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Cos’è Fico Eataly World, la città del cibo di Bologna
Una città del cibo nel Paese della biodiversità. È Fico (o anche Eataly World), il più grande parco agroalimentare del mondo che ha aperto i battenti. Dove? A Bologna.
È inutile girarci attorno. Non appena si entra in Fico (Fabbrica italiana contadina) Eataly World l’effetto déjà vu è immediato e il primo pensiero è: “Sembra di stare a Expo”. E non c’è nulla di male o di strano nel rimanere impantanati nei ricordi perché chi ha voluto Fico, ha contributo al successo (almeno dal punto di vista commerciale) di Expo e ha pensato che se si è riusciti a portare decine di milioni di visitatori in sei mesi in Italia per mangiare e parlare di cibo, allora non c’è nulla di straordinario nel voler trasformare quell’esperienza in qualcosa di permanente che contribuisca sia al successo commerciale del made in Italy che al potenziamento del turismo straniero in Italia.
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E così è stato. La squadra guidata da Tiziana Primori, amministratore delegato di Fico Eataly World, nel giro di quattro anni ha trasformato il centro agroalimentare di Bologna (Caab) in una città del cibo che ha aperto i battenti il 15 novembre 2017 e che ha come obiettivo accogliere sei milioni di persone in quattro anni. In Italia si chiama Fico, per gli stranieri è semplicemente Eataly World.
Il valore dell’accoglienza per Bologna
Accoglienza è un’altra parola chiave oltre a “cibo” ripetuta e sottolineata durante la conferenza stampa di inaugurazione dal sindaco di Bologna Virginio Merola, che non ha solo un ruolo simbolico di “padrone di casa”. Lo è nei fatti perché la struttura, il terreno di Fico, è pubblico ed è rimasto di proprietà della città metropolitana. D’altronde, per favorire lo sviluppo di idee innovative bisogna anche avere basi solide: “Abbiamo trasformato un rischio in un’opportunità. Quello che abbiamo messo in campo da bolognesi è stata la nostra passione e perseveranza, la voglia di Bologna di vivere di relazioni con l’esterno, con l’estero”, ha dichiarato Merola. “E in questo vogliamo migliorare aumentando la nostra capacità di accoglienza per fare da ponte con l’Europa” perché “noi i muri li abbiamo abbattuti il secolo scorso”.
Ma le basi non bastano. Primori, unica donna del gruppo Fico, ci ha messo il resto (cioè la testa, al netto dei soldi a cui ci hanno pensato Eataly e Coop), con una buona dose di modestia: “Il mio merito è stato mettere insieme le nostre eccellenze, il saper fare, i dialetti tirando fuori un luogo unico, vero e anche imperfetto, ma ricco di passione e competenza, in piena rappresentanza dello spirito italiano”. Su questo aspetto le ha fatto eco anche Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, aggiungendo che “il problema della burocrazia in Italia è un alibi” perché sono le persone a dettare il grado di efficienza grazie al “buon senso”.
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“È stato un lavoro molto complesso – ha aggiunto Primori –. Arrivando dal movimento cooperativo, penso che cooperare sia un grande valore. Così l’ho messo al centro di questo progetto cercando in ogni momento di tirare fuori il meglio dalle persone, dalle aziende, cercando di far capire che stare insieme” ha un valore molto più alto della somma dei singoli. Un valore in grado di far fronte anche alle difficoltà per cui non c’è nulla che non si possa fare “quindi bisogna sempre trovare una soluzione, con tenacia”.
Dove si trova e cosa c’è dentro Fico?
Un’area di 100mila metri quadrati (10 ettari) progettati dall’architetto Thomas Bartoli dedicati alla biodiversità e all’artigianalità italiane in grado di trasformare le materie prime in cibo di qualità. All’esterno due ettari di campi agricoli e stalle all’aria aperta dove vengono coltivate duemila varietà e vivono duecento animali. All’interno otto ettari che ospitano quaranta fabbriche in funzione che danno vita ai prodotti tipici della nostra tavola, coperti da 44mila pannelli fotovoltaici che danno vita al più grande impianto su tetto d’Europa.
