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Come Catania celebra Sant’Agata, giovane donna simbolo di resistenza, ribellione e coraggio
Con tre giorni di festeggiamenti che danno vita alla terza festa religiosa al mondo, Catania celebra Sant’Agata, figura femminile che si sacrificò per i propri valori, motivo di ispirazione per tutti i cittadini catanesi e non.
Simbolo di tenacia, resistenza e liberazione, Sant’Agata è celebrata a Catania in tre giorni di festa, venerata come santa, vergine e martire. Ogni anno i primi di febbraio, i devoti che hanno chiesto o che hanno ottenuto una grazia, un miracolo, insieme ai fedeli e alla comunità catanese si riuniscono per la festa di Sant’Agata, o “la concittadina”, come viene spesso chiamata. Una maratona senza sosta di celebrazioni e festeggiamenti. Una festa che viene vissuta in strada: tre giorni senza sosta per seguire la processione e urlare tutti insieme “Cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti? – Evviva San’Ajta!” (Cittadini, cittadini, siamo tutti devoti tutti? Evviva Sant’Agata!).
Questa incredibile figura femminile è motivo di ispirazione per tutti i cittadini catanesi, cattolici e non. Una giovane donna che con il suo coraggio e la sua forza si è sacrificata per i propri valori. Ma se non si è catanesi, per capire a cosa si sta partecipando bisogna ripercorrere la sua storia e i martìri che la portarono alla morte.
Origini e storia di Agata, la giovane donna che si sacrificò per i propri valori
Agata nacque in una famiglia ricca e nobile, probabilmente catanese. Si consacrò a Dio a 15 anni, ma morì pochi anni dopo. Tra la fine del 250 e l’inizio del 251, il proconsole Quinziano giunse a Catania con l’intento di far rispettare l’editto dell’imperatore Decio, che imponeva a tutti i cristiani di abiurare la propria fede cattolica pubblicamente, iniziandone la persecuzione.
Quinziano diede una caccia incessante ai cristiani, facendoli cercare per poi condurli al pretorio, dove venivano interrogati, giudicati e, se non venivano convertiti ad apostati, condannati a morti spietate. In questo contesto storico spicca la figura di Agata, che al momento delle torture e dei martìri serviva la comunità cristiana come diaconessa, come documentato dalla tradizione orale catanese e dai documenti del martirio stesso.
Il proconsole si innamorò proprio di Agata, ordinandole non solo di ripudiare la sua fede, ma di unirsi a lui. Senza successo. Agata preferì il martirio e poi la morte piuttosto che cedere alla prepotenza del proconsole. Lui cercò invano, attraverso una continua pressione psicologica la corruzione morale della giovane donna. Fu così che iniziò il processo che portò Agata in carcere dove subì violente torture e la brutale rimozione dei seni con delle tenaglie. L’ultimo martirio fu sui carboni ardenti, dove la notte seguente Agata morì nella sua cella. Era il 5 febbraio.
Quando e come si festeggia Sant’Agata
La festa di Sant’Agata si celebra a Catania i primi di febbraio, ed è la terza festa religiosa al mondo per numero di partecipanti, dopo la settimana Santa di Siviglia e il Corpus Domini di Cuzco in Perù.
Per onorare quella che da sempre viene riconosciuta come la Santa protettrice della comunità catanese e della città di Catania, i devoti riempiono e colorano le strade della città di bianco: indossano il saio bianco (u saccu); un copricapo di velluto nero (a scuzzetta) come simbolo di umiltà; un cordone monastico da legare in vita; guanti e fazzoletto bianchi, simbolo di promessa, purezza e devozione. Tra l’altro, è proprio con l’origine tradizionale del saccu – quando il 17 agosto 1126 furono riportate in città le spoglie della Santa prima trafugate a Costantinopoli e i cittadini si riversarono nelle strade a piedi nudi e con i vestiti da notte – che la festa inizia ad assumere un significato simbolico profondo e così sentito nella città di Catania.
I devoti, utilizzando due cordoni lunghi oltre 200 metri, trainano Sant’Agata sul fercolo d’argento (una raffinata opera d’argenteria impiegata in processione, dal latino fero cultum, portare per il culto), chiamata in catanese A vara, che – pesante oltre 17 quintali – contiene il busto e lo scrigno con le reliquie della santa martire.
La festa inizia il 3 febbraio con l’offerta delle candele, la processione della raccolta della cera, che parte dalla chiesa di Sant’Agata alla Fornace, in piazza Stesicoro, per terminare alla cattedrale, in piazza Duomo. È anche il giorno in cui il sindaco e i membri della giunta consegnano le chiavi della città alle autorità religiose. La giornata si conclude verso le 8 di sera con un incredibile spettacolo di un’ora di fuochi d’artificio in Piazza Duomo: la festa è ufficialmente iniziata.
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Il 4 febbraio la celebrazione inizia all’alba, alle 6 del mattino con la messa dell’aurora in cattedrale, al cui termine la Santa viene portata in processione nel “giro lungo” attorno alla città, preceduta dalle candelore delle arti e dei mestieri. Il corteo si conclude al mattino del giorno dopo, intorno alle 5, con il ritorno in cattedrale.
