In Italia il 19 marzo è la Festa dei papà. Un ruolo che sta cambiando profondamente negli ultimi anni, abbattendo stereotipi e pregiudizi di genere e contribuendo a creare una nuova cultura della genitorialità.
Più presenti per i propri figli e più attenti nel diventare “bravi genitori”: sono i papà millennial che sfidano i pregiudizi di genere verso una genitorialità più inclusiva.
La società non sembra essersi ancora adeguata a questo cambio di narrazione della paternità: tanti i problemi quotidiani, come la mancanza di fasciatoi nei bagni degli uomini.
Alle politiche lavorative e al welfare aziendale a favore delle mamme si aggiunge un nuovo fondamentale tassello necessario per affrontare il calo delle nascite italiane: il permettere ai padri di svolgere il proprio ruolo fin dai primissimi giorni di vita dei bambini, a partire da congedi paritari tra uomo e donna.
C’era una volta il papà. Quello di una o due generazioni fa, che usciva di casa la mattina presto per andare a lavoro e tornava a casa la sera troppo stanco per accudire i propri bambini, consapevole del fatto che non fosse davvero un problema – in fondo, c’era la mamma per questo! Quello che nel 1982 ammetteva di non aver mai cambiato un pannolino, almeno nel 43 per cento dei casi.
E poi c’è il papà dell’oggi. Alcune cose non sono cambiate: il lavoro, la stanchezza. Ma tante altre sì: se torniamo di nuovo al cambio del pannolino, nel 2000 la percentuale di papà che se ne disinteressavano si è abbassata notevolmente, tanto da essere arrivata al tre per cento. E tanto da essere arrivati a notare un “nuovo” problema: perché il fasciatoio è sempre e solamente nel bagno delle donne?
Sembra una banalità, eppure è tutto qui: cambiare un pannolino significa riconoscere, nella vita di tutti i giorni e non nell’eccezione, che un papà è in grado di assumere anche i ruoli di cura nella propria famiglia. Che non è un mammo, una controfigura della mamma o qualcosa che si fa come favore verso l’altro partner: è semplicemente un papà.
Una rivoluzione a due velocità
Accade spesso che le rivoluzioni che partono dal singolo, nel silenzio della vita personale, facciano fatica ad emergere veramente. E così inciampiamo nell’assurda situazione di trovare strano incontrare un padre con un passeggino. Da solo.
Ci sono altre situazioni che, in un rovesciamento di stereotipi di genere, la società continua a trovare insolite: un papà che nutre con il biberon il proprio figlio; un papà con la fascia che pratica il babywearing; un padre che entra in vasca per il corso di baby nuoto; un papà che prende parte agli incontri del corso pre-parto.
Perché e con quali presunti benefici abbiamo relegato il ruolo di padre a qualcosa di così estraneo dalla propria famiglia? Difficile a dirsi. Ma è sicuramente qualcosa a cui i papà millennial non intendono più rinunciare.
Il tempo dei papà
Parliamo di papà millennial, ossia tutti i nati tra l’inizio degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Duemila. Perché sono i primi che, a tutti gli effetti, hanno cominciato a sperimentare questa paternità 2.0, sgretolando quel retaggio storico-culturale che vede solo la madre (e il sesso femminile in generale) responsabile della cura e della crescita dei figli.
“Forse questa è la prima volta nella storia in cui ci permettiamo di essere socialmente padri”, riflette Patrizio Cossa, attore e papà classe 1983, fondatore della community Bar Papàe autore di tre libri sulla paternità.
“Il padre è una figura importante, tale e quale alla madre, intercambiabile per le funzioni pratiche ma con un’individualità importante”.
Patrizio Cossa
Accudire i propri bambini, tanto per una mamma quanto per un papà, rappresenta il modo in cui creare un legame con loro, fin dai primissimi giorni di vita. Ed è qualcosa di reciproco. “Ho imparato tantissimo su di me grazie a mia figlia. Ho scoperto un lato di me che non conoscevo, latente, ho scoperto una parte emotiva molto forte che mi ha aiutato in tutto il resto, e anche la visione del mondo di mia figlia mi ha sorpreso. Il diventare padre mi ha portato fuori da tutti i pregiudizi sulla genitorialità in generale”.
