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Filantropia e sviluppo sostenibile, luci e ombre
L’ultimo rapporto di Navdanya International indaga ruolo e azioni di una delle fondazioni private più influenti – la Bill & Melinda Gates Foundation.
Con la collaborazione di tutto il team di Navdanya International
L’ultimo rapporto di Navdanya International, Gates to a Global Empire, si propone di indagare sul ruolo e sulle attività di una delle fondazioni private attualmente più influenti nelle politiche pubbliche di tutto il mondo: la Bill & Melinda Gates Foundation (Bmgf). Gli interventi filantropici del fondatore di Microsoft, Bill Gates – uno degli individui più ricchi al mondo con una fortuna personale di circa 117 miliardi di dollari (quasi 99 miliardi di euro)– sono emerse nel contesto neoliberale delle politiche di adeguamento post-strutturale e dei fondi in costante diminuzione delle istituzioni internazionali. Una situazione che ha lasciato la porta spalancata a Gates per rinvigorire l’arena internazionale come generoso fornitore di capitali. Si tratta però di un capitale tutt’altro che puro.
Anche se Gates apparentemente sta elargendo il proprio denaro per una “causa caritatevole”, i suoi introiti sono in costante aumento da quando è diventato un filantropo a tempo pieno rendendo, di fatto, lo sviluppo globale un’importante fonte di profitti. La capacità della fondazione di promuovere i grandi interessi privati e coinvolgere attori strategici in tutti i settori, dai media agli istituti di ricerca, permette a Gates di avere sempre le porte aperte nonostante l’evidenza dei vantaggi particolari e dei fallimenti generali. Il Bill & Melinda Gates Trust Fund, gestito da Warren Buffet, detiene inoltre azioni in società il cui lavoro è in contraddizione con gli obiettivi di sviluppo della fondazione, come Walgreens, Kraft Foods, Coca Cola e così via.
Gates e l’agricoltura industriale
L’analisi di Navdanya parte dal settore agroalimentare, su cui l’organizzazione fondata da Vandana Shiva lavora da trent’anni in difesa della biodiversità e delle sementi locali. Il rapporto passa in rassegna alcuni casi di biopirateria e i tentativi di ottenere brevetti sulle sementi, prima attraverso gli ogm e ora attraverso le nuove biotecnologie, come il gene editing, che hanno visto coinvolta la fondazione di Gates.
I tentativi di esportare la fallimentare Rivoluzione Verde in America Latina, in Africa e in Asia confermano la tesi secondo cui la Bmgf è del tutto disinteressata allo sviluppo di nuovi modelli economici sostenibili e inclusivi quanto piuttosto al consolidamento del modello monocolturale intensivo a vantaggio degli interessi delle grandi industrie sementiere e di agrochimici. Come dichiara Vandana Shiva presentando il nuovo rapporto: “Negli ultimi cinquant’anni l’agricoltura industrializzata e globalizzata si è diffusa in tutto il mondo con costi elevati per il pianeta, i contadini, la libertà dei semi e la libertà alimentare. La ricerca e l’attività agricola di Navdanya in 35 anni hanno dimostrato che l’agricoltura industriale è inefficiente, improduttiva, crea dipendenza dalle multinazionali per l’acquisto degli input esterni e dipendenza dalle catene di fornitura globali che impongono uniformità alle aziende agricole”.
I rischi della manipolazione genetica
La Bmgf può tranquillamente disinteressarsi dei fallimenti dei suoi progetti, come il caso di Agra (Alliance for the green revolution in Africa), il programma per aumentare la produttività agricola in Africa: “dopo quasi quindici anni – si legge nel rapporto – non ci sono prove di aumenti significativi della produttività mentre, nei paesi interessati, le persone che soffrono di fame estrema sono aumentate del 30 per cento”. Gates, al fianco di società private, ha lavorato per ridisegnare completamente tutti i livelli del sistema alimentare africano a favore dei monopoli della chimica, dell’agroalimentare, degli ogm e dell‘agricoltura digitale.
