. Si sciolse l’esercito di Saddam regalandolo in massima parte agli insorti sunniti. I governi locali, che si sono succeduti, sono apparsi deboli e simili al fantoccio sudvietnamita di quarant’anni fa. Il generale David Petraeus, nel 2007-2008 fu l’unico a comprendere ragioni culturali e storiche dell’Iraq e ad agire con una politica di contenimento dei terroristi più efficace, puntando anche sulla stabilizzazione curda a Nord. Ma intanto si formava l’Isis, persino più temibile di Al Qaeda, perché non ha solo le armi e la cieca ideologia distruttiva, ambisce a costruire una società islamica con le sue regole – abbiamo visto quanto crudeli e selvagge – un suo circuito economico alimentato dal petrolio di cui fa commercio un po’ con tutti.
La Turchia sembra sempre più l’ago della bilancia in questo momento, come dimostrato dai recenti attentati di Suruç e Ankara. Da cosa è mosso il governo turco nel prendere le decisioni in tema di lotta al terrorismo dentro e fuori i suoi confini? Quali sono le sue previsioni sulle elezioni parlamentari del primo novembre?
Intervistai il presidente Recep Tayyip Erdogan, qualche anno fa, insieme a Antonio Ferrari, e mi impressionò per la sicurezza e la forza con cui sosteneva le proprie argomentazioni. Molte delle quali assai discutibili dal nostro punto di vista. Mi spinse garbatamente a visitare il mausoleo dedicato ad Ataturk, ad Ankara, quasi volesse sottolineare la laicità del suo governo. Credo che abbiano ragione coloro che pensano che il suo progetto sia quello di una moderna restaurazione ottomana, nel senso di allargare la sfera di influenza di un paese che ha conosciuto, e in parte ancora conosce, una straordinaria crescita economica e rappresenta l’hub energetico d’Europa, lo snodo strategico di molte rotte. Vedremo come andranno le elezioni domenica, turbate anche dai recenti sanguinosi attentati. I diritti umani sono calpestati e l’informazione è sotto attacco, anche nel silenzio dei paesi europei che non possono permettersi uno scontro frontale con Ankara che dà alla Nato più soldati di altri. Le ambiguità turche sono state ampiamente tollerate. Ankara ha lasciato passare tutti i foreign fighters diretti in Siria e in Iraq, anche perché andavano a combattere i curdi che, per il governo turco, sono più pericolosi dei tagliagole islamici.
La Turchia è anche uno dei paesi che ha accolto il maggior numero di profughi. Come pensa sia possibile fermare il flusso migratorio? Come si possono aiutare i paesi da cui queste persone arrivano a raggiungere la pace e lo sviluppo sostenibile?
Un episodio importante, nelle relazioni occidentali con la Turchia, è stata la recente visita ad Ankara del cancelliere tedesco. Angela Merkel si è detta disposta a riaprire l’annosa questione dell’adesione di Ankara all’Unione europea, che lei stessa aveva osteggiato in passato, in cambio di una maggiore collaborazione nella gestione dei profughi e dei migranti. La Turchia ospita già due milioni di profughi siriani, tutti in attesa di andare verso il nord e soprattutto in Germania. Credo sia impossibile fermare il flusso migratorio, lo si può regolare forse intervenendo in paesi come la Libia, divisa fra il governo di Tobruk e quello di Tripoli e oggetto di un faticoso negoziato avviato dall’inviato delle Nazioni Unite, Bernardino Leon. Aiutando profughi e migranti nei luoghi di origine dei flussi. Ma è facile dirlo. Troppo facile. La realizzazione di questi possibili interventi ha molte implicazioni di natura militare, etnica e religiosa.
Nei mesi scorsi non si contavano le prime pagine dedicate alla questione profughi e migranti. Oggi sembra che viviamo un calo dell’interesse. Cosa pensa dell’attenzione riservata dai mezzi d’informazione europei e internazionali alla questione?
Tornerà presto d’attualità, purtroppo. L’Austria sembra decisa a costruire, come l’Ungheria, il suo muro per contenere il flusso dei migranti verso nord. L’attivazione della rotta balcanica, preferita anche per sfuggire ai pericoli della traversata per mare, gestita dai trafficanti di vite umane, ha allentato un po’ la pressione nel mar Mediterraneo. E lo dimostrano i dati dei migranti arrivati in Italia nel 2015, non aumentato rispetto al 2014. I mezzi d’informazione italiani hanno fatto generalmente un buon lavoro nel raccontare drammi, tragedie, strazianti storie umane. E nessun nostro reporter ha fatto lo sgambetto a un papà con il figlio in braccio.
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