E poi decine di punti ristoro, tra ristoranti e chioschi, che offrono assaggi e degustazioni e botteghe dove è possibile acquistare il meglio del made in Italy. Del resto, ha commentato Farinetti, “se possiamo permetterci una città del cibo in Italia, è perché l’Italia è il Paese della biodiversità nel mondo” e “per questo non possiamo fare altro che ritenerci fortunati”. Un concetto riassunto nella frase all’ingresso principale del parco agroalimentare, murato di pomi: “In Europa ci sono 1.200 varietà di mele. 1.000 in Italia e 200 nel resto d’Europa. Per questo abbiamo fatto Fico”.
Fico è anche formazione
Una cosa nuova rispetto a Expo è la possibilità di mettersi alla prova, di sporcarsi le mani, di iscriversi a corsi di formazione a pagamento e imparare con gli artigiani e altri esperti del settore come fare le cose, come fare la pasta, produrre uno yogurt naturale, imparando la tecnica per maneggiare e trasformare gli ingredienti. È formazione anche nel senso di educazione – per bambini e non solo – perché, come a Expo, ci sono sei mini-padiglioni, che qui si chiamano giostre, che spiegano da un punto di vista didattico com’è nato e cresciuto il patrimonio alimentare italiano svelando i segreti del fuoco, della terra, del mare, degli animali, delle bevande e del futuro. Il futuro, anche qui come a Expo, è stato creato e realizzato dallo studio di architetti che fa capo a Carlo Ratti. Nel 2015 “del futuro” era il supermercato.
Tutto bello finora, ma cosa c’è di sostenibile?
Questa domanda l’abbiamo posta – inevitabilmente – ad Andrea Segrè che, oltre ad essere presidente della Fondazione Fico e professore universitario, ha fondato Last minute market che dal 2003 sviluppa progetti e servizi per la prevenzione e riduzione degli sprechi alimentari.
https://www.youtube.com/watch?v=mFZ7gLZdKUc
“Tutto è stato fatto per la sostenibilità. Lottare contro lo spreco alimentare è un’occasione per riportare l’attenzione sul valore del cibo, quindi facciamo prevenzione”, ha risposto Segrè. Fico “nasce come progetto di educazione alimentare” e per questo “abbiamo messo in rete la facoltà di Agraria dell’università di Bologna, il nuovo centro agroalimentare, e Fico attraverso un protocollo di economia circolare, siglato sotto gli occhi attenti del ministro dell’Ambiente”.
C’è l’esperienza di Last minute market
Sulla sostenibilità, dunque, è stato fatto un “lavoro capillare” per Segrè, “a cominciare dall’impianto fotovoltaico da 15 megawatt”. E poi si sta lavorando sulla mobilità “per i beni ortofrutticoli che vanno in centro a Bologna per rifornire il mercato con mezzi elettrici”. E poi, ultimo ma non in ordine di importanza, Fico “sarà a spreco zero nel senso che tutti i prodotti verranno recuperati, a partire dalle mele che ci sono all’ingresso. Dopo un certo periodo vengono sostituite, prima che avvizziscano, recuperate e date a fini caritativi. Sarà tutto così perché abbiamo preso accordi alcune associazioni caritative che verranno a recuperare il cibo come abbiamo fatto per anni e continuiamo a fare con Last minute market”.
Alla fine a Fico si viene per degustare comprando e imparare divertendosi. Farinetti su questo è stato chiaro: “Se Disneyland ha fatto scoprire al mondo dove si trovasse Orlando sulla cartina geografica degli Stati Uniti”, giocando e compensando la mancanza di storia da visitare negli Stati Uniti, così Eataly World farà aumentare il turismo internazionale in Italia, tanto più che qui i turisti ci vengono già per ammirare le meraviglie artistiche e architettoniche del nostro Paese. “Vogliamo passare da 50 a 100 milioni di turisti all’anno!”, ha chiuso il fondatore di Eataly che sembrava un ambasciatore in pectore. E intanto il New York Times ha deciso di inserire l’Emilia-Romagna e Fico Eataly World nella lista dei 52 posti da visitare nel 2018.
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