Paradigmi da sgretolare
Non solo papà più presenti per i propri figli, come evidenziano recenti studi, ma anche papà che, come analizza l’emittente americana Cnbc, passano molto più tempo rispetto alle mamme a guardare video relativi alla genitorialità.
Tornando in Italia, c’è un perché a quest’ultimo dato: “Mentre mia moglie era incinta e poteva accedere ad una marea di informazioni, mi sono accorto che per i papà non c’era nulla”, ricorda Antonino Pintacuda, giornalista e papà classe 1982, fondatore della newsletter Padri in formazione insieme a Marco Bisanti, Alessandro Buttitta e Marco Marincola. Un luogo di incontro per riflettere sulla vita quotidiana da papà e per condividere consigli pratici. E per non essere soli.
“Non abbiamo avuto dei papà come vogliamo essere noi”, continua Pintacuda. “Per i nostri padri, non era qualcosa da uomo tenere in braccio i bambini. Eppure non c’è nulla di più virile di un padre che tiene in braccio suo figlio. Io adoro fare il bagnetto a mio figlio o cambiargli il pannolino. In ospedale ho dovuto chiedere all’ostetrica di insegnarmi come si faceva, visto che è qualcosa che continuano a dire alle mamme. Purtroppo anche le figure di supporto hanno respirato questo retaggio storico difficile da schiodare. Però ci stiamo lavorando in tanti”.
Riappropriazione di ruoli per una genitorialità più equa
Nonostante sussista un forte squilibrio di genere, rispetto al passato sono ormai tanti i papà che con la propria presenza stanno dimostrando che vogliono esserci. Fin dalla nascita, fin dal concepimento: perché lo vogliono loro stessi in primis, perché non vogliono più addossare questa enorme responsabile e peso sulle madri, e perché è sempre più una necessità, nei casi in cui entrambi i genitori lavorino.
“Ci sono tante piccole, grandi cose che sembrano semplici battute, ma che fanno da specchio alla società italiana di adesso”, aggiunge Patrizio Cossa. “Per dire: è anormale che io, papà, faccia parte della chat di scuola di mia figlia. E a dirmelo sono le altre mamme. C’è una corresponsabilità da parte nostra, uomini, che non ci svegliamo e restiamo adagiati sul ‘si è sempre fatto così’, ma anche da parte delle donne che ci dicono: ‘Ma che fai, ma lascia perdere, ci penso io!’. Questo paradigma deve cambiare da parte di tutti quanti”.
“Va tutto a cascata: se ho solamente dieci giorni di congedo, non posso collaborare attivamente nello stare a casa”, spiega ancora Cossa, “e quindi mia moglie non può riprendere quelle che sono le sue attività di routine, e di conseguenza ci sarà sempre e comunque questo divario infinito. Essere presente come padre è qualcosa che faccio per me, per vivere al meglio la mia paternità, ma è qualcosa che faccio anche per mia moglie, per far vivere a lei al meglio la sua maternità. È un gioco di squadra”.
Coinvolgere i padri e farli riappropriare dei loro ruoli è anche una strategia efficace per il calo delle nascite italiano: cura condivisa in casa equivale a uguali possibilità di occupazione, specialmente femminile, un tema strettamente connesso anche ai piani di fertilità delle famiglie.
“Non ci può essere differenza di congedi”, conclude Antonino Pintacuda. “Lo stato non può fare distinzioni tra un tipo di genitore e l’altro. Io capisco bene che la mamma l’ha portato per nove mesi in grembo, quindi c’è una connessione che va oltre, però anche il papà deve avere la possibilità di interiorizzare step by step quello che sta avvenendo. Cerchiamo di praticare una genitorialità gentile, di essere dei papà nuovi in qualche maniera, di avere il coraggio di mettere in pratica quello che proviamo nei nostri cuori. La società non può che beneficiarne di questa rivoluzione”.
La parità di genere, troppo spesso per necessità di cose declinata al femminile, passa anche da qui: dal riconoscimento culturale e politico del ruolo del padre. E dalla possibilità di esserlo, padri, a partire dal tempo di cura.
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