Il 4 dicembre, alla Cop28 di Dubai, è il giorno della finanza climatica. Ambiziose, ma non ancora sufficienti, le cifre promesse per i paesi vulnerabili.
Finanza climatica e commercio. Insieme alla parità di genere, sono questi i temi al centro della giornata di lunedì 4 dicembre alla Cop28, la Conferenza delle parti sul clima in corso a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Una Cop che è iniziata con l’approvazione del fondo per il loss and damage, cioè il risarcimento delle perdite e dei danni subiti dai paesi più vulnerabili. E che nei suoi primi quattro giorni ha visto promettere lo stanziamento di più di 57 miliardi di dollari, in quella che l’organizzazione definisce come una “potente dimostrazione di solidarietà globale”. Ma che, per ora, è sostanzialmente una dichiarazione di intenti (insufficienti).
COP28 has mobilized over $57 billion so far!
Governments, businesses, investors and philanthropists have delivered an historical eight pledges and declarations in the first four days of COP28.
Announcements across the entire climate agenda, including on finance, health, food,… pic.twitter.com/r0RXggHZpg
Finanza climatica, le iniziative annunciate alla Cop28
Si chiama Altérrail fondo d’investimento da 30 miliardi di dollari che gli Emirati Arabi Uniti hanno lanciato il 1 dicembre. L’obiettivo dichiarato è quello di mobilitare 250 miliardi di dollari di capitali privati entro il 2030, indirizzandoli prevalentemente verso i paesi del sud del mondo. “Un veicolo di investimenti come nessun altro”, stando al presidente al-Jaber, amministratore delegato del colosso petrolifero Adnoc, presidente della Cop28 stessa e a capo del consiglio di amministrazione. Sempre gli Emirati Arabi Uniti hanno promesso 200 milioni di dollari per i diritti speciali di prelievo e altri 140 per la sicurezza idrica.
Sempre il 1 dicembre, il presidente della Banca mondiale Ajay Banga ha fatto sapere che l’istituto entro il 2025 stanzierà il 45 per cento dei propri finanziamenti annuali a progetti legati al clima, e non più il 35 per cento. Si parla quindi di un totale di oltre 40 miliardi di dollari all’anno, circa 9 in più rispetto all’obiettivo originario. Chiaramente, l’impatto reale dipenderà dalla scelta dei progetti finanziati: già negli scorsi mesi alcune ong avevano criticato la tendenza a etichettarli troppo facilmente come “climatici”.
Tra gli strumenti finanziari sui quali c’è maggiore attesa c’è il loss and damage, cioè il meccanismo con il quale i paesi ricchi rimborsano – almeno in parte – quelli in via di sviluppo per le perdite e i danni che hanno subìto a causa degli eventi meteo estremi, pur essendo responsabili soltanto in minima parte dell’aumento delle emissioni in atmosfera.
La Cop27 di Sharm-el-Sheikh si era chiusa con l’accordo formale per istituirlo, senza però alcun dettaglio sul suo funzionamento. La Cop28 è iniziata con il via libera al fondo stesso, per il quale sono stati promessi finora 725 milioni di dollari. Cifre che però sono lontane anni luce da quelle realmente necessarie. Pur ammettendo che è difficilissimo calcolarle con precisione, un report commissionato dalle Nazioni Unite propone una stima compresa tra i 150 e i 300 miliardi di dollari entro il 2050 per “far fronte agli impatti immediati e alla successiva ricostruzione”. Miliardi, dunque, non milioni.
Sono stati poi promessi altri 3,5 miliardi per il Fondo verde per il clima. Così, le promesse di “ricostituzione” del fondo sono pari a 12,8 miliardi di dollari. Un progetto che nasce addirittura nel 2009, l’anno della fallimentare Cop9 di Copenaghen, con un intento chiaro: le economie avanzate avrebbero dovuto mobilitare 100 miliardi all’anno entro il 2020 per aiutare i paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni e contrastare i cambiamenti climatici. Il condizionale però è d’obbligo perché il traguardo dei 100 miliardi, in realtà, non è stato raggiunto in tempo. Alla Cop21 di Parigi è stato prorogato al 2025, anno in cui dovrà essere adottato un nuovo obiettivo di finanza climatica. Nel 2021 si è arrivati, secondo gli ultimi dati dell’Ocse, a 89,6 miliardi forniti e mobilitati; è probabile che il tetto dei cento miliardi sia stato finalmente raggiunto nel 2022, ma manca ancora l’ufficialità.
Dopodiché, sono stati annunciati stanziamenti di 2,7 miliardi per la salute, 2,6 miliardi rispettivamente per la trasformazione dei sistemi alimentari e per la protezione della natura, 467 milioni di euro per l’azione per il clima in ambiente urbano, 1,2 miliardi per gli aiuti, la ripresa e la pace. Passando all’energia, 2,5 miliardi sono stati mobilitati per le energie rinnovabili, 1,2 per la riduzione delle emissioni di metano e 568 milioni per la produzione di energia pulita. Il totale, come ricorda l’organizzazione della Cop28, supera i 57 miliardi. Ma si tratta di impegni e promesse. E finora, come dimostra in modo eloquente la storia del Fondo verde per il clima, non sempre le promesse si sono tramutate in fatti nei tempi previsti.
Come si può affrontare il #CambiamentoClimatico attraverso la finanza? Con che strumenti? E quanto serve per raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’ #AccordoDiParigi?
Un centro di ricerca sulla finanza climatica con Hsbc e Blackrock
Sarà sempre la capitale emiratina Abu Dhabi a ospitare il neo-istituito Global climate finance centre. Descritto come un centro di ricerca e think tank indipendente, promette di “accelerare lo sviluppo di framework e competenze sulla finanza climatica e promuovere le migliori pratiche, negli Emirati Arabi Uniti e nel mondo”. Nove i membri fondatori, tra cui la stessa Banca mondiale (a cui è stato affidato anche il fondo per il loss and damage) insieme a colossi della finanza come la banca londinese Hsbc e il fondo BlackRock.
Un posizionamento ben chiaro quello scelto dai fondatori. Da un lato gli Emirati Arabi Uniti, che dichiarano di volersi porre “in prima linea nel guidare il cambiamento globale nella finanza sostenibile, costruendo un’eredità positiva negli anni a venire”. Dall’altro lato i grandi nomi della finanza privata che, da qualche anno, stanno cercando di svincolarsi dai loro legami con le fonti fossili. Legami che, però, sono ancora ben radicati.
Hsbc, per esempio, alla fine del 2022 ha annunciato di non voler più finanziare nuovi giacimenti di gas e petrolio. Una scelta che ha ricevuto il plauso di diverse ong, anche perché può fungere da sprone per le altre banche; ma è anche vero che, nello stesso periodo, l’istituto concedeva un prestito per l’ampliamento di alcune miniere tedesche di carbone. Anche la lettera agli investitori inviata a inizio 2020 da Larry Fink, direttore generale di BlackRock, aveva fatto il giro del mondo per la promessa di porre la sostenibilità ambientale al centro delle proprie decisioni di investimento. Ad oggi, però, il colosso finanziario detiene ancora asset nel settore del carbone, del petrolio e del gas. E non intende rinunciarvi. Anche la capacità del nuovo think tank di innescare un cambiamento reale dunque, andrà valutata alla luce dei numeri.
Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.