Il 5 febbraio è il giorno di quella che viene considerata la festa vera e propria. Alle 18 inizia il “giro interno” del fercolo che parte dalla Cattedrale per arrivare in piazza Cavour, al Borgo, dove alle 6 del mattino si tiene uno spettacolo pirotecnico. I fuochi d’artificio sono il segnale che il fercolo sta per iniziare la sua discesa in Via Etnea. Se la processione ha impiegato in salita circa 12 ore, per arrivare ai Quattro Canti, da dove parte la commovente salita di via San Giuliano, impiega circa 3 ore.
Una salita di corsa, un fiume bianco di devoti che traina Sant’Agata fino all’incrocio con Via Crociferi, dove si celebra uno dei momenti più commoventi della festa: quando Agata è davanti al convento delle Benedettine, le Clarisse intonano un tenero canto in latino. Sono suore di clausura che hanno deciso di dedicare la propria vita al martirio e alla verginità, ispirate da Agata. Le Benedettine escono dal convento solo il 6 mattina per intonare il toccante canto dedicato a Sant’Agata.
È il 6 febbraio, la processione è quasi al termine, si conclude al mattino con il rientro in cattedrale. Il cordone trainato dai devoti attraversa piazza Duomo inneggiando alla patrona di Catania, si sventola un’onda di guanti bianchi che all’unisono cantano il commovente inno a Sant’Agata insieme a tutti i cittadini, fino all’arrivo di fronte all’ingresso.
Lì il mezzo busto viene rimosso dal fercolo per essere portato in cattedrale per l’ultimo saluto alla santa.
I miracoli e le leggende su Sant’Agata
Secondo la tradizione, il primo miracolo attribuito a Sant’Agata è datato un anno dopo la sua morte: Catania fu colpita da una imponente eruzione dell’Etna all’inizio di febbraio. Quando la lava stava per arrivare in città, il popolo prese il velo, custodito nella cattedrale di Catania insieme ad altre reliquie della Santa in uno scrigno d’argento, e lo portò in processione. La colata si arrestò in breve tempo. Il 5 febbraio. Il velo fu utilizzato anche nel 1169 quando la città fu colpita da un disastroso e inarrestabile terremoto, che cessò dopo che questo fu portato in processione. Sempre il velo, si narra inoltre, salvò la città da eruzioni per almeno quindici volte.
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Nel 1669 ci fu l’eruzione più disastrosa della zona etnea, la lava arrivò fino a Catania, e la colata lavica circonda ancora oggi il Castello Ursino. La lava risparmiò però i luoghi di prigionia e di martirio di Agata, per finire poi in mare. Un dipinto che raffigurava Sant’Agata in carcere fu trasportato dalla lava intatto per centinaia di metri, senza esserne scalfito. Catania fu protetta poi dalle invasioni degli Ostrogoti, dai Mori che stavano attaccando la costa catanese, da Federico II e anche dalla peste. Tradizionalmente si esprime gratitudine ad Agata per aver protetto la sua città. Per i miracoli che le si attribuiscono è una delle sette vergini e martiri ricordate nel canone della Messa, dopo la Vergine Maria.
Tradizione culinaria della festa di Sant’Agata: cibi tipici e locali
La cassata siciliana è il dolce simbolo per eccellenza della Trinacria. Ne racchiude dominazioni e storia. Lo stesso nome q’asat viene dall’arabo ed era usato per indicare il recipiente dove veniva mescolata la ricotta. È sotto la dominazione normanna, nel convento della Martorana, che a Palermo le suore inventarono una pasta a base di farina di mandorla: la pasta reale, di marzapane, o pasta di martorana. Con la dominazione spagnola venne poi introdotto il pan di spagna e le scaglie di cioccolato nell’impasto della ricotta.
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Le minne, anche conosciute come cassatine, sono famose in tutta Italia. Sono piccole cassate siciliane che prendono la forma dai seni amputati della Santa. Se le minne, o le minnuzze, sono il dolce simbolo dei martìri e delle violenze subite, non tutti sanno che i dolci tipici della festa sono altri.
Le olive di Sant’Agata: piccoli dolci di marzapane, dalla forma che ricorda i frutti dell’ulivo, ricoperti di zucchero o di cioccolata. L’origine delle olive, sempre secondo la tradizione, si fa risalire a quando Agata vennè portata in giudizio da Quinziano. Quando lei si fermò ad allacciare un sandalo, non appena il suo piede toccò il suolo, iniziò a cresce un albero di ulivo con i suoi frutti. I concittadini iniziarono a raccogliere le olive prodotte dall’albero per conservarle o donarle come frutti miracolosi.
Nel 1926, nel XIII centenario della traslazione delle reliquie di Sant’Agata da Costantinopoli a Catania fu piantato un albero di ulivo nella piazzetta della Chiesa di Sant’Agata al Carcere. Durante la festa si posso trovare anche mele glassate, e il torrone fresco preparato al momento con mandorle o pistacchi dell’Etna.
Una fonte d’ispirazione per tutti
Il 6 febbraio i fuochi d’artificio chiudono questa festa dedicata ad una concittadina speciale, simbolo di tenacia e coraggio. A Catania si inizia a rimuovere la cera dalle strade e i venditori di candele, dolci, e palloncini si ritirano. I catanesi ritornano al lavoro, con l’orgoglio di far parte di una comunità unica, ispirata ad una donna eccezionale.
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