Dietro il velo sottile della retorica dell’alleviare la malnutrizione, le carestie e la povertà, Gates vede come unica soluzione a questo “deficit di produzione” le ideologie di mercato della Rivoluzione Verde, a prescindere dalle devastazioni del passato causate da questi metodi basati sull’uso di sostanze chimiche. Una strategia che va in direzione opposta rispetto a quella auspicata dai movimenti di resistenza locali basata su pratiche agroecologiche. L’insistenza nel fornire false soluzioni attraverso varietà geneticamente modificate si allinea alla visione di Gates, che ha ripetutamente espresso il suo pieno sostegno alle sementi geneticamente modificate come “soluzioni tecniche necessarie” per lo sviluppo rurale. Come ribadisce Vandana Shiva: “Con il suo filantropico imperialismo, Gates sta emergendo come il Colombo dell’era digitale, il nuovo Monsanto che promuove gli ogm che hanno già disatteso le loro promesse in varie parti del mondo e cerca di introdurre nuovi ogm basati sulle nuove biotecnologie come il gene editing”.
Questa “amnesia” e la negazione dei fallimenti risulta evidente nella nuova iniziativa AgOne della Fondazione Bill & Melinda Gates. Lanciata nel gennaio 2020, AgOne offre un makeover tecnologico delle stesse strategie impiegate in altre iniziative di Gates in agricoltura, attraverso un perfezionamento tecnologico dell’estrazione di dati (data mining) dalle attività degli agricoltori, tramite la tecnologia dei sensori, la tecnologia gene drive Crispr-Cas9 applicata a semi e colture, nuovi ogm, modelli di predittività basati sull’intelligenza artificiale e così via.
La diretta influenza sugli istituti di ricerca internazionali garantisce la continuità dei programmi della Bmgf. Come, per esempio, il Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale (Consultative group for international agricultural research – Cgiar), nel quale attualmente la fondazione investe per circa 105 milioni di dollari all’anno (circa 89 milioni di euro), più di qualsiasi altro finanziatore. Il piano di consolidamento comprende anche la fusione delle quindici più grandi collezioni di semi al mondo attraverso il finanziamento di iniziative globali, come Diversity seek (DivSeek), con l’obiettivo di replicare tutte le informazioni genetiche dei semi in custodia. In effetti, questo consente di brevettare le informazioni genetiche raccolte, che si traduce praticamente in atti di biopirateria attraverso i brevetti sui semi. Negli ultimi cinque anni, gli interessi commerciali nei settori della biodiversità sono cresciuti, al fine di sviluppare ulteriormente la biotecnologia. In particolare riguardo al tema dell’accesso illimitato alle informazioni sulle sequenze digitali (Digital sequence information – Dsi). La Dsi è una biotecnologia in grado di scansionare efficacemente le informazioni genetiche di un genoma, consentendo di inserire il materiale genetico delle piante in un database digitale. Tutto ciò viola o mette a repentaglio la Convenzione sulla diversità biologica e il protocollo di Nagoya.
I reali interessi della Fondazione Gates
La Fondazione Gates si adopera attivamente per espandere il “consenso” e creare un ambiente normativo “amichevole”, al fine di promuovere le ‘innovazioni’ da essa finanziate, e portarle dal laboratorio al mercato il più rapidamente possibile, indipendentemente dai rischi, le conseguenze o i fallimenti passati. Ciò si manifesta anche in un aggressivo attacco sistematico alle voci dissenzienti nel dibattito internazionale, con poco o nessun senso di responsabilità nel rispondere sugli effettivi risultati dei progetti e delle iniziative della fondazione. Nel tentativo di raggiungere questo consenso ed un “ambiente normativo amichevole”, la fondazione finanzia tutti i settori perché si allineino ai propri interessi, dalla copertura dei media, alla ricerca, alle università, alle start-up, ai programmi e ai progetti di sviluppo, alle iniziative di ricerca presso istituzioni internazionali e ai programmi governativi.
Un’emergenza democratica, dunque, analizzata nel dettaglio dai maggiori esperti del settore come Vandana Shiva, Farida Akhter, José Esquinas Alcàzar, Nicoletta Dentico, Fernando Cabaleiro, Seth Itzkan, Dru Jay, Satish Kumar, Jonathan Latham, Aidé Jiménez-Martínez, Chito Medina, Zahra Moloo, Silvia Ribeiro, Adelita San Vicente, Ali Tapsoba, Jim Thomas, Timothy A. Wise. Il rapporto conta sulla partecipazione di organizzazioni internazionali e movimenti nazionali, fra cui ETC Group, Community Alliance for Global Justice/Agra Watch, Soil4Climate, Bioscience Resource, GM Watch, Naturaleza de Derechos – Argentina, Masipag – Philippines, Terre à Vie – Burkina Faso, Ubinig – Bangladesh.
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