I negoziati alla Cop29 di Baku sono concentrati tutti su un tema cruciale: trovare i fondi necessari per operare la transizione ecologica, mitigare i cambiamenti climatici e adattarsi agli impatti ormai inevitabili che essi comportano. Occorre perciò decidere quanti capitali stanziare e, soprattutto, capire chi deve essere a farlo.
La bozza redatta a giugno è stata rifiutata dai G77+Cina alla Cop29
Le notizie che arrivano da Baku, in questo senso, non sono affatto rassicuranti. La distanza tra i governi (o i gruppi di governi) è talmente ampia che per quanto riguarda quello che è stato battezzato l’Uae dialogue – il confronto necessario per rendere operativo quanto indicato nel Global stocktake approvato al termine della Cop28 di Dubai – non si è d’accordo sostanzialmente su nulla. Neppure su quali temi debbano essere affrontati in tale dialogo, con quali obiettivi e quale durata. In pratica, da lunedì si discute su cosa sia l’Uae dialogue.
Non a caso, benché si sia ormai arrivati al giovedì della prima settimana di negoziati, ancora non è stata pubblicata una prima bozza sul tema: soltanto delle informal notes. Ciò anche poiché la bozza che era stata curata da Egitto e Australia, e licenziata al termine della sessione intermedia di giugno, a Bonn, è stata rifiutata dal gruppo dei G77+Cina, in quanto considerata un compromesso tra Nord e Sud del mondo troppo sbilanciato a favore dei ricchi.
Obiettivo: superare largamente i 100 miliardi di dollari all’anno stabiliti alla Cop15
Per capire di cosa stiamo parlando è però utile un passo indietro di alcuni anni. Alla Cop15 di Copenaghen, nel 2009, i governi si accordarono su un principio: trasferire 100 miliardi di dollari all’anno dai Paesi ricchi a quelli più poveri per consentire a questi ultimi di contribuire a mitigare i cambiamenti climatici e adattarsi ai loro impatti. Ciò in quanto molte nazioni vulnerabili patiscono gravi conseguenze, pur essendo solo in minima parte responsabili delle emissioni di gas ad effetto serra.
Quella cifra è stata raggiunta soltanto nel 2022. Nel frattempo, però, le necessità sono aumentate enormemente. Così, si è deciso di dar vita ad un nuovo meccanismo per i finanziamenti climatici, che prende il nome di New collective quantified goal on climate finance (Ncqg). Esso dovrebbe consentire di superare largamente la quota di 100 miliardi di dollari. Non è mai stato indicato di preciso, però, quale sia il nuovo obiettivo: alla Cop29 di Baku si sta discutendo, tra le varie questioni, proprio di questo.
It’s all about finance at #COP29 today. As extreme impacts worsen largely from fossil fuel driven climate change, more money from wealthy nations is needed to help those hit hardest to adapt. Watch full press conference featuring @UCSUSA’s Rachel Cleetus: https://t.co/SP1fONRKvPpic.twitter.com/ptg8gwL7RW
Quanti fondi servono per sostenere le economie in via di sviluppo
Alla Cop27 di Sharm el-Sheikh fu chiesto a un Gruppo diesperti di alto livello di stimare le necessità dei Paesi in via di sviluppo ed emergenti a partire dal 2030. Fu indicata la cifra di 2.400 miliardi di dollari all’anno, che però comprende anche le allocazioni per il fondo loss and damage, ovvero per far fronte alle riparazioni necessarie per le perdite e i danni subiti.
Problema: alla Cop29 le cifre di cui si parla sono decisamente lontane da quanto indicato dagli esperti. Si è inizialmente ipotizzato un target fissato a mille miliardi all’anno. Poi una proposta arrivata dagli stessi Paesi in via di sviluppo ha indicato la cifra di 1.300 miliardi di dollari. Si parla in ogni caso di un obiettivo: occorrerà poi verificare quanto sarà realmente stanziato.
Chi deve contribuire stanziando i capitali necessari
E congiuntamente sarà necessario porsi il problema di chi sarà chiamato a stanziare i fondi. Ci sono infatti nazioni che stanno ipotizzando un approccio molto diverso rispetto a quello della Cop15: i Paesi ricchi chiedono infatti che a contribuire possano essere anche le stesse nazioni in via di sviluppo. Cosa che queste ultime tendono, come facilmente immaginabile, ad escludere.
A complicare il tutto, poi, c’è la questione della Cina, che è ancora considerata dall’Unfccc – la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – come, appunto, Paese in via di sviluppo. La nazione asiatica, però, negli ultimi decenni ha registrato una crescita economica esponenziale. C’è infine una terza opzione emersa nella informal note, che costituisce un compromesso tra le prime due.
Serviranno 6.300-6.700 miliardi di dollari all’anno a livello globale
Mentre i negoziati sono in pieno svolgimento, è giunta un’altra valutazione sull’ammontare che dovrà raggiungere la finanza climatica, che non prende in considerazione soltanto le economie in via di sviluppo. Il Gruppo di esperti indipendenti di alto livello (sostenuto dalla Brokings Institution e dalla London School of Economics) ha presentato alla Cop29, infatti, un nuovo documento nel quale indica il fabbisogno di investimenti previsti a livello mondiale in “circa 6.300-6.700 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 complessivi, di cui 2.700-2.800 miliardi nelle economie avanzate, 1.300-1.400 miliardi in Cina, e 2.300-2.500 miliardi negli altri Paesi in via di sviluppo”.
L’analisi spiega inoltre che occorre concentrarsi sulle sovvenzioni e non sui prestiti. Ciò per non pesare sulle già fragili economie che beneficeranno dei fondi, affinché non si trovino schiacciate dai debiti contratti. Da registrare poi la pressione del gruppo dei Paesi più poveri del mondo, che chiedono siano assicurati loro almeno 220 miliardi all’anno (mentre i piccoli Stati insulari, riuniti nel gruppo Aosis, propongono che a loro ne arrivino almeno 39). Di lavoro da fare per evitare che la Cop29 si concluda con un nulla di fatto, insomma, è davvero moltissimo.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intervenendo alla Cop29 a Baku, ha ribadito il proprio approccio in materia di lotta ai cambiamenti climatici.
Durante la cerimonia di apertura della Cop29 il segretario generale delle Nazioni Unite ha lanciato un nuovo accorato appello affinché si agisca sul clima.
L’ultimo caso riguarda un attivista del movimento per la democrazia. Sarebbe stato detenuto per due giorni e torturato. Aveva aiutato un giornalista a lasciare il paese di nascosto.